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Non di soli impianti vive la montagna. Oltre la monocoltura dello sci alpino

Articolo. Di fronte al risorgere del progetto di comprensorio sciistico che unisce Lizzola e Colere, una lunga rassegna di motivi per non lasciarci impantanare negli errori del passato - e un altrettanto lunga serie di motivi per guardare invece al futuro della montagna con una prospettiva diversa

Lettura 6 min.
Le zone interessate dal comprensorio

Nell’estate del 2008 - avevo 13 anni - ho partecipato a una camminata organizzata da diverse organizzazioni ambientaliste nelle aree montuose che sarebbero state toccate da un enorme progetto di comprensorio sciistico di cui si discuteva allora, che avrebbe voluto unire gli impianti di Lizzola, Colere e Spiazzi di Gromo. Per me, originaria di quelle zone e amante delle lunghe camminate in montagna, vedere di persona quanto era ampia la zona che sarebbe stata irreversibilmente danneggiata dagli impianti è stato un colpo al cuore. Così, quando sono tornata a casa, ho scritto una lettera all’Eco di Bergamo. Che qualche tempo dopo l’ha pubblicata.

Nella lettera esprimevo il mio dissenso nei confronti di un progetto che affermava di volere il bene della montagna mentre progettava di distruggerla. Citavo il cambiamento climatico e le difficoltà dell’innevamento artificiale, i danni al paesaggio, le premesse sbagliate di un turismo improntato solo sullo sci e invocavo l’intervento del Parco delle Orobie a tutela del territorio.

Il progetto non ha mai visto la luce e la mia lettera non è sicuramente stata letta da nessun altro oltre che dai miei parenti e dal gentile redattore dell’Eco che ai tempi ha deciso di pubblicarla, ma oggi, a distanza di 17 anni, la storia si ripete: il progetto (seppur con modifiche) torna alla ribalta e io torno a scrivere per esprimere le mie preoccupazioni a riguardo.

Iniziamo da qualche numero. 70 milioni di euro, di cui 50 coperti da fondi pubblici: questa l’enormità dell’investimento previsto per il progetto del comprensorio sciistico, che intende unire gli impianti di Lizzola, in Val Seriana, con quelli di Colere, in Val di Scalve.

Il progetto prevede nuove piste (per un totale di 50 km, in gran parte sotto i 2000 metri di quota), nuovi impianti, un bacino d’acqua per l’innevamento programmato e un tunnel di 450 metri attraverso il Pizzo di Petto per unire le due valli. La promessa è quella di aumentare l’afflusso di turisti, con conseguente ritorno economico e incentivo contro lo spopolamento dei paesi di Valbondione, Lizzola e Colere.

Un progetto sontuoso ma dissonante con il quadro nazionale del settore sciistico, in cui sono sempre di più gli impianti dismessi, abbandonati o parzialmente non funzionanti. Lo denuncia il rapporto Nevediversa 2025 di Legambiente: in Italia sono 265 le strutture legate agli sci non più funzionanti, un dato raddoppiato rispetto al 2020, quando ne erano stati censiti 132.

Come riporta Legambiente, Piemonte (76), Lombardia (33, di cui 6 in provincia di Bergamo), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni con più strutture dismesse e che «risentono, insieme al resto della Penisola, di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno, con nevicate in diminuzione e temperature in aumento».

Le condizioni climatiche sono ancora più incerte se si considerano le basse quote in cui anche questo comprensorio andrebbe a collocarsi. I dati della Fondazione CIMA (Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale) illustrano il grave deficit nevoso registrato al 13 febbraio 2025 rispetto alle medie storiche. Sulle Alpi, nella fascia tra i 1000 e i 2000 metri, la riduzione dell’innevamento è del 71%.

Eppure, tra i sostenitori del progetto, c’è ancora speranza. «Sì, è vero, gli inverni stanno cambiando rispetto agli anni passati, riconosce Walter Semperboni, sindaco di Valbondione (il Comune che comprende Lizzola), ma non è che la neve non arriva: arriva solo più tardi. E se anche fosse, se anche dovesse nevicare di meno, gli impianti sono stati pensati per destagionalizzare e si possono usare anche in altre stagioni. Non stiamo puntando solo sull’inverno: l’idea è anche quella di far girare le biciclette elettriche d’estate, per esempio».

Dello stesso tenore è il parere di Gabriele Bettineschi, sindaco di Colere: «Non più tardi di quattro anni fa è venuta giù tanta di quella neve che ce la ricordiamo ancora adesso. Gli studi sul cambiamento climatico avranno sicuramente un fondamento scientifico, ma io credo che la natura molte volte sappia sorprenderci».

Il progetto prevede già, in ogni caso, un sistema di innevamento artificiale per sopperire alla mancanza di precipitazioni nevose. Per alimentarlo è prevista la costruzione di un bacino artificiale ai piedi del Monte Ferrante, cima che svetta su Colere. A causa della natura carsica del suolo, permeabile all’acqua, l’invaso artificiale dovrà essere impermeabilizzato tramite materiali plastici e potrà venire alimentato solo dalle piogge.

Per funzionare, non solo l’impianto di innevamento artificiale ma anche gli impianti di risalita, il progetto avrà un fabbisogno energetico molto elevato: questo è uno dei punti sollevati dalle associazioni ambientaliste che si oppongono al progetto, tra cui Orobievive, terreAlt(r)e, Legambiente e la sezione locale del Club alpino italiano (Cai).

«I promotori di questo progetto ci tengono a presentarlo come sostenibile, ma è intrinsecamente insostenibile, sostiene Angelo Borroni di Orobievive, che spiega così la sua affermazione: si raddoppia la potenza in gioco, perché l’obiettivo è quello di avere meno code e quindi impianti più efficienti e veloci che portino più persone. Ci saranno piste più ampie e più macchinari per la neve artificiale. Il contributo dato dall’installazione di pannelli solari flottanti (che si vogliono installare sopra il bacino per l’innevamento artificiale, ndr) è un contributo parziale di energia rispetto a un incremento di fabbisogno energetico ancora più elevato».

Secondo i sostenitori del progetto, tutto questo acquista un senso se lo si considera nella cornice dei suoi obiettivi più alti, ovvero di sostenere il territorio e le persone che lo abitano. «O si dà la possibilità di investire nei nostri territori o moriamo. Con tutti i no che ci dicono, siamo costretti a sopravvivere: i giovani se ne vanno, la montagna si spopola», sostiene Semperboni.

A questo fine, come riassume Bettineschi, «la realizzazione del comprensorio dovrebbe portare un incremento del turismo e anche della parte occupazionale».

Se sulla seconda parte le associazioni ambientaliste esprimono qualche riserva («la previsione occupazionale del comprensorio è di 50 dipendenti stagionali», fa presente Borroni), sulla prima parte andrebbe aperta una riflessione molto più ampia, che si rifaccia a esperienze già esistenti per capire quali possono essere le proiezioni del futuro prossimo di queste valli, se si sceglie di investire sul turismo sciistico.

Esempio estremo ma significativo e ampiamente analizzato nel rapporto Nevediversa 2025 di Legambiente è Cortina. «Sempre più riservata a un’élite di ricchi, Cortina sta diventando una “scuola di gentrificazione, dove ci si trova estranei nella propria terra». Come spiega il professore Alberto Lanzavecchia dell’Università di Padova, «le proprietà non vengono acquistate dagli italiani, ci sono investitori stranieri, oggi solo un terzo degli alberghi è gestito da famiglie di residenti. L’offerta turistica diventa più costosa ed espelle le famiglie italiane, che non possono godere più di quella valle».

Le alternative possibili

«La cura della sentieristica, il turismo scientifico, gli agriturismi, l’educazione ambientale rivolta alle scuole e tante altre forme di turismo sostenibile potrebbero attivare l’economia locale senza compromettere l’integrità del territorio protetto», sostengono per esempio Legambiente e Orobievive in una lettera aperta.

Nell’incontro pubblico «Quale montagna vuoi?» organizzato da Orobievive e Terre Alt(r)e e tenutosi a Clusone lo scorso 28 novembre, sono stati presentati altri esempi virtuosi alternativi di salvaguardia del territorio montano diversi dallo sci alpino. Un esempio è il progetto «BeyondSnow» di Interreg Spazio Alpino , che mira ad aumentare la resilienza socio-ecologica delle destinazioni turistiche di piccole dimensioni, situate a media altitudine, per consentire loro di mantenere la propria attrattiva per residenti e turisti.

Sono tanti gli esempi virtuosi di turismo sostenibile riportati da Legambiente, come quello di Naturavalp, associazione valdostana promotrice di un turismo responsabile e sostenibile riunendo agricoltori, allevatori, artigiani e operatori turistici. Oppure quello di Dolomiti Paganella Future Lab, una piattaforma in continua evoluzione, unica nel suo genere in Italia, nata per «definire una visione di sviluppo turistico bilanciato di lungo periodo assieme alla comunità, basato su vivibilità e qualità di vita di residenti e ospiti».

Un altro esempio virtuoso è quello di Homeland , il primo comprensorio sciistico europeo privo di impianti di risalita. È stato inaugurato a Montespluga, in provincia di Sondrio e si estende su undici percorsi per un totale di 36 chilometri di tracciati, situati a un’altitudine che raggiunge i 2.800 metri. Il progetto è stato ideato da un gruppo di giovani imprenditori e la sua offerta non si limita alla stagione invernale: sono in fase di sviluppo attività estive, tra cui trekking, escursioni guidate e mini spedizioni con pernottamento in campeggio.

Per concludere (ma si potrebbe andare avanti ancora a lungo) il report Nevediversa 2025 di Legambiente riporta l’esempio della Valle Maira, un territorio montano nelle Alpi Cozie, commercialmente poco sfruttato e geograficamente molto isolato, che però ha saputo risollevarsi grazie al volano del turismo, con un trend di costante crescita nel corso degli ultimi 15 anni.

Qui, dalla primavera all’autunno si praticano sport outdoor quali escursionismo, MTB ed e-MTB, arrampicata (in falesia, multipitch e boulder), trail running, parapendio, escursioni a cavallo, ma anche visite culturali ai numerosi beni artistici e museali dislocati sul territorio ed esperienze di tipo enogastronomico presso i produttori locali. D’inverno, la valle è luogo prediletto degli scialpinisti, che qui trovano ampia scelta tra oltre 100 itinerari di diverso grado di difficoltà. Anche l’escursionismo con le racchette da neve ha un ruolo fondamentale nel comparto turistico invernale della destinazione e anche gli amanti dello sci di fondo trovano in valle una valida proposta.

Le alternative sono innumerevoli e per la gran parte replicabili in un territorio, come quello tra la Val Seriana e la Val di Scalve, che a livello naturalistico è ricchissimo. Siamo così certi di voler investire ancora, nel 2025, nella monocoltura dello sci alpino?

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