“C’è una serie di sfide davanti a noi: la crisi ambientale, la crisi sanitaria, la crisi sociale. Tutte queste sfide le possiamo trattare attraverso il ripensamento degli spazi urbani”: così Emanuele Garda, ricercatore in Tecnica e pianificazione urbanistica presso il Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate dell’Università degli Studi di Bergamo, definisce il contesto in cui si inserisce “De-PavimentiamoCI: prove di riconciliazione tra costruito e naturalità”.
Una mostra-laboratorio, pensata insieme all’Orto Botanico di Bergamo, che ha preso il via ieri all’interno del palinsesto de I Maestri del Paesaggio - Landscape Festival 2021 e ospiterà i visitatori dal 16 al 26 settembre presso la Sala Viscontea di Piazza Cittadella in Città Alta (orari 10 – 13 e 15 – 18). L’inaugurazione si è tenuta ieri alla presenza del Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, dell’assessore all’Ambiente Stefano Zenoni, del Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini e della Direttrice del Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate Giovanna Barigozzi.
Insieme a Garda tra i curatori della mostra, Alessio Cardaci, professore di Disegno e Rilievo e restauro presso lo stesso Dipartimento, lo definisce “un progetto complesso, che contiene sia un’idea green, che è quella portata avanti dal punto di vista botanico, che un’idea funzionale, che consente di non perdere spazi utili”.
Il concetto alla base è tanto semplice quanto rivoluzionario: “Lo sviluppo urbano non necessariamente va nella direzione del pavimentare tutto, anzi”, afferma con sicurezza Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico di Bergamo, ente promotore dell’iniziativa. Siamo talmente abituati ad associare la città con l’asfalto che l’idea di eradicarlo intacca il nostro stesso immaginario. Ecco allora che entra in gioco una prospettiva diversa, quella della depavimentazione, in inglese depaving o desealing. “Entrambi i termini significano strappare, togliere la superficie impermeabile del suolo per cercare di restituirgli la sua permeabilità”, spiega in breve il prof. Cardaci.
In parole povere, “come quando indossiamo un una giacca a vento ma poi la togliamo per non sudare. L’idea è esattamente questa: cercare di utilizzare pavimenti urbani che possano essere rimossi”. Il concetto non è solo far spazio a nuove aree verdi, ma accorgerci che la città è un organismo complesso, in cui hanno un ruolo fondamentale “i servizi ecosistemici che le aree con suolo, le aree permeabili e le aree con verde offrono”, spiega Rinaldi.
Tra questi contiamo “la capacità di lasciare filtrare l’acqua e quindi di ridurre il carico delle acque superficiali che devono essere smaltite, la proprietà del suolo di essere un ecosistema vivo e di stoccare anidride carbonica, la funzione degli alberi di produrre sostanze che riversano nel terreno per alimentare gli altri organismi con cui vivono in simbiosi”.
Riconosciuto il valore sfaccettato delle aree verdi, il passaggio successivo è una progettazione urbana ecocompatibile: “ad esempio”, continua Rinaldi, “se parliamo di parcheggi, non è obbligatorio che siano pavimentati con l’asfalto. Possono anche essere fatti con materiali in grado, da una parte, di facilitare la permeabilità e quindi consentire l’infiltrazione dell’acqua, e, dall’altro, di supportare una copertura erbacea”. “La cosa fondamentale”, riassume Cardaci, “è dare permeabilità al suolo utilizzando materiali ecologici, riciclabili e coerenti con l’urbanistica moderna”.
Del resto, come ci ricorda lo stesso Cardaci, “cent’anni fa le pavimentazioni impermeabili non esistevano: le strade erano fatte di terra battuta”. Una realtà anche per Bergamo, che all’inizio del secolo scorso ha visto una svolta di cui ancora oggi paga le conseguenze: “sulle Mura sono stati eretti dei muretti e, accanto, la passeggiata asfaltata che ancora oggi vediamo, la quale causa la stagnazione dell’acqua piovana e molti problemi di umidità sulla parte alta delle Mura; in sostanza, un deterioramente di quella che è la città storica”.
Ma anche la dinamica opposta, non la costruzione ma la decostruzione, ha sempre fatto parte delle dinamiche di evoluzione di ogni città: come riassume Garda, “abbiamo smontato i resti di Roma e costruito edifici medievali. La città cambia per aggiunta, per conservazione, ma anche per sottrazione”. Depavimentare “non vuol dire prendere la natura e portarla in città: vuol dire creare un rapporto diverso tra città e natura”.
Le nostre città hanno bisogno oggi più che mai di cambiamento. Isole di calore, inondazioni, perdita di biodiversità sono solo alcuni dei problemi su scala urbana imputabili all’impermeabilizzazione del suolo. Il cambiamento non può che partire dal basso: afferma Rinaldi che l’obiettivo della mostra è “far entrare nel linguaggio, nei discorsi, nelle conversazioni e anche nelle attività educative i concetti di depavimentazione, deimpermeabilizzazione, desigillatura”. Da una svolta in questo senso abbiamo tutti da guadagnarci: “otteniamo città più verdi, più rilassanti, meno calde d’estate, più belle da percorrere, da vivere, che ci mettono in sintonia con la natura”.
Il pubblico a cui “DePavimentiamoCI” si propone è dei più disparati: “questa mostra vuole essere un momento per dar voce e capire le opinioni non solo del territorio o dei naturalisti, ma anche di ingegneri, architetti, geometri e gli altri ordini professionali”, spiega Cardaci. Il motivo è semplice: come sintetizza Garda, “la città non è solo degli urbanisti: è un bene comune di tutti. È per questo che vogliamo coinvolgere tutti i professionisti”.
La mostra, che in forma di esposizione durerà fino a gennaio 2022, prevede una serie di eventi a carattere educativo e divulgativo per coinvolgere la cittadinanza, gli studenti e le istituzioni. L’attività di public engagement ruota attorno a quattro importanti azioni. “Il cuore del progetto è la mostra”, afferma Cardaci, “un atelier espositivo aperto al pubblico, in cui le fotografie e i materiali esposti sono pensati per sensibilizzare sul tema del depaving”.
Esposta una ricchissima documentazione di casi di successo del mondo, come racconta Garda. “Per esempio a Portland, in Oregon (USA), fin dal 2006 l’associazione Depave, composta da giovani professionisti, identifica piccoli spazi impermeabili, chiede i permessi e organizza una giornata-evento con il coinvolgimento degli abitanti. L’associazione taglia l’asfalto il giorno prima, mentre gli abitanti arrivano il giorno dopo e lo scorticano. Il suolo è trasformato in orti, giardini, aree filtranti per l’acqua”.
“Con queste azioni”, spiega Garda, “i cittadini rigenerano lo spazio, rendendolo multifunzionale: questi spazi servono ad abbellire la città, a creare nuove opportunità di uso, a gestire l’acqua piovana, a ridurre le isole di calore urbano e inoltre a generare il senso di comunità, di appartenenza. La comunità si ritrova e insieme si riappropria degli spazi”.
La mostra conta anche altri spazi: la Sala Viscontea in Città Alta accoglierà installazioni e laboratori; I Fuori dall’Aula sono lezioni universitarie aperte alla cittadinanza; Intrattieniamoci con i bambini conta infine incontri con le scuole.
Quindi, in breve, quali sono le prospettive per Bergamo sul tema depavimentazione?
“Potenzialmente gli strumenti ci sono”, conclude Rinaldi: “Serve però un cambio di mentalità, sia in chi progetta sia nella cittadinanza. Perché sono soluzioni che richiedono che le persone siano pronte al cambiamento. Se la mentalità del singolo cittadino è quella di volere asfalto dappertutto, allora è chiaro che diventa più difficile introdurre soluzioni alternative. Bisogna fare un lavoro sia tecnico sia di progetto, ma soprattutto di cultura”.