Poco più di due mesi fa su Netflix è uscito un film distopico, ambientato a Parigi durante le Olimpiadi, alla vigilia della gara di triathlon nella Senna. Il film è «Under Paris» e segue i movimenti di Lilith, un enorme squalo che, a causa dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento, ha sviluppato una tolleranza alle acque dolci e minaccia le correnti del fiume parigino. Le autorità sono subito allertate dagli scienziati della sua presenza, ma, preoccupati degli investimenti a rischio, scelgono di far svolgere ugualmente le gare. La fine è inevitabile: molti atleti muoiono e le tragedie si susseguono a catena.
Un disastro già scritto, che si sarebbe potuto evitare senza grossi sforzi. «Under Paris» è la metafora di un pericolo, quello climatico, che viene regolarmente fatto presente dal mondo accademico e scientifico e altrettanto regolarmente ignorato o sottovalutato dal mondo politico. Tuttavia, il film è anche un’ironica critica ante litteram all’amministrazione parigina per aver permesso, poi cancellato, poi di nuovo permesso (in condizioni discutibili) lo svolgimento degli allenamenti e delle gare di triathlon e di nuoto di fondo in un fiume, come la Senna, che per un secolo non è stato balneabile perché troppo inquinato.
Non sono bastati i ben 1.5 miliardi di investimenti per ripristinarne la qualità: alla vigilia delle gare olimpiche, la CNN riportava che i livelli di Escherichia coli (E. Coli) erano ancora tre volte superiori agli standard stabiliti dal World Triathlon.
L’allarme per gli atleti ricoverati
Una delle polemiche correlate è scoppiata dopo la decisione del Belgio di ritirarsi dalla finale di staffetta mista di triathlon del 5 agosto, perché una loro atleta, Claire Michel, si trovava in cura presso l’infermeria del Villaggio olimpico per un’infezione intestinale che le aveva causato forti attacchi di vomito e diarrea. Sorte che è toccata anche a due triatleti portoghesi (Vasco Vilaça e Melanie Santos), che, dopo aver gareggiato proprio in quella competizione, hanno sperimentato un forte malessere.
Non sono scampati neanche gli atleti del nuoto di fondo: la nuotatrice tedesca Leonie Beck dopo la 10 chilometri ha raccontato sul suo profilo Instagram di aver avuto nove attacchi di vomito e diversi altri di diarrea. La stessa Ginevra Taddeucci, nuotatrice italiana che in quella gara ha conquistato la medaglia di bronzo, era stata sottoposta a trattamenti farmacologici in modo da scongiurare possibili infezioni dovute ai batteri presenti nell’acqua della Senna.
Quanto è davvero grave l’inquinamento della Senna
La balneabilità della Senna è stato uno dei temi più delicati di questa edizione delle Olimpiadi, per via dell’incertezza e imprevedibilità dei livelli di inquinamento, che sono strettamente legati alle condizioni meteo: per esempio, la pioggia, se troppo intensa, può far tracimare le acque reflue che defluiscono nel fiume, oppure l’esposizione al sole e alle alte temperature può fa degradare i batteri e favorirne la morte.
Negli anni Sessanta la Senna era stata dichiarata «biologicamente morta» per via dell’inquinamento industriale e agricolo nelle regioni in cui scorre, ma negli ultimi anni sono stati fatti ingenti investimenti per renderla di nuovo balneabile. Sono stati attuati principalmente due tipi di interventi, come riporta Pierre-Antoine Molina, responsabile delle politiche pubbliche nella regione di Parigi: «Abbiamo migliorato gli impianti che distruggono i batteri attraverso l’acido performico e le radiazioni ultraviolette. E abbiamo rinnovato il sistema fognario, per renderlo efficace anche nei giorni di pioggia forte».
Il risultato, però, è stato che solo poche ore prima della partenza della gara individuale femminile di triathlon la Senna è stata finalmente dichiarata balneabile (dopo settimane di incertezza) e i dati sulla presenza di batteri E. Coli ed enterococchi sono stati definiti «molto bassi nei tre punti in cui vengono prelevati i campioni». «Solo un valore risulta superiore alla soglia stabilita», ha precisato la responsabile della Comunicazione di Paris 24, Anne Descamps, nella quotidiana conferenza stampa, «ma si tratta di un punto molto lontano dal sito delle gare».
I rischi per la salute degli atleti
Tuttavia, secondo gli esperti, i rischi sanitari legati all’inquinamento della Senna non possono essere completamente eliminati. Lo ha affermato, tra gli altri, Alessandro Miani, Presidente della Società italiana di medicina ambientale (SIMA): «La presenza nelle acque dei fiumi di batteri fecali, come ad esempio l’Escherichia coli, può provocare infezioni gastrointestinali nell’uomo con sintomi come diarrea e vomito. Si possono verificare poi infezioni della pelle e degli occhi per via del contatto con l’acqua contaminata, con conseguenti eruzioni cutanee e infezioni oculari».
Il rischio non tocca solo gli atleti entrati a diretto contatto con l’acqua contaminata: come specifica Matteo Bassetti, Direttore dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, «queste infezioni poi si trasmettono da persona a persona per via oro-fecale. Eliminando microrganismi, gli infettati possono contagiare qualcun altro».
Di non sola E. Coli è fatto l’inquinamento della Senna
Nella Senna si aggirava un’altra minaccia per gli atleti olimpici (e no, non era lo squalo Lilith). Si tratta dell’acido trifluoroacetico (TFA), un inquinante eterno che fa parte della grande famiglia dei PFAS, le sostanze poli- e per-fluoroalchiliche, la cui origine è riconducibile alla degradazione di vari pesticidi ma non solo. Stando al rapporto realizzato dall’organizzazione ambientalista PAN Europe, l’acqua della Senna ha una concentrazione di TFA pari a 2,900 microgrammi per litro. Un livello ben oltre quello che in altri Paesi è stato dichiarato sicuro per la salute umana.
L’intera famiglia dei PFAS è stata di recente correlata con la mortalità per malattie cardiovascolari, in particolare le malattie cardiache e la cardiopatia ischemica. Nel dicembre 2023 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite ha definito i PFAS «certamente cancerogeni», collegandoli in particolare a casi di cancro del rene e cancro ai testicoli.
E non si tratta di un problema che riguarda solo la Senna. Tutti noi ci esponiamo ai PFAS consumando acqua o cibo contaminati, respirando aria contaminata o utilizzando prodotti realizzati con questi elementi, che sono più comuni di quanto si creda: dai recipienti di cucina resistenti al fuoco al filo interdentale, dalle protesi chirugiche al make-up.
I PFAS e il fiume Serio
Quindi, quanto ci tocca da vicino questo problema? Analizzando la qualità idrica dei fiumi bergamaschi, scopriamo che «il fiume Serio conta al suo interno l’unico corpo idrico in stato ambientale scarso, nel tratto di Mozzanica, causato proprio dal PFOS, che fa parte dei PFAS». Lo fa presente Pietro Genoni, responsabile dell’Unità organizzativa Laghi e monitoraggio biologico fiumi di Arpa Lombardia.
Ma il problema non è solo legato ai PFAS. Il fiume Serio, per esempio, vede la propria qualità declassata anche dall’AMPA, il metabolita del glifosato, l’erbicida più utilizzato nel mondo e anche in Italia.
«Il fiume Serio è rappresentativo della situazione nel Nord Italia, perché è in una zona densamente popolata e industrializzata», spiega Filippo Menga, professore associato di geografia all’Università di Bergamo: «negli ultimi cent’anni ha soddisfatto tutti i bisogni delle comunità locali, tra cui, in primis, quelli idroelettrici, ma anche quelli agricoli e industriali. Tutte queste categorie di utilizzo, per forza di cose, inquinano l’acqua: il regime fluviale viene alterato sia nella qualità dell’acqua che nella temperatura. Senza contare i casi clamorosi di inquinamento criminoso, che si sono verificati in passato e continuano a verificarsi tutt’ora».
La situazione degli altri fiumi
Non è in difficoltà solo il Serio. «Il fiume Brembo nasce a monte con uno stato buono sia ecologico che chimico, ma poi scade in stato sufficiente», fa presente Genoni. «Questo stato peggiorativo è legato principalmente alla presenza dell’AMPA, come per il Serio. I dati più recenti, tuttavia, ci dicono che gli ultimi due tratti sono ora in stato buono, il che ci fa ben sperare».
«I fiumi Adda e Oglio, invece, sono entrambi in stato buono sia chimico che ecologico, ma c’è una brutta notizia», continua sempre Genoni: «i dati più recenti non hanno confermato lo stato di fatto ma anzi stanno abbassando entrambi verso lo stato sufficiente».
Le prospettive di miglioramento della qualità delle acque superficiali bergamasche (e lombarde) sono, al momento, molto risicate. «A livello regionale, abbiamo in stato ecologico buono o elevato il 36% dei corpi idrici naturali monitorati. Anche a Bergamo la situazione è simile: il 30% è in stato almeno buono. Per lo stato chimico le cose vanno un po’ meglio: consegue lo stato buono il 62% dei corpi idrici monitorati in Lombardia, il 74% a Bergamo».
Un problema che non possiamo più ignorare
«È una situazione molto grave, che richiede risposte sistemiche», sentenzia Menga, «ed è lo Stato che deve farsene carico, perché il problema è presente su tutto il territorio nazionale. Ci vuole una coscienza collettiva molto più marcata e delle misure che non possono essere locali o regionali. Dovremmo smettere di chiederci cosa possono fare i fiumi per noi e iniziare a chiederci cosa possiamo fare noi per i nostri fiumi».
Nelle scene di apertura di «Under Paris» c’è una citazione che è un’altra lezione da imparare: «Non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente. È quella che si adatta meglio al cambiamento». I personaggi del film non si sono saputi adattare abbastanza rapidamente e anzi si sono rifiutati di riconoscere il problema anche quando ce l’avevano davanti.
Noi siamo ancora in tempo a imparare a fare di meglio.
- L’inquinamento dei fiumi, un problema che ci ostiniamo a ignorare (e non solo alle Olimpiadi)
- L’allarme per gli atleti ricoverati
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- Un problema che non possiamo più ignorare