La carbon footprint, o impronta di carbonio, è il calcolo della quantità di gas serra prodotti da una particolare attività, servizio o prodotto. Si ottiene osservando l’intero ciclo di vita e trasformando il risultato nel peso equivalente in CO2. Per intenderci, i gas di scarico non sono le uniche emissioni prodotte da un’automobile: nel calcolo della sua carbon footprint bisogna considerare anche quelle della casa produttrice, quelle delle autocisterne che trasportano la benzina che la alimenta, e così via. Ogni oggetto o attività lascia, sull’ambiente, un’impronta più o meno grande.
La quarantena ha portato molti di noi a lavorare o studiare da casa, a prendere dimestichezza con il mondo delle videoconferenze, della condivisione in cloud, dell’accesso da remoto. Tutto questo, dal punto di vista ambientale, è sembrato un’enorme svolta: niente più traffico, aria pulita, acque limpide. Un paradiso. Il rapporto tra ambiente e pandemia andrebbe analizzato su più livelli, è impossibile ricondurlo a una catena lineare di cause ed effetti, ma c’è un aspetto della problematica su cui è utile e interessante soffermarsi: il fatto che perfino lo smartworking ha un impatto ambientale.
CDiN, un’azienda bergamasca che si propone di aiutare le imprese a comunicare meglio grazie ai dati, ha di recente svolto una ricerca, poi ripresa dalla trasmissione Mediaset E-Planet, sull’impronta di carbonio delle attività via web. “Il nostro obiettivo”, mi racconta il CEO Francesco Di Norcia, “era quello di diffondere la consapevolezza che navigare in internet ha delle conseguenze, anche ecologiche, e trasmettere una maggiore conoscenza della natura dei dati e di cosa comporta condividerli”.
Il primo step è stato quello di chiedersi quali attività in Rete fanno parte della quotidianità di ciascuno di noi. “Abbiamo scoperto”, continua Francesco, “che una persona media, al risveglio, come prima cosa controlla social network e app di messaggistica. Entro le dieci ha già letto o inviato almeno dieci mail. Entro mezzogiorno ha effettuato circa 100-150 ricerche sui motori di ricerca”. Per continuare poi con attività più propriamente appartenenti alla sfera lavorativa, come le conference call, o a quella personale, come guardare video su YouTube, mettersi in pari con una serie tv su Netflix, o ancora ascoltare musica su Spotify.
Il secondo passaggio è stata una ricerca estensiva sul concetto di carbon footprint, che ha coinvolto diversi tipi di fonti, dalle ricerche universitarie, nazionali e internazionali, ai vari tool online per calcolare l’impronta di carbonio (ne segnalo uno, in italiano, per calcolare l’impronta ecologica individuale complessiva). “In una settimana abbiamo consultato circa 5000 siti web”, racconta Francesco, “dai quali abbiamo escluso quelli a valenza politica, che parlavano di impronta di carbonio con intento di denuncia verso le grandi multinazionali, e ci siamo limitati alle fonti scientifiche, che invece affrontavano il problema dal punto di vista strutturale”.
Il risultato è alla portata di tutti, perché si presenta sotto forma di infografiche che comparano, da un lato, le attività quotidiane sul web, e, dall’altro, una serie di attività, altrettanto comuni ma “analogiche”, che facilitano la comprensione della questione. Si scopre, ad esempio, che un’ora e mezza di conference call produce 1,2 kg di CO2, tanto quanto viaggiare dieci minuti in metropolitana. Cento email, tra lavoro, newsletter e spam, sono paragonabili a cucinare un hamburger, mentre cento ricerche su un browser corrispondono a stirare una camicia. Ogni quattro siti web visitati è come se facessimo un metro in automobile. I social, invece, sono a basso impatto: dobbiamo trascorrerci mille ore prima di produrre tanti gas serra quanto prepararsi un caffè.
Molto meno “leggeri” dal punto di vista ambientale i video: dieci minuti su YouTube hanno un peso equivalente in CO2 di 110 g, tanto quanto percorrere un chilometro in scooter. Anche peggio i servizi on demand (leggi Netflix, Disney+, Prime Video e simili), che ogni tre ore pesano sull’ambiente come quattro mesi di consumo di acqua (9,6 kg di CO2). E, per finire, mezz’ora di musica in streaming produce 4 g di CO2, come due soli minuti di TV accesa. Al termine di ogni giornata, in sostanza, lasciamo sull’ambiente una carbon footprint di 13 kg, che equivale alle emissioni di gas serra di 50 km in automobile.
Come ci dobbiamo comportare di fronte a questi dati? Consideriamo, innanzitutto, che l’impronta di carbonio è solo il 55% dell’impronta ecologica e che è quest’ultima che descrive in maniera completa il nostro impatto ambientale. Cioè, come spiega il WWF, “la domanda umana sugli ecosistemi in termini di area, terrestre e marittima, biologicamente produttiva, necessaria a produrre le risorse che l’uomo consuma e assorbire i rifiuti che produce”. Dell’impronta ecologica fa parte anche l’impronta idrica, che, similmente a quanto l’impronta di carbonio fa con la CO2, calcola la quantità di risorse idriche necessarie a produrre un determinato bene o servizio.
Sapere tutto ciò ci porta, in primo luogo, ad essere più consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni. E con questo intendo ogni singola azione. Per esempio, contrariamente al pensiero comune, nemmeno fare una passeggiata o andare in bicicletta sono modi garantiti per ridurre l’inquinamento.
Secondo una ricerca dell’università di Otago, in Nuova Zelanda, infatti, camminare può produrre fino a 0,26 kg di CO2 equivalente al chilometro, andare in bici 0,14. Com’è possibile? Se si passa da un mezzo di trasporto passivo, come l’automobile, a uno attivo, come la bicicletta, è facile che si abbia bisogno di mangiare di più per compensare il dispendio di energia. E se il cibo che mangiamo non è a bassa produzione di anidride carbonica (cioè, se mangiamo, per esempio, tanta carne e/o tanti alimenti confezionati), stiamo contribuendo alla produzione di gas serra.
Come secondo spunto di riflessione, dovremmo iniziare a chiederci cosa è possibile fare per ridurre il più possibile il peso della nostra impronta ecologica. Per esempio, visto che la maggior parte delle emissioni vengono dal settore dei trasporti, noi nel nostro piccolo potremmo fare più attenzione a non schiacciare eccessivamente freno e acceleratore quando guidiamo, a tenere controllate le gomme, a dividere la macchina con amici e parenti quando possibile. Se invece pensiamo di comprare una nuova auto e magari di investire nelle nuove tecnologie, ricordiamoci che elettrico non è sempre sostenibile, perché bisogna verificare da quali fonti proviene l’energia con cui lo si alimenta.
A tavola preferiamo cibo a km 0 e alimenti sfusi. In casa, sostituiamo le vecchie lampadine a incandescenza con quelle a LED, che usano fino all’85% in meno di energia e durano 25 volte di più. Non trascuriamo mai la raccolta differenziata e informiamoci sul sito del nostro comune come farla correttamente. Ricicliamo. Sfruttiamo a pieno i vestiti che abbiamo prima di comprarne di nuovi, e, quando proprio ne abbiamo bisogno, consideriamo di comprare in seconda mano.
Gli accorgimenti sono tanti e alla portata di tutti. Sapere quanti gas serra producono le quotidiane attività via web è solo il primo step per una maggiore consapevolezza, non una spada di Damocle che dovremmo sempre sentirci sulla testa. Prendiamolo come uno spunto di riflessione, come un invito all’azione. E iniziamo a darci da fare.