Ogni anno il 24 maggio si festeggia la Giornata Europea dei Parchi : un’iniziativa nata per volontà della Federazione Europea dei Parchi (EUROPARC) per ricordare il giorno in cui, nel 1909, venne istituito in Svezia il primo parco nazionale d’Europa. In Italia i primi Parchi furono creati nel 1922: il Gran Paradiso e il Parco d’Abruzzo. Oggi, più di cento anni dopo, contiamo 843 aree protette terrestri (e terrestri con parte a mare) per una superficie protetta di oltre 3 milioni di ettari, pari a circa il 10,5% della superficie terrestre nazionale.
Quest’anno il tema della Giornata dei Parchi è «Insieme per la natura»: un invito a tutti i soggetti in campo a operare e cooperare per la tutela della biodiversità, per il contrasto ai mutamenti climatici e per uno sviluppo sostenibile. Perché un Parco agisce al meglio quando sa coordinarsi con le altre istituzioni del territorio, specialmente su tematiche importanti come queste. E specialmente se si tratta di un Parco esteso come quello ricompreso nei nostri confini provinciali: il Parco delle Orobie bergamasche.
Con i suoi circa 70.000 ettari, rappresenta una delle più estese aree protette ad elevata naturalità della Lombardia. Comprende gran parte del versante meridionale delle Orobie, con vette che toccano oltre 3.000 metri di altitudine, estese vallate, boschi, praterie, rupi e ghiaioni. Si tratta di un ricco mosaico di ambienti, che costituiscono habitat e ospitano specie floristiche e faunistiche tutelate dalla Unione Europea per il loro elevato valore naturalistico. Gran parte della sua superficie (l’80% circa) è stato riconosciuto come parte del Sistema Rete Natura 2000 , una rete di siti di interesse comunitario e di zone di protezione speciale creata dall’Unione europea per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie, animali e vegetali.
Si tratta, quest’ultimo, di un punto che sta molto a cuore a chi amministra il Parco. «Da molti il Parco delle Orobie è vissuto come un vincolo, una fonte di fastidiose norme e limitazioni – riconosce con dispiacere il Presidente Yvan Caccia – ma vorrei che tutti capissero che è un’istituzione di grandissimo valore. La gestione del territorio è delegata da Regione Lombardia: il Parco è la nostra opportunità di tenere vicino a noi queste funzioni, senza farci imporre nulla da burocrati distanti e poco familiari con le nostre necessità. Abbiamo tra le mani un patrimonio naturalistico ingente, che dobbiamo imparare a valorizzare al meglio delle nostre capacità».
Il progetto «RiforestAzione»
Uno dei progetti chiave che il Parco è riuscito a portare avanti è «RiforestAzione»: «Si tratta di un progetto che verrà avviato in Valle Seriana con il cofinanziamento di Fondazione Cariplo. Comprende una serie di interventi di ripiantumazione e di inserimento di dispositivi per la lotta al bostrico e il contrasto al rischio idrogeologico» riassume Caccia.
Il progetto si inserisce nella quarta edizione della call for ideas «Strategia Clima» di Fondazione Cariplo, lanciata nell’ambito del più ampio progetto «F2C- Fondazione Cariplo per il clima», dedicato alla lotta al cambiamento climatico. Che è un problema che va affrontato su più lati, perché non riguarda solo pochi territori: secondo gli scienziati, gli alberi europei che potranno sopravvivere al cambiamento climatico entro fine secolo sono solo due terzi di quelli attuali.
Il progetto «RiforestAzione» vede come capofila la Comunità Montana Valle Seriana in partenariato con il Parco delle Orobie Bergamasche, la Cooperativa Eliante e l’Università degli Studi di Milano. La strategia si concentrerà su azioni per il miglioramento della gestione del bosco, per aumentarne la capacità di assorbimento di carbonio e per la limitazione del rischio idrogeologico e l’attivazione di processi di governance innovativi e partecipativi.
L’iniziativa servirà anche per intervenire su un grosso problema che il territorio del Parco delle Orobie bergamasche sta affrontando in questi anni: il bostrico. Sono due le aree particolarmente colpite: la zona di Branzi e Valleve in Val Brembana e la zona di Ardesio e Valcanale in Val Seriana. Solo tra Branzi e Valleve si parlava già l’anno scorso di aree danneggiate tra i 200 e i 250 ettari.
«Il bostrico – spiega Davide Giurini, dottore agronomo, consulente nel settore forestale e ambientale, che da vent’anni lavora nella bergamasca – è il principale parassita dell’abete rosso, protagonista dei nostri boschi alpini. Attacca le piante non in salute, che per esempio hanno vissuto stress idrico per via della siccità, oppure sono state danneggiate da eventi meteorologici. Dopo aver svernato sotto la corteccia o alla base degli alberi, in primavera esce, individua le piante in difficoltà, si insinua sotto corteccia, si accoppia e deposita le larve che si sviluppano nel giro di 30-40 giorni. Al termine di questo ciclo la pianta colonizzata è morta, perché il bostrico ha scavato piccole gallerie sotto la corteccia e ha interrotto il flusso di acqua e nutrienti».
Il problema principale è che, come riporta Giurini, «non ci sono metodi efficaci di lotta al bostrico». Quello che dovremmo fare sarebbe «individuare tempestivamente le piante secche, appena colpite, per tagliarle e allontanarle dal bosco, e con loro le popolazioni di bostrico ancora attive sotto la loro corteccia», ma non sempre è possibile. I motivi sono diversi: una cura del territorio boschivo meno presente rispetto a pochi decenni fa, finanziamenti non sufficienti e stanziati in maniera tardiva, un ambiente montano accidentato, scomodo, con poche strade forestali, dove gli interventi sono resi molto più complicati ed è difficile trovare imprese boschive che se ne occupino.
Quello che è possibile fare, che si sta già facendo e che si continuerà a fare anche nell’ambito del progetto «RiforestAzione», è introdurre «interventi di rimboschimento dopo che sono state rimosse le piante bostricate. Nel giro di qualche decennio, la presenza dell’abete rosso nei nostri boschi sarà molto più ristretta. Questa specie non è originaria dei nostri territori, ma è stata introdotta con le piantumazioni del Dopoguerra, che prediligevano l’abete rosso come fonte di legname per l’edilizia. A lungo termine ci sarà un ritorno naturale all’equilibrio floristico originario dei nostri boschi, in cui le latifoglie, come il faggio o il frassino, più adatte al nostro clima, riconquisteranno gli spazi che in passato sono stati artificialmente riservati all’abete rosso».
La situazione dei ghiacciai
Se l’ambiente boschivo può sperare di tornare in equilibrio, qualcosa che non tornerà più e che, anzi, sarà sempre più rara (e non solo nei nostri territori) è la presenza di ghiacciai. Secondo Legambiente, entro il 2050 tutti i corpi glaciali al di sotto dei 3500 metri di quota saranno scomparsi.
I ghiacciai delle Orobie sono tenuti sotto controllo dal Servizio Glaciologico Lombardo. Traccia un bilancio per loro il meteorologo e glaciologo Mattia Gussoni: «In Lombardia ci sono 203 ghiacciai, per un totale di 70 km quadrati di superficie. Quello che vediamo è solo un residuo di quello che c’era anche solo trent’anni fa. Ogni anno perdiamo circa 1,6 km quadrati di ghiaccio, l’equivalente di 220 campi di calcio. Il bilancio è pazzesco: dal 1991 ad oggi sono spariti 124 ghiacciai».
Il ghiacciaio lombardo che ha subito di più le sorti del riscaldamento globale è bergamasco: si tratta del ghiacciaio del Trobio, noto anche come il ghiacciaio del Gleno, che nel 2023 è stato ufficialmente dichiarato estinto. «All’inizio del secolo scorso si estendeva su oltre cento ettari: oggi non c’è più niente, rimane solo una gran pietraia» riporta Gussoni. A minacciare la sorte dei nostri ghiacciai sono diversi fattori, tutti legati al cambiamento climatico. «La criticità maggiore è l’estate: ci vogliono cinque anni perché un fiocco di neve si trasformi in ghiaccio. Per cinque anni, il fiocco di neve non deve fondere. È un processo che oggi non avviene quasi più, se non a quote elevatissime, a causa dei periodi di caldo intenso e prolungato che non interessano più solo l’estate meteorologica canonica».
«I ghiacciai sono l’ambito in cui gli effetti del cambiamento climatico sul Parco delle Orobie si sono più fatti sentire» riconosce Davide Brumana, direttore del Parco. «Il Gleno ne è solo l’esempio più eclatante. In quella zona abbiamo attivato un progetto in collaborazione con l’Università degli studi di Milano per fare una valutazione della popolazione floristica ed entomologica, per capire l’evoluzione e l’involuzione delle specie presenti dove esisteva un ghiacciaio».
È, questo, solo uno degli ambiti in cui il Parco si mette in gioco attivamente per salvaguardare la biodiversità del territorio. Un altro intervento importante, che vede il Parco in prima fila, è la riqualificazione dell’area degli ex impianti di Valcanale. Come spiega il Presidente Caccia, «lì nascerà un polo della biodiversità, dove il focus sarà la didattica e l’implementazione di study visit per sensibilizzare sul tema della biodiversità, in collaborazione, tra gli altri, con Legambiente e l’Università degli Studi di Bergamo».
Il polo sarà ricavato nella zona attualmente occupata dall’ex albergo Sempreneve e si svilupperà su tre livelli. Il piano seminterrato ospiterà spazi museali, dove saranno allestite mostre interattive e immersive. Il piano rialzato sarà adibito a spazi ricreativi e di accoglienza. Il primo piano ospiterà aule didattiche per laboratori e corsi educativi, oltre a una piccola foresteria per ricercatori e studenti.
L’intervento si inserisce nel progetto messo a punto da Comuni e Comunità montane per rilanciare Val Seriana e Val di Scalve. Un ultimo (ma non ultimo) esempio di come si può lavorare «insieme per la natura», e non solo nella Giornata dei Parchi.