Oltre duecento riviste scientifiche internazionali hanno fatto appello alle Nazioni Unite, ai leader politici e ai professionisti della salute di tutto il mondo chiedendo di riconoscere che il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità siano un problema unico, da trattare congiuntamente per preservare la nostra stessa salute ed evitare una crisi mondiale.
A tal fine, hanno lanciato un appello all’OMS dall’esplicativo titolo «È ora di trattare la crisi climatica e naturale come un’unica emergenza sanitaria globale indivisibile». Una richiesta forte, che potrebbe sembrare fuorviante, ma per la quale in realtà ci sono tutti i prerequisiti. Vediamo quali sono e perché, per uscire da questa grande crisi globale, c’è bisogno di adottare un approccio integrato.
Le premesse: un circolo vizioso
Quello tra cambiamento climatico e perdita di biodiversità è un rapporto a due direzioni, in cui ciascuna delle due parti influenza l’altra. Da un lato siccità, incendi, inondazioni e tutti gli effetti dell’aumento delle temperature globali distruggono infatti la vita vegetale e animale. Dall’altro, la distruzione degli habitat e delle specie naturali accelera l’erosione del suolo e inibiscono lo stoccaggio del carbonio: un circolo vizioso che non fa altro che riscaldare ulteriormente il pianeta. Si stima che il cambiamento climatico diventerà presto la prima causa della perdita della natura, superando le attività umane come la deforestazione e il consumo del suolo.
Tutto ciò ha prevedibilmente effetti sulla nostra stessa salute. L’aumento delle temperature, gli eventi meteorologici estremi, l’inquinamento atmosferico e la diffusione di malattie infettive, aggravate dai cambiamenti climatici, sono alcune delle principali minacce che dovremo aspettarci con sempre più rilevanza nel prossimo futuro.
Allo stesso tempo, agire contro i cambiamenti climatici non può e non deve prescindere da una considerazione sugli effetti di queste azioni sulla biodiversità: per esempio, banalizzando, piantare alberi contribuisce senz’altro ad abbassare i livelli di anidride carbonica in atmosfera, ma, se fatto senza criterio, può danneggiare l’equilibrio dell’ecosistema locale. D’altro canto, le azioni a beneficio di uno e dell’altro aspetto hanno spesso ricadute positive sulla salute: basti pensare all’effetto benefico degli spazi verdi con piante autoctone nei contesti urbani che, allo stesso tempo, migliorano la salute fisica e mentale di chi ci abita, abbassano i livelli di inquinamento e aiutano a preservare le popolazioni di insetti impollinatori.
Perché chiedere l’emergenza sanitaria globale
Per quanto la teoria sia diffusamente accettata, nella pratica l’approccio politico si muove ancora su due piani diversi. Basti pensare che le principali conferenze sui due temi sono separate: la «COP28» (la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) si terrà tra poche settimane a Dubai, mentre la «COP16» (la Conferenza delle Parti per la Convenzione sulla Diversità Biologica) si terrà in Turchia nel 2024. Perfino i gruppi di ricerca che lavorano e forniscono le prove ed evidenze scientifiche alle diverse «COP» difficilmente entrano in contatto tra loro.
Da qui l’urgenza di chiedere che i piani vadano sempre più sovrapponendosi, per far sì che la strategia di azione sia sempre più integrata. Ma perché chiedere che venga dichiarata l’emergenza sanitaria globale? I tre prerequisiti affinché l’OMS dichiari una situazione un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale sono che sia grave, improvvisa, insolita o inaspettata, che comporti implicazioni per la salute pubblica oltre i confini nazionali e che richieda un’azione internazionale immediata. Come si applicano questi prerequisiti al tema del cambiamento climatico?
«Che sia grave, improvvisa, insolita o inaspettata»
Lo dice anche la Commissione europea: «i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia molto grave e le loro conseguenze si ripercuotono su molti aspetti diversi della nostra vita» . La Commissione li raggruppa in quattro diversi gruppi: le conseguenze naturali, le minacce sociali, le minacce per le imprese e le minacce territoriali. È chiaramente considerato un rischio pervasivo, urgente e in grado di cambiare in modo permanente ogni aspetto della nostra vita: tutti criteri che rientrano nella definizione di gravità.
«Che comporti implicazioni per la salute pubblica oltre i confini nazionali»
Tra le conseguenze sulla salute, la Commissione fa una premessa forse inaspettata: «I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia significativa non solo per la salute umana, ma anche per la salute degli animali e delle piante». Eccolo qui, il legame con la biodiversità.
Tra gli effetti dei cambiamenti climatici che ricadono sotto questo cappello sono citati per esempio l’aumento della mortalità estiva legata al calore (decessi) e della morbilità (malattie), l’aumento del rischio di incidenti e impatti sul benessere generale derivanti da eventi meteorologici estremi e il cambiamenti nell’impatto delle malattie trasmesse da vettori, roditori, acqua o alimenti (lo abbiamo visto con il covid).
«Che richieda un’azione internazionale immediata»
Tra tutti gli appelli urgenti che da anni vengono rivolti alla comunità internazionale perché si agisca contro il cambiamento climatico, i più significativi sono quelli dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), che regolarmente ricorda come solo «un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti» . Già dal 2018 l’IPCC ha iniziato a sottolineare «la portata senza precedenti della sfida necessaria a contenere il riscaldamento entro 1,5°C».
Oggi, la situazione è ancora più grave e la necessità di agire ancora più impellente e distribuita su tutti gli Stati del mondo: «I cambiamenti trasformativi hanno maggiori probabilità di successo quando c’è fiducia, quando tutti collaborano per dare priorità alla riduzione dei rischi e quando i benefici e gli oneri sono condivisi in modo equo».
Cosa comporta tutto questo nel nostro piccolo
L’appello delle duecento riviste scientifiche all’emergenza sanitaria globale elenca come primo passo una migliore integrazione dei piani climatici nazionali con gli equivalenti in materia di biodiversità. Se in Italia in generale questi due piani sono ancora molto slegati, come nel resto del mondo, in Lombardia si sta comunque cercando di fare qualche passo avanti.
Mentre era in corso lo scorso dicembre la «COP1»5 (la quindicesima Conferenza delle Parti per la Convenzione sulla Diversità Biologica), Regione Lombardia ha approvato la Strategia regionale per la biodiversità. Si tratta di un documento in cui sono definite le linee di indirizzo per la salvaguardia della biodiversità, che è considerato un «tema trasversale delle politiche regionali, della programmazione, pianificazione e progettazione nel territorio regionale».
Il documento è di fondamentale importanza per una regione, come la Lombardia, che, pur essendo fortemente urbanizzata, conserva una significativa varietà biologica. Si contano all’interno dei confini regionali 57 habitat, 71 specie animali e vegetali di interesse comunitario e 87 specie di uccelli particolarmente tutelati. Quasi un quarto del territorio è interessato da aree protette, con diversi livelli di tutela, in linea con l’obiettivo approvato proprio dalla «COP15» di raggiungere a livello globale un target minimo pari al 30% di aree tutelate nel 2030 (anche detto in breve «obiettivo 30×30»).
La Lombardia, tuttavia, è anche la regione italiana in cui si riscontra il maggior numero di specie esotiche invasive, oggi tra le principali minacce alla biodiversità. Nel territorio regionale sono presenti 31 delle 88 specie invasive incluse nella lista di rilevanza unionale (Reg EU 1143/2014) e per questo è stata approvata una strategia di intervento dedicata. In via di lavorazione è anche la nuova legge regionale sul clima. La speranza è che venga presto riconosciuta, non solo a livello locale ma anche nazionale e soprattutto internazionale, l’interconnessione tra tutte le dimensioni della crisi climatica, ambientale e naturale, e che si decida di agire di conseguenza.