Visitato da mezzo milione di persone solo negli ultimi trent’anni, l’Orto botanico di Bergamo «Lorenzo Rota» è un’istituzione storica, praticamente un monumento, nella cornice della città di Bergamo. Chi non ha mai salito i 140 gradini della Scaletta di Colle Aperto per godersi una visita in mezzo alla natura, tra specie da scoprire e piante note da ritrovare?
Uno tra i pochi nel panorama nazionale ad avere un’identità comunale e non universitaria o legata a parchi, l’Orto festeggia quest’anno il cinquantesimo anno di attività. Un traguardo importante, che spinge a guardarsi indietro ma allo stesso tempo anche a guardare avanti, immaginando il futuro non solo dell’Orto ma anche della città stessa.
Ma, prima di tutto, guardare al presente e alle funzioni che riveste oggi. «L’Orto nasce con l’obiettivo di conservare la biodiversità», ricorda Marzia Marchesi, Assessora al verde pubblico, «ma non si tratta solo di una funzione museale, statica, di archiviazione ed esposizione. È un’azione di continua ricerca ed evoluzione».
Tra le azioni innovative in cui l’Orto è coinvolto c’è il progetto «La Rava e la Fava», finanziato da Regione Lombardia nell’ambito del «Piano di sviluppo rurale». L’obiettivo è «ricercare, tra i coltivatori e gli ortolani del territorio lombardo, le sementi di ortaggi dimenticati, per riscoprire le varietà che sono sopravvissute solo nella produzione locale e che ora possono essere recuperate, studiate e coltivate per garantire loro un futuro».
Un’altra funzione dell’Orto è quella di informare: come spiega Marchesi, si tratta di diffondere «indicazioni teoriche e pratiche per trasformare la società e indirizzarla verso un futuro più sostenibile, anche sperimentando tecniche innovative». Baluardo di questa missione è la Valle della Biodiversità, sezione di Astino dell’Orto, dove esperimenti di sostenibilità sono sempre in corso.
Funzione importantissima, portata avanti da anni e sempre più strutturata, è quella educativa: «percorsi educativi offerti alle scuole, ai cittadini, giovani e adulti, strutturati sul fare, sullo sporcarsi le mani». Infine, la consulenza: «l’Orto supporta la città negli interventi tecnici, aiutando chi progetta le strutture verdi, per la scelta dei materiali, l’utilizzo dell’acqua, ecc. È una funzione correlata alle professionalità che lavorano nell’orto, da Gabriele Rinaldi, che è insostituibile, a tutti gli altri».
Per arrivare qui, l’Orto botanico ne ha fatta di strada. In origine si chiamava Giardino Botanico Bergomense: è stato dedicato a Lorenzo Rota, medico e botanico che per primo descrisse in maniera approfondita nel 1853 la flora della provincia di Bergamo. Ai tempi, la botanica era parte integrante della formazione medica. Rota si occupò dello studio delle piante fanerogame rare e, tra le altre attività, collaborò con l’Istituto di Botanica dell’Università di Pavia.
L’inaugurazione ufficiale risale al 17 giugno 1972, dopo anni di sviluppo del progetto a firma di Luciano Malanchini, ingegnere del settore Lavori Pubblici del Comune di Bergamo, e Guido Isnenghi, pittore e agrotecnico esperto di piante. «Nacque dal sogno di persone che avevano una passione per la botanica e per la salvaguardia di specie autoctone e non solo», ricorda Marchesi. Strettamente legato all’ambito floristico, l’Orto era inizialmente gestito dall’Assessorato al verde.
«Era pensato per mettere in mostra le piante distribuendole secondo gli ambienti di crescita, cioè in chiave ecologica», specifica Gabriele Rinaldi, Direttore dell’Orto, «e dedicava molto spazio alla flora alpina, in un periodo in cui erano molto in voga i giardini botanici alpini e appenninici». «L’intento era avvicinare la città alla montagna: allora la città era molto più verde di oggi, circondata da campagna, mentre la montagna era vista come un territorio selvatico, ricco di rarità e quindi da esplorare».
Protagoniste dell’Orto erano le piante autoctone della provincia di Bergamo. «La Bergamasca è ricca di specie endemiche (cioè esclusive di un dato territorio, ndr)», spiega Rinaldi, «grazie all’Orto, soprattutto in origine, sono state portate alla conoscenza di persone che mai avrebbero percorso luoghi impervi, nonostante le difficoltà di coltivarle al di fuori dei microclimi abituali».
Dopo un periodo di crisi negli anni ‘80, invece, qualcosa è cambiato. Ricorda Rinaldi: «l’assessore Rino Tiani ha chiesto al Museo di scienze naturali, di cui io ero diventato da pochissimo conservatore, un parere su cosa fare per adeguare l’Orto ai tempi correnti. L’evoluzione è stata di entrare nel solco degli orti botanici con impostazione scientifica, prima come parte del Museo e poi come realtà autonoma. L’Orto è diventato quindi un museo vero e proprio, riconosciuto dalla Regione Lombardia».
Fino quasi al 2000, il pubblico ha potuto visitare una superficie di 1350 metri quadri, ai quali sono stati aggiunti dapprima i 400 metri quadri dedicati alle piante mediterranee, poi altri 600 dedicati all’interazione fra piante e uomo, a seguire ancora la piccola serra delle succulente e, infine, l’area per le mostre dei tulipani in primavera e per le piante tropicali in estate. E un percorso di uscita.
«Fino al 2016, per questa sua natura museale, l’Orto è rimasto collegato all’Assessorato alla cultura», ricostruisce Marchesi. Successivamente è tornato all’Assessorato al verde, dove rimane tuttora e all’interno del quale riveste «un ruolo attivo, di laboratorio in continua sperimentazione».
Negli anni, mentre la Città si ampliava, anche l’Orto ha continuato a crescere. Oggi, tutta la superficie a disposizione di circa 3.000 metri quadri è allestita con 800 tra specie e varietà e dal 2015 va ad integrarsi con i 20.000 metri quadri della Valle della Biodiversità. Ultima aggiunta è il Giardino d’Inverno: uno spazio vetrato nel verde di circa 40 metri quadri, sufficiente ad ospitare oltre 30 persone, utilizzabile durante tutto l’arco dell’anno come aula didattica, spazio per eventi e laboratori e, nella stagione più fredda, anche come rifugio per alcune tipologie di piante. In programma per la fine del 2022 anche il completamento del restauro della Polveriera, che diventerà la nuova soglia verde dell’Orto.
Il Cinquantesimo diventa quindi occasione di tirare le somme. Riassume Rinaldi: «se guardiamo all’Orto oggi, vediamo che da una parte ha continuato varie idee base dei fondatori, mentre dall’altra ha modificato la rotta, spostando il focus dalla flora montano-alpina e trasformandosi in un feudo del regno delle piante in generale, accentuando molto il ruolo educativo».
Ma non solo: «salvo la pandemia, abbiamo un centinaio di appuntamenti ogni anno, migliaia di ragazzi che vengono a trovarci, scuole, associazioni, enti. Siamo partner di progetti europei. Ci occupiamo di temi attuali come la sostenibilità del cibo, l’agrobiodiversità, le infrastrutture verdi, l’orticoltura urbana. Abbiamo un’associazione di supporto, gli Amici dell’orto botanico di Bergamo e della Valle della biodiversità. Abbiamo ideato e contribuito alla fondazione della Rete degli orti botanici della Lombardia che proprio quest’anno compie 20 anni».
Un traguardo dopo l’altro, che vede l’Orto come una realtà sempre più sfaccettata. «Non è solo il luogo in cui le piante vengono coltivate», afferma Rinaldi, «ma è anche cultura, educazione, rendersi conto delle dinamiche planetarie e dei problemi che stiamo creando e contribuire alla loro risoluzione».
Intorno al pianeta Orto ruotano numerosissimi satelliti, progetti inaugurati, portati avanti e sviluppati. È il caso per esempio di «BeePathNet reloaded», progetto europeo (ne abbiamo parlato qui) a cui il Comune di Bergamo partecipa come partner attraverso l’Orto botanico, con l’obiettivo di diventare città amica delle api, di sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza delle infrastrutture verdi e degli insetti impollinatori e di far scoprire come la città sia un insieme di ecosistemi integrati in cui la qualità ambientale è necessaria per tutti.
Un’altra iniziativa è il potenziamento della rete degli orti urbani. Marchesi spiega che si stanno «offrendo agli orticoltori amatoriali non solo terre da coltivare ma anche corsi su come fare l’orto in città, gestiti dall’Orto botanico, che vedono decine e decine di orticoltori apprendere nuove pratiche, confrontarsi e imparare le basi della produzione biologica».
Altro progetto recente è «De-PavimentiamoCI: prove di riconciliazione tra costruito e naturalità», una mostra-laboratorio (che abbiamo presentato qui), pensata insieme all’Università di Bergamo, Dipartimento di Ingegneria, nella cornice dell’edizione dello scorso anno de «I Maestri del Paesaggio». Una mostra visitata da 7000 persone, a testimonianza di una sensibilità crescente su questo tipo di argomenti.
Per non parlare dei servizi educativi: il 2022-2023 vede già definiti circa 200 interventi nelle scuole, oltre a «un concorso di selezione per il responsabile dei servizi educativi dell’Orto botanico, finora ruolo assegnato esternamente», spiega Marchesi: «abbiamo deciso di investire sul personale di modo che ci sia continuità e progettualità negli anni».
E se guardiamo avanti, dove è diretto l’Orto? Secondo Rinaldi, «le istituzioni come l’Orto hanno un futuro solo se sono in grado di percepire le domande della società ed evolvere di conseguenza, migliorando se stesse e allo stesso tempo entrando ancora di più nelle dinamiche generali della città».
Per quanto riguarda le finalità dell’Orto, «se all’inizio la frontiera era la wilderness, tra 50 anni saremo sempre più chiamati ad occuparci delle condizioni estreme, meno ospitali, legate ai cambiamenti climatici e all’aumento della densità di popolazione. Mi immagino, nelle aree degradate o meno sostenibili della città, satelliti dell’Orto che partano dalle piante per portare soluzioni e dimostrare che si può trasformare un’area costruita in un’area in cui la protagonista è la biodiversità». Progetti, visioni, nuovi immaginari: i prossimi cinquant’anni dell’Orto botanico saranno sicuramente un’evoluzione continua.