Ore 8 del mattino, Bergamo, strada provinciale 35, direzione Rondò delle Valli, semaforo all’incrocio con via Martinella. Coda ferma di auto, sia per proseguire dritto che per svoltare a destra. Per i pendolari provenienti dalla Valle Seriana, come me, questa è una scena vista e rivista. Quotidiana. Inevitabile. Venti minuti aggiuntivi di viaggio per superare cinquecento metri di strada. E poi fermarsi comunque a parcheggiare ai limiti della città, nonostante la necessità di raggiungere il centro, perché è qui che si trovano gli ultimi parcheggi superstiti non a pagamento.
È in una di queste estenuanti maratone al rallentatore che mi è venuto da chiedermi: è questa l’unica alternativa? Una città come Bergamo, che l’anno prossimo potrà aspettarsi grandi flussi di turisti in quanto capitale italiana della cultura, non offre alternative per una mobilità più agevole? E magari, come ciliegina sulla torta, anche sostenibile? Mi sono informata. Ecco quello che ho scoperto.
Innanzitutto, il Comune se lo pone, il problema della mobilità sostenibile . Indicando, come priorità tra i problemi da affrontare, gli stessi che io e altre 500.000 persone ci troviamo ad affrontare ogni giorno, come lo spreco di tempo legato al traffico. Ma anche, su un’altra nota, l’inquinamento e il dispendio energetico dovuti al trasporto privato non collettivo. Presentando entrambe le facce della medaglia della sostenibilità: le necessità del singolo utente e quelle della città nel suo insieme.
L’approccio ricorda molto il paradigma della città adattiva, come presentata dall’Assessore all’innovazione Giacomo Angeloni nella puntata di un podcast dedicato alle smart city: in breve, una città capace di ascoltare i bisogni dei suoi cittadini e di sfruttare le tecnologie più avanzate per soddisfarli. A differenza della smart city, in cui la tecnologia potenzia l’infrastruttura urbana andando a innovare e potenziarne i connotati (approccio technology driven), le città adattive sono progettate per mutare la propria interfaccia sulla base delle richieste attivate dal cittadino utente (approccio human driven).
Questo sembra unirsi a un’altra premessa teorica, nata a Parigi qualche anno fa (ma con origini ben più lontane) e oggi molto in voga: quella della «città di 15 minuti». Una sorta di ritorno alla dimensione di «villaggio» più che di città, dove la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti all’interno della cornice urbana può essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta direttamente da casa propria. L’utopia è che non sia più necessario spostarsi in auto, almeno per i bisogni quotidiani essenziali.
Se queste sono le premesse, quali sono le declinazioni pratiche?
Il Comune di Bergamo ha presentato a luglio di quest’anno il nuovo «Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile» (PUMS). Un progetto decennale, presentato dall’Assessore all’ambiente e alla sostenibilità Stefano Zenoni come un piano che «fa la guerra ad un uso improprio delle auto, ma non alle auto in sé. E che ha molto a cuore anche quello che è il tema dei cambiamenti climatici». Lo ha definito «uno strumento flessibile», che deve poter essere «rivisto e aggiornato» per «adattarsi alle sfide».
La «guerra ad un uso improprio delle auto» si sostanzia all’interno del PUMS in 2.600 posti auto a pagamento contro 35.000 gratuiti e nel rafforzamento di una Low Emission Zone, diversa per esempio dall’area C di Milano, che è anche Urban Road Toll, cioè richiede un pagamento all’ingresso. A partire dal 1° ottobre di quest’anno (e fino al 31 marzo di ogni anno), è stata introdotta la limitazione al traffico per i veicoli Euro 4 diesel, che non possono circolare dalle 7.30 alle 19.30 dal lunedì al venerdì. Con due eccezioni tanto importanti quanto poco note: il progetto «Move-In» e il concetto del «car pooling».
Il progetto «Move-In» consente a chi è proprietario di un veicolo sottoposto a restrizioni del traffico di circolare senza blocchi orari o giornalieri. Come? Rispettando solo un tetto massimo di percorrenza chilometrica annuale, calcolato in base alla tipologia e alla classe ambientale del veicolo. Attivo in Lombardia e in Piemonte, il progetto (la cui sigla sta per «Monitoraggio Veicoli Inquinanti») richiede, per parteciparvi, l’installazione di una scatola nera che rileva le percorrenze reali. Non si applica alle misure temporanee che il Comune attiva per far fronte agli episodi di perdurante accumulo degli inquinanti.
Il «car pooling» si riferisce invece al fatto che le restrizioni al traffico non sono valide nel caso in cui si abbiano a bordo almeno tre persone. Il concetto è semplice: più persone nella stessa auto significa meno auto circolanti. Significa riduzione del traffico. Significa riduzione dell’inquinamento pro capite. Questa e l’eccezione precedente sono, appunto, eccezioni, che non devono minimizzare il ruolo del trasporto su strada nell’inquinamento.
Bergamo, secondo l’edizione autunnale del dossier «Mal’aria 2022» di Legambiente, è già in codice giallo per i PM10: sono già 23 (su una soglia massima di 35) i giorni di sforamento dei limiti, cioè con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo. Fuori dagli standard OMS: non solo i PM10, ma anche i PM2,5 e gli NO2. Legambiente fa presente che «l’Italia deve accelerare il percorso di decarbonizzazione dei trasporti urbani che sono la principale causa d’inquinamento nelle nostre città».
Come si sta muovendo Bergamo su questo fronte?
Compie già quattro anni la linea C degli autobus urbani, in transito da piazza della Libertà (C1) e Porta Nuova (C2) con tre capolinea: l’ospedale, il Don Orione e il quartiere della Clementina. È stata la prima linea di trasporto pubblico totalmente elettrica in Italia e si è arricchita quest’anno di due nuovi mezzi, all’interno di un piano di decarbonizzazione finanziato in parte dal fondo PSNMS (Piano strategico nazionale mobilità sostenibile). Il piano prende avvio da una flotta già quasi a metà diesel-free. «L’obiettivo della completa conversione “diesel free” è fissato al 2027», spiega ATB, «e prevede l’acquisto complessivo, entro il 2033, di 131 autobus, di cui 52 elettrici, 63 a metano e 16 ibridi metano/elettrico».
Non solo trasporto su quattro ruote, ma anche su due. È stato pubblicato a settembre di quest’anno il Piano strategico per la mobilità ciclistica , un aggiornamento del BiciPlan del 2015. Il bilancio, dal 2015 ad ora e verso i prossimi anni, è nelle parole di Zenoni: «Nel 2014 le piste presenti lungo la città erano pari a 36 chilometri, ad esclusione dell’interconnessione. Oggi possiamo vantare 99 chilometri, con 25 di corsie tratteggiate. La previsione, per i prossimi anni, è di portare il percorso ad un totale di 160 chilometri, dei quali 51 rientranti nel biciplan e la rimanenza di piste secondarie».
Qualche statistica: con 127 km di piste ciclabili ogni 100 km2 di superficie (dati 2018, oggi sarebbero 181 ricalcolando sulla base dei dati forniti dal Comune), Bergamo si pone ben sopra la media dei capoluoghi del nord Italia, che arriva appena a 56,3 km. Anche se questi dati nulla dicono sulla qualità o sulla sicurezza dei percorsi ciclabili, dei quali, secondo i dati riportati da Zenoni, un quarto è costituito da corsia tratteggiata, quindi “ritagliata” dalla normale corsia degli autoveicoli.
Sempre a sostegno della mobilità ciclabile, in ogni caso, è in corso la seconda fase sperimentale dell’iniziativa «Ti premiamo per andare in bici»: un rimborso dei chilometri pedalati, validati da un kit fornito dal Comune attraverso la piattaforma «Pin Bike», rivolto a lavoratori e studenti maggiorenni residenti o domiciliati in città.
Per non parlare del bike sharing. «LaBiGi» conta oggi in città 60 postazioni. Si aggiunge alla modalità «station based» di LaBiGi anche la modalità «free floating» di «RideMovi» (ex Mobike). Nel primo caso la bici va riconsegnata in una rastrelliera apposita, nel secondo può essere parcheggiata più liberamente. A questa rete si aggiungono i monopattini elettrici in sharing, «Reby», oltre 1000 a disposizione in città.
L’impatto ambientale, se si sceglie di considerare le alternative all’auto, scambiandola per esempio con una bici, anche solo per una volta a settimana, cala di 3,2 kg di CO2 pro capite . Le persone che si spostano quotidianamente in bicicletta generano ogni giorno l’84% in meno di emissioni di CO2 rispetto a quelli che non la usano. Inoltre, secondo uno studio dell’Università di Leeds, il ciclista è l’utente del traffico che respira meno smog di tutti, poco più della metà di quanto inalato da chi circola chiuso in un abitacolo.
Certo, bisogna sempre avere a che fare con traffico, cattive condizioni del manto stradale e sicurezza intermittente delle piste ciclabili. Ma le alternative sono reali. Anche a Bergamo.