Sono nata a Serina, un piccolo paese di montagna in Val Brembana. La mia vita è stata da sempre immersa nel verde, tra l’orto di papà e le erbe aromatiche che usa mamma per l’arrosto domenicale. Sono cresciuta annaffiando le piante, raccogliendo i frutti e, soprattutto, imparando ad amare e rispettare i tempi e i moti della natura.
Ne ho sperimentato sulla mia pelle la forza inarrestabile a sei anni, quando un temporale pazzesco sradicò un noce dietro casa mia. Avvenne di notte; al risveglio, notammo come l’albero, se fosse caduto in un’altra direzione, avrebbe preso in pieno la nostra casa. La percezione di impotenza, di paura e di piccolezza di fronte a quell’evento mi ha insegnato tante cose. Una fra tutte l’accettazione della natura per ciò che è. I ritmi, le regole, quella sensazione di non essere al di sopra, ma dentro.
Le stesse sensazioni, che credevo ormai sepolte in chissà quale cassetto della mia memoria, le ho riscoperte vivide e accese l’anno scorso, a luglio.
Il tiglio
Fuori dalla casa di mia nonna, in centro al paese, c’erano due tigli imponenti e bellissimi. A giudicare da una foto che appare sulla vecchia “Storia di Serina” edita nel 1874 – il ritratto di uno dei due alberi sostenuto da un robusto tutore – si può presupporre che i due siano lì da pochi anni dopo l’Unità d’Italia. Uno dei due tigli nel 2001 è stato intagliato da un artista, che ci ha rappresentato il volto di Gesù Cristo. L’altro, esternamente forte e vigoroso, in realtà dentro di sé celava i segni della vecchiaia e della solitudine. O almeno a me piace pensare così.
Lo scorso luglio il Comune ha deciso che il giorno seguente il tiglio rimanente doveva essere tagliato perché all’interno era marcio e quindi pericoloso. Le mani sapienti di alcuni boscaioli serinesi hanno scelto di non tagliarlo alla base, ma a due metri d’altezza. Questa decisione, inizialmente discussa e dibattuta, si è però rivelata la migliore: il tiglio, oggi, sta vivendo una seconda vecchiaia. Non tanto tempo dopo il taglio, infatti, l’albero secolare ha riempito di foglie verdi un ramo robusto che i lavoratori avevano deciso di lasciare.
Se potesse parlare…
Chissà se gli alberi hanno un’anima. Probabilmente se così fosse il tiglio si sarà sentito sollevato dal pericolo di ferire qualcuno con i suoi rami in disfacimento. I suoi circa 160 anelli concentrici hanno visto succedersi generazioni, guerre, carestie, feste, eventi e chissà quante altre cose. Se potesse parlare, sicuramente ci racconterebbe di quanti bambini ha visto uscire dall’asilo, di fronte all’aiuola in cui ha messo radici. Ci ha guardati entrare il tiglio, a tre anni, tenendo stretta la mano della mamma. E ci ha fissato mentre uscivamo per l’ultima volta, qualche anno dopo, facendo i gradini a due a due e allacciandoci le scarpe da soli.
L’albero è sicuramente anche un ottimo archivio di tutti i tentativi di fuga dall’asilo, compresi i due di mio papà: una volta coronato dal successo, l’altra decisamente meno.
Se il tiglio potesse parlare ci racconterebbe anche di come sono cambiati i tempi: settant’anni fa vedeva i ragazzi partire dal Municipio verso Bergamo, per la visita di leva. Oggi, invece, li vede assonnati e infreddoliti, alle sei di mattina, prendere il pullman per andare alle lezioni dell’Università. Mete diverse, tempi che cambiano, alberi che rimangono.
E poi: il tiglio si sarà mai accorto che proprio nel Convento davanti a lui, durante la Seconda Guerra Mondiale, il coraggioso Don Busa aveva salvato la vita di numerosi ebrei, frammischiandoli a quelli della colonia estiva milanese? Sicuramente quei giovani non si dimenticheranno mai del tiglio, il vigile sicuro e attento che presidiava l’ingresso del Convento che li aveva accolti.
Di certo l’albero secolare ha pianto con i genitori di quei giovani che con la valigia di cartone in mano passavano sotto le sue fronde per raggiungere Bergamo e poi Genova alla volta dell’Argentina, dell’Australia o di chissà dove.
In anni più recenti, il tiglio avrà ammirato il via vai di villeggianti che animano ancora oggi il paese d’estate e che puntualmente si fermano ad ammirarlo. D’estate lavoravo nel negozio di mia nonna e studiavo queste scene albero / essere umano. In cui il tiglio, proprio come una persona, sembrava compiacersi a ogni complimento, conseguenza della sua sfacciata bellezza. I villeggianti si sedevano all’ombra dei suoi rami per ripararsi dal caldo estivo e lui, come per ringraziarli, ogni tanto lasciava cadere una foglia ai loro piedi.
Emozioni
Non è facile ammettere la tristezza che si prova per il taglio di un albero, in questo mondo frenetico che ci vuole tutti un po’ più cinici. Serina, però, ha dimostrato in qualche modo di appartenere al suo albero: in quel giorno di luglio tantissime persone sono andate a far visita al loro vecchio amico. C’erano gli anziani, che probabilmente da giovani erano tra quelli della visita di leva militare. C’erano i ragazzi e c’erano le famiglie con i bambini, a cui qualcuno raccontava cosa significasse quel momento. Ricordo bene una ragazza, mamma di due bambini, che tratteneva le lacrime di fronte al tiglio e nel frattempo gli sorrideva, come a dire grazie.
Può risultare infantile il gesto di ridere, piangere o ringraziare un albero. A uno sguardo superficiale, gli alberi sembrano far parte semplicemente dello sfondo della nostra vita, che invece si concentra su cose ben più pratiche. Pare che l’ambiente intorno a noi sia un elemento in più, quasi decorativo, come a teatro: la qualità della scenografia determina la riuscita dello spettacolo, al centro del palco ci siamo noi.
Invece quel giorno di luglio ho capito che la vita di ogni persona è legata stretta all’ambiente in cui vive. Negli occhi di chi era lì scorrevano come diapositive le immagini di una Serina che fu, anche grazie al tiglio. La sua posizione strategica in centro al paese gli ha assicurato un ruolo da protagonista nella storia di una comunità, con intere generazioni testimoni.
La consapevolezza
Crescere in montagna significa avere consapevolezza dei propri limiti, fisici e ambientali. Le nevicate abbondanti e inaspettate insegnano a prendere coscienza del rischio: non ci si deve improvvisare escursionisti, sciatori o guidatori provetti. Così come le gite in montagna sono maestre del limite: seguire sempre il sentiero, non raccogliere funghi se non si conoscono, ascoltare chi conosce il luogo.
Siamo consapevoli di dove viviamo e siamo consapevoli anche di chi siamo. A volte freddi, un po’ burberi, di poche parole e tanti fatti. Sicuramente grandi lavoratori. A un occhio più attento, però, non può sfuggire che l’affetto che a volte non sappiamo dimostrare l’uno all’altro, trabocca quando si rivolge alla natura. Si tratta di un amore consapevole e ricambiato, che si concretizza in ogni orto, giardino e aiuola.
Il tiglio ci ha insegnato la consapevolezza del tempo che passa e dell’inevitabilità della vita: nonostante la tristezza di quel giorno, ognuno sapeva che quella era la scelta giusta. Ogni montanaro ha sperimentato la pericolosità della montagna, direttamente o indirettamente. Le tristi notizie invernali di slavine o incidenti sono nelle orecchie di tutti e il senso del pericolo è un sentimento quasi quotidiano, fin da piccoli.
La notizia del taglio dell’albero ha risvegliato in noi quel senso di malinconia che precede la perdita. La sensazione che si prova prima di salutare qualcuno che parte per un lungo viaggio. Allo stesso tempo però ci siamo rassicurati nel sapere che ogni elemento del nostro paese è monitorato e controllato per garantire la sicurezza di tutti. Siamo pragmatici, schivi, ma il tiglio quella sera ci ha lasciato addosso una tristezza profonda, che riguarda la nostra identità e il nostro essere al mondo.
Il futuro
Vedere quelle foglie verdi crescere sull’unico ramo rimasto del tiglio è stata una boccata d’aria. L’albero secolare ci ha dato un’altra importante lezione: le risorse per rinascere sono dentro di noi. Le situazioni esterne cambiano continuamente, così come certi eventi accadono e ci travolgono senza alcuna possibilità d’intervento. Il tempo che scorre nei periodi bui, però, non è una pausa dalla vita vera o un intervallo, ma è concreto e reale, e sta a noi decidere come viverlo. Possiamo lasciarci andare oppure mettere tutte le nostre energie nel far fiorire l’unico ramo che ci è rimasto. Quello con cui il tiglio sembra dirci io ci sono, sono ancora qua.