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«Stop talking, start planting»: ridare gli alberi al mondo

Articolo. In rete spuntano qua e là iniziative di piantumazione per salvare il pianeta. Ognuno può dare il proprio contributo al miglioramento delle condizioni ambientali della Terra: piantare un albero è una di queste. Lo hanno fatto istituzioni, aziende e possiamo farlo anche noi. Un’iniziativa concreta e un messaggio di pace e speranza universale

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(foto G-Stock Studio)

Di fronte a catastrofi naturali come il riscaldamento globale dovrebbe sorgere spontanea la domanda se la natura non debba salvare l’umanità o se invece è la natura ad essere la vittima da salvare. Forse la risposta sta nel mezzo, in quel rapporto strettissimo fra esseri umani e natura, nel quale però il 95% della biomassa terrestre è costituito da piante e quindi – se consideriamo la questione in questi termini – la presenza di animali, esseri umani inclusi, è (quasi) irrilevante. Se non dovesse bastare, sarebbe utile puntualizzare che la vita media di una specie appartenente al mondo vegetale è di 5 milioni di anni e alcune specie vegetali risalgono a 100 milioni di anni fa, mentre l’homo sapiens esiste solo da circa 300 mila anni.

Nonostante ciò quel quasi ha fatto parecchi danni e tutti i dati appena citati non sono altro che la testimonianza del fatto che occorre ridare dignità al mondo vegetale, il quale storicamente è stato strumentalizzato dall’uomo – leggi alla voce disboscamenti, crollo della biodiversità e via dicendo – mentre in tutti il globo il “verde” è quell’elemento fondamentale senza cui non sarebbe possibile la vita sulla Terra.

Non che la sensibilità a riguardo manchi, anzi. Negli ultimi anni la questione ambientale è diventata una sorta di cubo di Rubik a cui tutte le altre politiche sono sempre più interconnesse: i governi spesso sembrano non farci caso (giusto per essere eufemistici) o adottano strategie non sufficientemente incisive. Sia come sia, le regole del gioco sono cambiate e continuano a cambiare inevitabilmente: non è un caso quindi che il movimento ambientalista – da realtà di opposizione qual era – ha cercato (e trovato) una partecipazione sempre più attiva al processo decisionale dei governi e delle istituzioni. Di rimando è cresciuta l’attenzione verso l’ambiente in tutti i livelli delle società – anche grazie ad alcune efficaci strategie mediatiche: il “caso” Greta Thunberg – promuovendo una maggiore consapevolezza dell’importanza dei nostri doveri di cittadinanza nei confronti dell’ecosistema-mondo che ci ospita.

Dinanzi alla crisi climatica è facile sentirsi impotenti. In realtà – stante il fatto che poco si potrà ottenere senza un macro cambiamento planetario, in primis a livello industriale, e una politica seriamente sostenibile (parola ormai buona per tutte le stagioni, ma che in realtà ha un suo significato preciso e radicale) – è fondamentale un cambiamento dello stile di vita di ogni cittadino. Una “rivoluzione” che passa da tanti atteggiamenti concreti: fra questi, una delle soluzioni proposte al cambiamento climatico in voga negli ultimi anni sarebbe quella di (ri)piantumare la superficie terrestre, trasformando le città e persino i grattacieli in monumenti verdi oppure aderendo a iniziative online che puntano, molto semplicemente, a riportare le piante sulla Terra.

Avete mai sentito parlare, ad esempio, di Felix Finkbeiner? Si tratta di un ex bambino prodigio e un ambientalista bavarese fondatore dell’organizzazione internazionale per la piantagione di alberi e la difesa ambientale Plant-for-the-Planet . Tutto iniziò da una presentazione in classe di una ricerca sul riscaldamento globale, in cui propose ai compagni di classe di piantare un milione di alberi in ogni paese del mondo e si ripeté nel 2007 quando all’età di 10 anni parlò al Parlamento europeo e a 13 anni all’Assemblea generale dell’ONU.

«Stop talking, start planting» è lo slogan con cui fino ad oggi la sua organizzazione ha piantato quasi 15 milioni di alberi in tutto il pianeta. Finkbeiner spiega di essere stato ispirato da Wangari Maathai, la scienziata premio Nobel per l’ambiente che fece piantare 30 milioni di alberi in diversi paesi africani nell’arco di 30 anni.

Plant-for-the-Planet è solo un esempio delle miriadi di organizzazioni, associazioni e iniziative che stanno spuntando come i funghi negli autunni piovosi nel mondo. Alcune di queste iniziative operano dall’alto, come la Bonn Challenge , sostenuta da 48 nazioni, che mira a ripristinare 350 milioni di ettari di foresta entro il 2030. Sfortunatamente gli sviluppi di questa iniziativa mostrano che molti di questi paesi si sono impegnati a ripristinare meno della metà dell’area che potrebbe sostenere nuove foreste. Questo progetto parte dal calcolo di un’intelligenza artificiale, basata su immagini satellitari combinate a dieci fattori chiave del suolo, della topografia e del clima. Un incrocio di dati che ha prodotto una mappa globale di dove potrebbero crescere gli alberi.

Altre iniziative operano a livello locale e tessono reti con “aziende intelligenti” di svariati settori. Un esempio è Treedom : il primo sito che permette di piantare alberi a distanza e seguire online la storia del progetto che gli alberi contribuiranno a realizzare. Dalla sua fondazione, avvenuta nel 2010 a Firenze, sono stati piantati più di 3 milioni di alberi in Africa, America Latina, Asia e Italia. Tutti gli alberi vengono piantati direttamente da contadini locali e contribuiscono a produrre benefici ambientali, sociali ed economici.

Ci sono poi aziende come VAIA , che è riuscita come una fenice a trasformare una tragedia ambientale in un business locale e sostenibile. Il legno degli alberi abbattuti dall’omonima tempesta del 2018 sulle Dolomiti – che ha lasciato quintali di materia disuniforme e spezzata in modo irregolare – è un elemento distintivo dei prodotti del brand (l’amplificatore audio per smartphone VAIA Cube in diverse versioni e l’amplificatore visivo per smartphone VAIA Focus), che una volta venduti si trasformano in nuovi alberi piantati. A questo ciclo vitale e produttivo collaborano anche vari artigiani bergamaschi.

Forestami è invece il progetto promosso dalla Città metropolitana di Milano, che prevede la messa a dimora di 3 milioni di alberi entro il 2030, per far crescere il capitale naturale, pulire l’aria e contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Ma non è finita. Quante volte i nostri amici pendolari hanno trovato una valvola di sfogo nel parco Biblioteca degli Alberi . Si tratta di un raro esempio di parco contemporaneo che non solo esalta la biodiversità da un punto di vista estetico, ma anche da un punto di vista funzionale, offrendo un programma culturale fatto esperienze collettive destinate a un pubblico trasversale.

Anche Bergamo – una realtà che parte avvantaggiata per la sua naturale conformazione verde: i colli, le valli… eppure non c’è mai abbastanza verde – ha promosso l’iniziativa «Dona un albero alla tua città» , incoraggiando la donazione di alberi con l’obiettivo di incrementare il patrimonio arboreo in ambito urbano e di ridurre il riscaldamento globale. Il particolare interessante è la logica, estremamente funzionale, in cui è strutturata questa piantumazione, sia per quanto riguarda la geolocalizzazione che la scelta delle varietà autoctone. La nostra città ha poi una biblioteca degli alberi, anzi delle anime: il «Bosco della Memoria» , che è stato creato in ricordo delle vittime della pandemia («Alberi per chi ha perso il respiro») al Parco della Trucca.

Insomma, piantare un albero non è un gesto fine a sé stesso, ma un contributo che possiamo dare alla salvaguardia del pianeta. Ne va delle nostre vite: in qualche modo quel 95% di biomassa terrestre costituita da alberi, magari diminuendo un po’ ma non scomparendo, sopravvivrà. Con o senza di noi.

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