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«Bergamo Next Level», il futuro del clima dipende da quanto sapremo valorizzare le montagne

Articolo. Sabato 20 aprile alle 15 nell’Auditorium di Piazza della Libertà a Bergamo si discuterà del ruolo delle montagne ora e nel prossimo futuro, e di quanto la chiave per lo sviluppo del nostro territorio risieda nella capacità di riconoscere il loro valore

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Valzurio, Orobie

Da persona nata e cresciuta in un paesino di cento anime in cima alla Valle Seriana, ho sempre trovato strano il fatto che la prima osservazione sbalordita delle persone che incontravo in città fosse quanto fossi lontana rispetto a tutti i servizi che loro erano abituati ad avere a portata di mano e non quanto, invece, fossi vicina a tutta un’altra serie di risorse che avevano sempre fatto parte della mia quotidianità. Parliamo di sentieri, fiumi, laghi, piste ciclabili, rifugi: non li avrei mai scambiati con grosse aziende in cui lavorare, supermercati, teatri, cinema, musei. Non avevo bisogno di avere niente di tutto questo fuori dalla porta. Della natura, invece, non avrei mai potuto fare a meno.

Di cambi di prospettive di questo tipo e di possibilità di sviluppo delle mie amate montagne si parlerà sabato 20 aprile alle 15 presso l’Auditorium di Piazza della Libertà a Bergamo, in un incontro inserito all’interno di «Bergamo Next Level» dal titolo « Insieme per le montagne: istituzioni, comunità e giovani a confronto ». Un dialogo su più piani e con più attori coinvolti, ma con una sola domanda: cosa possiamo fare per riconoscere e valorizzare le risorse che le montagne ci procurano da sempre?

«La montagna – affermano gli organizzatori dell’incontro – rappresenta un patrimonio di estremo valore grazie alla presenza di risorse paesaggistiche e ambientali sempre più cruciali su scala planetaria». Ecco perché, secondo loro, «i luoghi della montagna devono essere al centro di progetti e politiche capaci di attrarre i giovani, di creare nuove opportunità di lavoro e buone pratiche di valorizzazione culturale, promuovendo i sistemi produttivi locali e alimentando reti di collaborazione reciproca tra aree urbane e contesti vallivi».

Di qui, l’intenzione dietro all’incontro di sabato: «Riflettere su sfide e strategie territoriali di governance multilivello, dando voce alle opportunità di ricerca, formazione e terza missione universitaria come leve di progettualità partecipative». Con qualche piacevole plus: sarà infatti possibile, nel corso della giornata, degustare prodotti tipici della montagna lombarda e partecipare alla visita guidata a un percorso espositivo.

Per Federica Burini, professoressa di Geografia del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università degli studi di Bergamo, tra gli organizzatori dell’evento, la priorità è chiara: «Viviamo in un momento di crisi globale e la montagna è uno scrigno di risorse naturalistiche e culturali che dovremmo considerare un patrimonio essenziale per uscirne». Parliamo di crisi climatica e non solo: le risorse che la montagna racchiude coprono tantissime esigenze diverse. Burini fa un esempio su tutti: «Pensiamo all’acqua: l’acqua è una questione globale di attenzione e la montagna è il più grande serbatoio di acqua potabile del mondo, che produce acqua per chi la abita, dalle cime alle pendici e oltre».

Secondo Burini, la montagna «dovrebbe essere al centro delle nostre politiche: dovremmo osservare un rispetto profondo per le sue risorse e fare in modo che le comunità che la vivono possano goderne ora e in futuro. Tutti i territori sono vulnerabili di fronte alla crisi climatica, ma in termini di geolocalizzazione la montagna è più vulnerabile e, vista la sua importanza, dovremmo fare sforzi aggiuntivi per salvaguardarla».

Per capire quanto le montagne siano a rischio, basta dare un’occhiata ai dati condivisi da Legambiente, che rendono chiaro come «nella gran parte delle nostre montagne è atteso un aumento di temperatura tra i 2 e i 3°C per il 2050, rispetto a quella media degli ultimi dieci anni, ed entro fine secolo un ulteriore riscaldamento che va dai 3 ai 7°C in funzione degli scenari di emissione. Nelle Alpi le temperature stanno crescendo a una velocità doppia rispetto alla media globale, e la neve al suolo negli ultimi dieci anni ha subito un costante decremento, lasciando sempre più spazio ad aride sterpaglie».

Una situazione che va sempre peggiorando e che è ben rappresentata dalla situazione dei ghiacciai in tutto l’arco alpino. Secondo quanto emerso nell’ultima edizione di « Carovana dei Ghiacciai » di Legambiente, entro il 2050 tutti i corpi glaciali al di sotto dei 3500 metri di quota saranno scomparsi. Questo non comporta solo perdita di paesaggi e biodiversità, ma anche l’esaurimento di importanti riserve di acqua dolce e di molti servizi ecosistemici. Inoltre, il permafrost, degradandosi, causa instabilità sui versanti, con pesanti rischi per le infrastrutture.

Secondo Burini, la chiave di svolta sta nelle comunità che abitano le montagne: «sono la risorsa più grande che abbiamo – afferma – perché si adoperano per curare i versanti, preservare i paesaggi e salvaguardare la biodiversità. Il legame uomo-natura è il fondamento che ha costruito la montagna e deve essere conservato. Per farlo, bisognerebbe sollevare le comunità da alcune sfide, come le spese che una famiglia affronta per vivere in montagna e crescervi dei figli».

Non solo famiglie, ma anche le aziende: «Se vogliamo un ritorno alla montagna dobbiamo renderla abitabile, con servizi adeguati e forme di sostentamento all’imprenditoria. L’industria c’è sempre stata in montagna, da quella mineraria a quella tessile, e ha sempre affrontato sfide importanti, legate alla logistica ma non solo. È ora di darle una mano e favorire lo sviluppo».

Una montagna a misura di famiglie e delle realtà imprenditoriali che hanno il coraggio di investire nel suo sviluppo è quanto di più lontano si possa immaginare dalla realtà delle montagne lombarde di oggi. Ricostruisce Burini: «Dopo gli anni Cinquanta ci siamo dimenticati il valore della montagna nella sua identità agrosilvopastorale e industriale. Ci siamo impuntati a creare un mondo incantato per i turisti e in generale per chi veniva da fuori. Avevamo iniziato bene con poche seconde case nei primi del Novecento, poi a partire dagli anni Sessanta abbiamo perso ogni misura, rovinando la montagna e togliendole la sua identità».

Un circolo vizioso di decisioni delicate, che si sono scontrate contro un muro: «Nei primi anni Duemila è cambiato il mondo e all’improvviso le seconde case non servivano più, ma ormai avevamo già fatto il danno e adesso ne paghiamo le conseguenze. Anzi, le pagano le comunità di montagna. Queste scelte hanno portato benessere per tanti anni ma hanno anche privato la montagna della ricchezza del paesaggio, del territorio. Dobbiamo tornare a presidiare questo aspetto e a prendercene cura».

Burini spera che questa rinascita della montagna possa ripartire dal mondo accademico: «Spero che l’università possa contribuire a organizzare momenti di discussione come questo, con al centro la montagna: tavoli tra pubblico e privato, cittadini e associazioni, insomma tutti gli attori coinvolti. Per esempio, in quest’occasione parleranno dei giovani dottorandi che provengono da Valle Seriana, Val di Scalve e Valtellina: sono ragazzi che sanno cosa vuol dire vivere la montagna e abbiamo deciso di valorizzare le loro voci».

Il cambiamento, secondo Burini, deve reggersi su alcuni pilastri: «Dobbiamo riportare le comunità in montagna e per farlo dobbiamo riportare i servizi, la mobilità e l’accessibilità. Questo non significa grandi infrastrutture stradali, ma una mobilità a richiesta: una rete di associazioni che si attivi al bisogno, con una gestione comunitaria dei trasporti. Questo è l’unico modo per gestire un abitato diffuso come quello delle frazioni montane ed è su questo che i Comuni dovrebbero puntare. Un altro punto è la gestione comunitaria dei boschi, perché si crei un territorio dove si vive meglio, dove si riprende un contatto con la natura e gli animali».

Eccolo, il vero segreto della montagna, quello che io conosco fin da bambina e che anche all’interno delle discussioni accademiche ricopre un suo ruolo: il legame tra uomo e natura. «Un legame antico – lo definisce Burini – un legame antico e profondo che noi in città ci siamo dimenticati ma di cui sotto sotto sentiamo il bisogno». Che sia questo il punto di partenza?

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