Il traffico perenne che intasa le strade di Bergamo e di altre città italiane così come gli incidenti all’ordine del giorno e l’inquinamento alle stelle impongono una riflessione seria sulla gestione della mobilità urbana e la qualità di vita dei quartieri nei quali viviamo. In questa cornice il Comitato per Redona ha organizzato per stasera, giovedì 28 novembre, (ore 20.45 teatro Qoelet, via Leone XIII) un incontro pubblico intitolato: «La città delle persone, zone trenta, città contenta». Interverrà Matteo Dondé, architetto urbanista a cui abbiamo sottoposto qualche domanda.
LB: Architetto Dondé, da anni lei si batte per limitare la velocità del traffico a 30 km/h nelle aree urbane, a quale scopo?
MD: L’obiettivo primario è fermare la strage quotidiana. In Italia ogni giorno muoiono 8 persone sulla strada, ci sono più di 3.000 morti l’anno e 200.000 feriti; in un decennio significa trentamila morti e due milioni di feriti, numeri spaventosi che non riusciamo neanche a concepire. Dietro questi numeri però si celano volti di vite spezzate e storie di famiglie distrutte, nessuno è indenne agli incidenti stradali. La situazione è ancora più drammatica se confrontata con altri Paesi: in Italia, infatti, il numero degli incidenti continua ad aumentare. I dati Istat dell’ultimo semestre parlano di un incremento dell’8%, con un tasso di mortalità stradale doppio rispetto a Germania, Olanda e Nord d’Europa. Nel 2024, una situazione simile non è più accettabile.
LB: A cosa sono dovuti questi numeri?
MD: Alla velocità, innanzitutto. Esiste una relazione esponenziale tra velocità e decessi: un pedone investito da un’auto che viaggia a 30 km/h ha una probabilità cinque volte più alta di sopravvivere rispetto ad uno investito a 50 km/h. Per questo in tutta Europa vengono incentivate zone 30, al di sotto di questo limite la mortalità è molto bassa. Parigi ha iniziato a limitare la velocità nel 2010 e attualmente conta 38 morti/anno su una popolazione di 3 milioni. A Milano, che ha 1.3 milioni di abitanti, i decessi sono 44, quasi il triplo in proporzione. E poi il numero di auto è sproporzionato: l’Italia con 684 auto ogni 1000 abitanti ha il tasso di motorizzazione più alto d’Europa questo significa che non abbiamo fatto nulla negli ultimi anni. I dati della tabella sono tratti da Transformative Urban Mobility Initiative e riguardano la probabilità di decesso dei pedoni e velocità delle auto.
LB: Quali sono le misure più efficaci per ridurre il numero di veicoli a motore?
MD: Gli esempi provenienti da tutta Europa sono numerosi e parlano chiaro: non basta una singola misura, servono azioni coordinate e strutturali improntate ad un ripensamento dell’intera mobilità urbana. Tra le strategie più efficaci per la riduzione della congestione e dell’incidentalità ci sono la diminuzione dei posti auto, le zone a traffico limitato, il limite di velocità a 30 km/h, politiche severe di controllo della sosta, l’incremento della superficie dedicata ai marciapiedi e alle ciclabili e il potenziamento del trasporto pubblico. Però è necessario avere una visione chiara e scelte politiche coraggiose. Parigi, per esempio, ha in previsione l’eliminazione di sessanta mila posti auto da sostituire con aree verdi per contrastare l’isola di calore e migliorare la qualità dell’aria.
LB: Eppure, molte persone sono contrarie a queste misure, temendo che penalizzino gli automobilisti. Lo stesso ministro dei trasporti Matteo Salvini ha commentato la decisione del comune di Milano di introdurre le zone 30 dicendo: «Ricordo al sindaco e al Pd che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare...»
MD: Queste obiezioni sono radicate in pregiudizi che non trovano riscontro nelle evidenze scientifiche. Chi sostiene queste posizioni evidentemente non conosce la realtà. Un terzo delle morti sul lavoro avviene durante il tragitto casa-lavoro: intervenire sul traffico significa, prima di tutto, permettere alle persone non solo di lavorare, ma anche di vivere. Limitare la velocità nelle aree urbane non penalizza affatto gli automobilisti, anzi, migliora la vita di tutti. E ci sono esempi concreti che lo dimostrano. La città austriaca di Graz ha introdotto il limite di 30 km/h già nel 1992, quando in Italia non se ne parlava ancora, e l’80% dei cittadini era contrario. Due anni dopo, il numero di contrari era sceso al 20%, mentre gli incidenti stradali erano diminuiti del 25%. Anche Barcellona ha implementato limitazioni di velocità in tutta la città, suscitando preoccupazioni per il possibile aumento della congestione nelle zone extraurbane. Tuttavia, si è verificato un fenomeno curioso: il traffico è “evaporato”, poiché le persone che prima attraversavano i quartieri in auto hanno iniziato a spostarsi a piedi o in bicicletta, rinunciando totalmente alle quattro ruote. Oggi, la mobilità dolce a Barcellona copre l’80% degli spostamenti urbani. Del resto, si è visto come nessuna città europea che ha introdotto il limite di 30 km/h si è mai pentita di questa scelta. Superate le resistenze iniziali, queste politiche vengono apprezzate dai cittadini per i benefici tangibili in termini di salute, economia e ambiente.
LB: Dunque, non si tratta di misure che penalizzano gli automobilisti a favore di pedoni e biciclette
MD: Esattamente. Limitare la velocità ha come obiettivo quello di mettere al centro le persone, migliorando la sicurezza e la qualità degli spostamenti per tutti gli utenti della strada, automobilisti compresi. Il principale disincentivo all’uso di mezzi non motorizzati è la mancanza di sicurezza. Intervenire su questo fronte significa ridurre automaticamente il traffico. In Italia, circa il 50% degli spostamenti quotidiani in auto è inferiore ai 5 km. Se si mettessero le persone nelle condizioni di percorrere questo tragitto in bicicletta o monopattino in sicurezza, si dimezzerebbe la congestione. Non è un caso se gli automobilisti più felici d’Europa si trovano in Olanda, dove la maggior parte della popolazione si sposta sulle due ruote. In Italia, la situazione di intasamento delle città è ormai così grave che il conflitto tra gli utenti della strada ha raggiunto livelli inauditi, basta pensare alle recenti esternazioni di Feltri. Gli automobilisti sono talmente stressati che se la prendono con gli unici che non contribuiscono ad aumentare il traffico urbano.
LB: Quindi, non si tratta solo di una questione tecnica, ma anche politico-ideologica...
MD: C’è ancora chi pensa che l’automobile sia di destra e la bicicletta di sinistra per dirla un po’ alla Gaber. Non è così, la sicurezza delle nostre strade e la qualità degli ambienti urbani non hanno colore politico e devono essere una priorità per tutti i partiti. Prendiamo ad esempio Bologna, governata da Matteo Lepore del centrosinistra: l’introduzione del limite di 30 km/h ha portato a una riduzione del 16% degli incidenti. Olbia, la prima città in Italia a diventare “zona 30”, ha adottato questa misura nel 2021 sotto la guida del sindaco di centrodestra, il pediatra Settimo Nizzi, che rivendica con orgoglio la scelta, sottolineando come la popolazione sia più sana e felice. Questi esempi dimostrano che si tratta di una questione di volontà politica a prescindere dal partito di appartenenza.
LB: Perché in Italia si fatica a percorrere questa strada?
MD: L’ostacolo maggiore è di tipo culturale, c’è una mancanza di cultura scientifica fin dai livelli più alti di pianificazione urbanistica; negli anni ’70 in pieno boom automobilistico era accettabile che si progettassero le strade con una visione centrata sull’auto, oggi con la vasta letteratura scientifica disponibile e l’esempio ormai decennale di molte città europee no. E poi manca la visione e il coraggio di prendere scelte forti e coerenti; si dibatte molto sul tema ma senza conoscere i dati e poi si interviene poco e in maniera puntuale e disorganica. Il dirigente della mobilità di Copenaghen, città con 1,2 milioni di abitanti in cui ormai più del 50% si muove regolarmente in bicicletta, ha affermato che «non è possibile creare città ciclabili senza fare scelte politiche forti. Bisogna eliminare parcheggi per le auto e ridurre la capacità stradale». Anche i PUMS, i piani urbanistici della mobilità sostenibile, che sono strumenti fondamentali per una pianificazione urbanistica a medio-lungo termine coerente con le direttive europee, spesso vengono attuati senza una verifica dei risultati ottenuti.
LB: È appena stato approvato il nuovo codice della strada, che valutazione ne dà?
MD: Siamo ritornati indietro di cinquant’anni. Non che fossimo avanti ma è un codice in cui il tema della sicurezza è completamente assente. L’incidentalità in Italia costa 18 miliardi di euro/anno, pari alll’1% del PIL anche solo per questo si dovrebbe intervenire. Si denota proprio una mancanza di visione con scelte puramente ideologiche che non hanno alcuna base scientifica. Ci sono poi parecchie contraddizioni. Da una parte si inaspriscono le pene per chi guida sotto effetto di alcol e stupefacenti, una scelta condivisibile ma che riguarda una minima parte degli incidenti stradali. Dall’altra, si riducono i controlli, ostacolando strumenti fondamentali come gli autovelox, zone 30, ZTL, aree pedonali e ciclabili. Ancora si introduce l’obbligatorietà della targa e del casco per i monopattini elettrici, una misura che attualmente esiste solamente in Israele e Australia. Questa norma probabilmente porterà all’allontanamento delle aziende che si occupano di questi mezzi, molto utili per l’intermobilità, con impatti negativi sulla mobilità dolce. Ciò che più preoccupa di questo decreto è la mancanza di serietà su un tema così importante come la sicurezza stradale. È una legge che mette al centro l’automobile e non le persone, in netto contrasto con le direttive europee. La Spagna, che non è certo un paese storicamente all’avanguardia in tema di mobilità sostenibile, nel 2021 ha modificato il codice della strada introducendo il limite di velocità di 20 e 30 km/h nelle aree urbane di tutto il territorio nazionale, una scelta di civiltà.
LB: C’è una sottovalutazione costante dei rischi legati all’automobile...
MD: Esattamente, è appena stata pubblicata una ricerca sugli stili di guida degli italiani commissionata da Anas e condotta da Csa Research dalla quale si evince che il 51% degli automobilisti non ritiene pericoloso superare i limiti di velocità mentre il 46% degli intervistati sostiene che gli incidenti non dipendono da comportamenti errati. Ma i fatti dicono il contrario: la violenza stradale è la prima causa di morte tra gli under 20, il 95% degli incidenti avvengono per colpa e la maggior parte dei pedoni viene investita sulle strisce. Per questo dico che la cultura è fortemente autocentrica, si tende a colpevolizzare l’utente debole parlando di «tragiche fatalità», «imprevisti» e «pirati della strada» quando il punto fondamentale è la prevenzione. Tutti possono commettere errori, ma è fondamentale che questi non abbiano conseguenze drammatiche. Per questo motivo è importante limitare la velocità dei veicoli a 30 km/h.
LB: Come si può promuovere un cambio culturale?
MD: In primo luogo, sarebbe opportuno che a livello nazionale si promuovessero interventi strutturali e decisi per una pianificazione urbanistica che metta al centro le persone così come avviene ormai in molti paesi europei. A livello locale è essenziale spiegare alla popolazione i benefici di zone 30, strade scolastiche e aree pedonali. È importante, inoltre, coinvolgere direttamente la cittadinanza in progetti partecipativi che riguardino la mobilità dei quartieri. Uno strumento molto utile in questo senso è l’urbanismo tattico che consiste in modifiche infrastrutturali temporanee e a basso costo che consentono ai cittadini di sperimentare una nuova mobilità. In questo modo è possibile apportare migliorie in corso d’opera, grazie anche al suggerimento di chi il quartiere lo vive ogni giorno e mantenere vivo il dibattito pubblico.
LB: Sulla base della sua lunga esperienza lavorativa, quale è l’esito di questi interventi?
MD: Il bilancio è decisamente positivo. Capita spesso che, a seguito di sperimentazioni su zone pedonali, riduzione dei parcheggi, limitazioni alla sosta, strade scolastiche i cittadini avviino raccolte firme affinché le modifiche diventino definitive. Abbassare la velocità a 30 km/h e ripensare la fruizione degli spazi pubblici non è una limitazione, ma una vera e propria opportunità. La strada non è un semplice asse di scorrimento, ma uno spazio pubblico da vivere. Strade meno trafficate, più silenziose, verdi e inclusive mettono al centro la persona e migliorano la qualità della vita nei quartieri. Le città italiane sono senza alcun dubbio tra le più belle al mondo, ma le troppe automobili e l’uso eccessivo del veicolo privato ne pregiudicano in maniera evidente la qualità, la sicurezza e la vivibilità. Dobbiamo fare in modo che tornino a essere città per le persone.