La pioggia di questi ultimi giorni ha fatto calare le preoccupazioni e l’allarmismo nei discorsi sull’inquinamento atmosferico, ma quanto davvero possiamo abbassare le difese? Secondo l’ultimo report di Legambiente «Mal Aria di città 2024», a onor del vero, la situazione fino alla fine del 2023 faceva notare un lievissimo miglioramento sul lungo periodo. Sì, 18 capoluoghi su 98 hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo), ma condizioni meteo più favorevoli del solito hanno avuto un effetto positivo sulla situazione generale.
Se si volesse però fare le pulci alla raccolta dei dati, si dovrebbe riconoscere, come fatto del resto da Legambiente, che la gran parte delle città italiane sono già in ritardo su quelli che saranno, dal 2030, i nuovi limiti decisamente più stringenti proposti dalla revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria: 20 µg/mc (microgrammi per metro cubo di aria) per il PM10, 10 µg/mc per il PM2.5 e 20 µg/mc per l’NO2. Se fossero già in vigore, il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 50% per l’NO2.
Bergamo tra le peggiori
Nelle ultime due categorie Bergamo sarebbe tra i primi posti in classifica per demerito, ma del resto le sue performance sono allineate con le altre città del bacino padano: si trovano qui 16 dei 18 capoluoghi citati inizialmente tra gli irregolari per i livelli di inquinamento e di questi 6 sono lombardi (una città su due!).
A riconferma di questa situazione sono i dati dei primi due mesi del 2024 in Lombardia, che vede tutti i capoluoghi con concentrazioni medie ben al di sopra della soglia di legge per la concentrazione media annua. D all’inizio dell’anno Bergamo conta già 24 giorni di superamento delle soglie per il PM10: quasi un giorno su due è stato inquinato oltre limite.La nostra vicina e sorella maggiore Milano il 2 febbraio è stata per un giorno tristemente famosa nelle cronache nazionali come nona grande città peggiore al mondo per qualità dell’aria. Il dato si riferiva alla classifica quotidiana stilata da IQAir, un’azienda svizzera che periodicamente pubblica report sulla salubrità dell’aria sulla base di dati raccolti da un numero imprecisato di sensori e centraline che rilevano i livelli di PM10, PM2.5, monossido di carbonio, ozono, biossido di azoto e biossido di zolfo in tutto il mondo.
Non è tardata la smentita di ARPA Lombardia , che ha fatto notare in un comunicato che la fonte «fa riferimento a dati orari, che cambiano di ora in ora, con la conseguenza di produrre un elenco variabile a seconda del momento in cui lo si guarda. Lo stesso sito, a titolo di esempio, quando riporta le medie sul lungo periodo, colloca il capoluogo lombardo al 531esimo posto. Ancora più importante è sottolineare che spesso alcuni di questi siti considerano nelle proprie valutazioni sia i dati ufficiali provenienti da misure certificate come quelle di Arpa Lombardia sia quelli provenienti da altre misure, effettuate con strumentazione che può essere anche molto diversa e non equivalente a quella prevista dalla normativa».
Altre fonti hanno fatto notare le incongruenze della classifica di IQAir, ma resta innegabile la verità di fondo: che Milano, come Bergamo e il resto delle città padane, sono condannate a subire livelli di inquinamento atmosferico molto più alti della media italiana (e per certi versi anche di quella europea). Lo spiega, in breve, ARPA Lombardia: «Le Alpi e gli Appennini chiudono la pianura padana su tre lati determinando la velocità del vento tra le più basse d’Europa, con la formazione di frequenti inversioni termiche notturne. Si crea così una situazione in cui le emissioni di tutto il bacino ristagnano con valori di concentrazione di particolato elevati ed omogenei in tutto il territorio».
Cosa influenza l’inquinamento
Inversioni termiche: questo termine viene spesso citato nei discorsi sull’inquinamento atmosferico. Di cosa si tratta davvero? Come funzionano, in parole semplici? Ci viene in aiuto Antonello Pasini, fisico del clima al CNR, che lo spiega per Tg1: «Le notti serene favoriscono un grande raffreddamento della superficie e quindi si crea una situazione in cui le temperature al suolo diventano più basse di quelle in quota. In queste condizioni, qualsiasi cella di aria che contenga inquinanti emessi al suolo, anche calda, salendo si raffredda e a un certo punto incontra aria più calda di lei, è dunque più pesante dell’aria circostante e cosi è spinta a ridiscendere verso il suolo. Si crea un soffitto ideale pressoché invalicabile e tutto quanto emesso al suolo ne rimane al di sotto».
Generalmente, però, una volta che si fa giorno i raggi del sole rompono questa barriera. Questo non succede in «certe zone affette da nebbia o smog molto intenso», dove «la radiazione solare giunge al suolo in maniera molto minore e non riesce a distruggere questo soffitto (semmai lo fa alzare poco poco), cosicché la qualità dell’aria risulta critica anche di giorno».
Un altro evento atmosferico che influenza notevolmente i livelli di inquinamento è la pioggia, come quella che stiamo vedendo in questi giorni. Ma anche questa panacea va scomparendo. «Le piogge stanno diventando sempre più rare, sebbene più intense, e l’assenza di eventi atmosferici per periodi anche molto prolungati contribuisce in modo significativo al ristagno dell’aria e quindi all’accumulo degli agenti inquinanti»: lo afferma Francesco Tursi, pneumologo, direttore dell’UOC Riabilitazione specialistica cardio-respiratoria dell’Ospedale di Codogno.
L’Italia è il primo Paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento
Tursi da anni assiste «a un aumento insolito di riacutizzazioni di patologie respiratorie, così come, in caso di episodi respiratori acuti, a sintomi che persistono per periodi molto lunghi. Allo stesso modo, soprattutto in corrispondenza dei periodi con meno piogge, nei soggetti allergici i sintomi tipici, come la rinite, si protaggono oltre quello che è il periodo classico di durata, manifestandosi anche in periodi anomali. E anche chi non ha patologie respiratorie pregresse è esposto a dei rischi. Chi respira inquinanti tutti i giorni sviluppa un danno infiammatorio, proprio come succede ai fumatori, che potrebbe poi evolvere in una qualche forma di malattia respiratoria».
L’Italia detiene un primato anche su questo fronte: siamo il primo paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico. Si parla di circa 80 mila decessi prematuri all’anno: lo riporta la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), facendo notare quanto sfaccettati siano gli effetti dell’inquinamento sulla nostra salute. Spiega in breve Alessandro Miani, presidente e portavoce: «Le polveri sottili e gli ossidi di azoto sono in grado di peggiorare lo stress ossidativo e innescare una risposta infiammatoria sistemica a livello dell’apparato vascolare, causando aterosclerosi e disfunzione endoteliale, una maggior aggregabilità delle piastrine esitando così in cardiopatia ischemica. Ma gli effetti infiammatori del particolato si esplicano anche sul polmone e sui neuroni per inalazione e attraversamento della barriera emato encefalica».
Questo significa che lunghe esposizioni ad alti livelli di inquinamento non causano solo effetti all’apparato respiratorio, ma anche «danni al sistema nervoso centrale, aumento della frequenza di ictus, demenza e diabete, rischi per il feto in caso di gravidanza e impatti maggiorati sui bambini»: così all’ANSA Francesco Forastiere, medico ed epidemiologo dell’Imperial College of London.
Tutto questo è una realtà per tantissime persone: in Pianura padana c’è un’altissima densità di popolazione, tra le più elevate in Europa. È un circolo vizioso, perché significa anche che c’è un alto numero di veicoli circolanti e di abitazioni (che emettono gas per il riscaldamento). Inoltre, la Pianura padana ospita importanti allevamenti intensivi ed è sede di coltivazioni agricole che fanno un ampio utilizzo di fertilizzanti che producono ossidi di azoto.
Sulla situazione dell’inquinamento atmosferico il Codacons ha recentemente annunciato che presenterà alla Procura di Milano un esposto chiedendo che la magistratura indaghi per «disastro ambientale». L’associazione ha così commentato la scelta: «La verità è che se non abbiamo il coraggio di fare scelte anche impopolari le persone continueranno a morire per l’esposizione all’aria malsana. Quante persone ancora devono morire per decidere di fare qualcosa?».
Gli scenari futuri
Una scelta che può apparire drastica, ma che sembra meno folle se la si inserisce nel quadro delle conseguenze sulla salute delle persone che avrebbe la scelta d non perseguire (o di perseguire più tardi) i nuovi obiettivi di qualità dell’aria dell’Ue attualmente in discussione e citati all’inizio.
Le ha esaminate lo studio «Urgent Call to Ensure Clean Air For All in Europe, Fight Health Inequalities and Oppose Delays in Action», pubblicato sull’International Journal of Public Health da un team internazionale di ricercatori, fra i quali l’italiano Francesco Forastiere dell’Imperial College of London e direttore della Rivista Epidemiologia e Prevenzione. Lo studio «stima in quasi 330.000 le vite umane che sarebbero sacrificate in Europa dal rinvio di 10 anni dell’adempimento ai nuovi limiti sulla qualità dell’aria e dettaglia il costo umano per ciascun Paese Ue nel quale le concentrazioni medie di PM 2.5 oggi superano i 10 μg/m3: un terzo circa della mortalità aggiuntiva si verificherebbe in Italia».
C’è quindi da preoccuparsi per i livelli di smog di questo inizio 2024? Sì, e non solo per quelli. Siamo in una situazione tragica senza vie d’uscita? No: le vie d’uscita ci sono e sono state indicate da tempo. Serve solo uno sforzo in più per attuarle. Ora, e senza ritardi.