Possiamo ipotizzare che circa diecimila anni fa, in quella striscia di terra che oggi ha vari nomi (India settentrionale, Pakistan, Iran, Iraq, Siria), quello che allora era il passero selvatico, molto simile a quello di oggi (detto anche passero battriano), abbia iniziato a trovare più facilmente cibo rimanendo appollaiato sugli alberi intorno ai villaggi sorti nelle valli più fertili, dove si è sviluppata l’agricoltura.
L’alternativa infatti era cercare con difficoltà semi più piccoli nelle steppe e nelle aree semidesertiche dell’Asia occidentale e meridionale, quando in prossimità dei villaggi era più facile accaparrarsi le granaglie del foraggio (che i nostri antenati coltivavano prima del grano). Più nutrienti e gustose, davano loro una maggiore quantità di energia per sopravvivere, covare nidiate più numerose e migrare. Senza contare che già le case di dieci millenni fa presentavano tutto un repertorio di fessure e rientranze dove nidificare, molto più comode delle crepe naturali di cui fino a quel momento i passeri selvatici andavano in cerca.
Da questi due presupposti (cibo più facile da trovare e spazi dove nidificare a portata di mano) inizia la storia di vicinanza fra gli esseri umani e i passeri. Che piano piano hanno conquistato tutto il mondo, spesso spostandosi insieme all’uomo, laddove quest’ultimo abbia costruito case, formando paesi, città, metropoli. Agglomerati urbani che significano campi seminati a grano nelle aree più rurali e cibo lasciato incustodito o gettato in pasto agli uccelli laddove il consumo accelera e di conseguenza lo spreco alimentare.
Quella dei passeri è un classico esempio di come l’antropizzazione umana sappia cambiare il destino degli animali, così ad esempio racconta Chris D. Thomas nel suo bellissimo “Il mondo di domani. La natura nell’età dell’estinzione” (Aboca edizioni). Libro che descrive l’azione dell’uomo su quella che chiamiamo “natura” in una prospettiva non sempre negativa, tenendo ben presente però che quello della biodiversità è uno dei problemi centrali del nostro tempo antropocenico.
A volte più furbi di noi
Uccelli stanziali di colore marrone chiaro e grigio (i maschi hanno segni neri, bianchi e marroni più luminosi), i passeri oggi sono diffusi in tutto il mondo, dall’Asia all’America, e ovviamente anche in Europa e in Italia. Da un lato hanno trovato nel mondo globalizzato – fra villaggi, fattorie e metropoli – quelle stesse caratteristiche dei loro luoghi d’origine, dove ancora si trovano passeri selvatici a caccia di vermi e semi; dall’altro hanno saputo adattarsi alle situazioni che si trovavano di fronte. In certi casi hanno invece approfittato a modo loro delle scelte (errate) dell’uomo: accadde ad esempio nell’Ottocento negli Stati Uniti, dove i passeri importati dall’Inghilterra – che si nutrivano dei semi contenuti nel letame a bordo strada della New York di allora – vennero liberati in un centinaio di cittadine a prevalenza agricola dei trentanove stati dell’Unione. Obiettivo: contrastare il problema dei bruchi nei campi coltivati e degli afidi del tiglio. Risultato: finirono per beccare soprattutto il grano caduto a terra nei campi.
Da un caso come questo possiamo comprendere il rapporto di amore e odio fra i passeri domestici e l’uomo: addirittura nel 1556 la regina d’Inghilterra Elisabetta emanò una legge che equiparava i passeri a dei veri e propri parassiti, fissando una taglia per ogni esemplare catturato sul suolo inglese. Basta poi chiedere a un contadino cosa ne pensi dei passeri che mangiano i semi per cogliere la complessità di un rapporto fatto di furbizia, soluzioni homemade (gli spaventapasseri), colpi di fucile e avvelenamento. Del resto i passeri nella percezione comune sono uccelli contraddittori: portano malattie agli uomini e agli animali, ma al contempo ripuliscono i terreni dagli insetti nocivi.
Passeri (e altre specie) in calo
Fino ad oggi ogni tentativo di controllo su larga scala del passero domestico è fallito. L’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) – un’organizzazione internazionale no profit che opera nel campo della conservazione della natura e dell’uso sostenibile delle risorse naturali – stima una presenza di 1,4 miliardi di passeri in tutto il mondo, non includendo il volatile nella Lista rossa delle specie minacciate.
Nonostante ciò, in alcune zone del nostro pianeta i passeri oggi sono in calo: in Nord America, in Europa Occidentale e in Australia, dove il passero domestico è stato introdotto solo di recente. In Italia, la Lipu ha stimato che in vent’anni le campagne italiane hanno perso tra gli 8 e i 14 milioni di volatili appartenenti a 41 specie di uccelli, passeri compresi. Tra le cause la predazione (ad esempio da parte degli sparvieri eurasiatici, che però non riguarda il nostro Paese); l’intensificazione delle pratiche agricole e il conseguente mutamento del paesaggio (con la scomparsa di prati che non vengono arati per molto tempo, filari, siepi, etc.); malattie come la malaria aviaria; il cambiamento climatico e quindi quello delle temperature; ma anche la mancanza di luoghi urbani di nidificazione, la cui progettazione non si adatta più alla nidificazione dei passeri.
Da non dimenticare pure la carenza di insetti, causata da un incremento delle colture monocolturali; l’utilizzo diffuso di pesticidi; la sostituzione di piante autoctone nelle città con piante introdotte e la diffusione dell’asfalto a sfavore delle zone verdi (sensibilità che negli ultimi anni sembra essere cambiata).
Le casette per uccelli
Che cosa fare di fronte a tutto ciò? È la classica domanda che ci si fa dinanzi ai diversi problemi portati dal riscaldamento globale, fra cui le crisi di biodiversità, come quella del passero nei luoghi appena citati. In Italia il passero domestico, detto anche passero italiano o spagnolo, sebbene in calo dagli anni Novanta, è presente tutto l’anno ed è l’inverno la stagione più difficile per l’approvvigionamento di cibo. Una soluzione, che ha anche un risvolto di senso di cui parleremo dopo, è quella di mettere su un albero nel proprio giardino o appeso ad una parete della propria casa una casetta per gli uccelli. Ne esistono di vari tipi per forma e struttura: chi scrive ha acquistato la sua prima casetta di cartone cerato, dunque resistente all’acqua e non troppo dispendiosa (del resto è un primo esperimento).
Nell’affiggerla all’unico albero del mio giardino – che vedo anche dalla postazione in cui sto scrivendo: se sono fortunato posso assistere a dei piccoli esempi casalinghi di birdwatching – ho seguito alcune regole, valide anche per altri tipi di uccelli (nelle nostre zone tortore dal collare, colombacci, gazze, cince, cornacchie grigie, verzellini, fringuelli, storni, codirossi spazzacamino, ballerine bianche e gialle etc.).
Dove: l’accesso alla casetta deve essere posizionato in alto, ad un’altezza di almeno 3 metri, in modo che non sia “invitante” per i predatori come i gatti. La casetta deve stare non troppo vicino all’angolazione di vento prevalente; infine nelle zone più fredde è meglio porre la facciata verso sud-sud est, per avere una maggiore esposizione al sole.
Quando: l’autunno e l’inverno sono le due stagioni migliori per installare una casetta. Solitamente gli uccelli nidificano in primavera, quindi avere un “supporto” al loro sostentamento nelle stagioni più fredde è la cosa migliore.
Cosa mangiano: i passeri e gli altri uccelli selvatici mangiano soprattutto semi: di girasole, di canapa e di papavero. Amano la frutta, anche quella secca come ad esempio mele, uvetta, crusca e fiocchi d’avena.
Come costruire la casetta: se volete passare subito oltre la casetta di cartone cerato, esistono diverse soluzioni: in legno, con una zucca, con delle bottiglie di plastica (qui le istruzioni). Oppure potete acquistarne una, in commercio ce ne sono di diversi tipi, forse la più pratica è quella a silos, che permette di mettere molto cibo a disposizione dei volatili.
Quali cibi evitare: bisogna stare molto attenti al cibo dato agli uccelli, passeri in primis, perché può facilmente avvelenarli, non solo se ad esempio il cibo è contaminato o se contiene sostanze difficili da digerire. I produttori di cibo per uccelli (per intenderci: quello che si trova al supermercato per i canarini e le cocorite) spesso usano prodotti di scarsa qualità o inadatti (grasso di pancetta o altre carni, ma anche nitrati). Meglio evitare anche il miglio rosso, il miglio dorato, il lino (che spesso vengono usati come riempitivi delle miscele) e il pane, i cracker o altri carboidrati trasformati industrialmente, che possono essere costituiti da sostanze dannose.
In risonanza con gli uccelli
Nella cosmologia cinese oltre alla vista, all’udito, al gusto e al tatto, esiste un “sesto senso” che non riguarda la maggiore capacità intuitiva di una persona ma la correlazione fra l’essere umano e ogni forma vivente. In cinese si dice Ganying e può essere tradotto come “sentimento”, “risposta” o “risonanza”, che è forse la traduzione più adatta per quanto riguarda il rapporto con i passeri e tutti gli uccelli che popolano i nostri luoghi. Il Ganying comporta un’omogeneità tra tutti gli esseri e un’organicità delle relazioni tra parte e parte e tra parte e tutto.
È un modo differente, ma non meno efficace, per parlare di quell’obbligo morale che ci spetta nel contemporaneo. Un cambio di paradigma che riguarda il passaggio dall’uomo come dominatore degli esseri viventi e delle realtà non-viventi del nostro pianeta (idea avanzata nei secoli che ha portato allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e alla riduzione della biodiversità del pianeta attraverso l’inquinamento o il disboscamento: insomma alla situazione odierna), all’uomo come essere orizzontalmente interconnesso a tutte le specie viventi e non, responsabile del presente e del futuro della Terra.
Il piccolo gesto di installare una casetta per gli uccelli non è di certo la soluzione a tutti i problemi del mondo, ma un modo per attuare questa risonanza, che non è univoca, ma reciproca: mettere a disposizione del cibo per gli uccelli significa “invitarli” a mangiare i parassiti del nostro orto oppure semplicemente tornare a guardare la bellezza di ciò che ci sta intorno, come gli uccelli appunto, “codici” di una nuova “geometria esistenziale”. Come cantava Franco Battiato: “Aprono le ali / scendono in picchiata, atterrano / meglio di aeroplani / cambiano le prospettive al mondo / voli imprevedibili ed ascese velocissime / traiettorie impercettibili / codici di geometria esistenziale”.