Negli scorsi mesi, ho pedalato in lungo e in largo per Bergamo e dintorni con lo scopo di valutare quanto sia pratico raggiungere il centro città dai comuni dell’hinterland in sella alle due ruote. Una volta definite le direttrici urbane principali che dal centro città si diramano in tutte le direzioni, ho cercato di confrontare la ciclabilità di due itinerari: quello più idoneo alle due ruote e quello solitamente percorso dalle auto. La valutazione si è basata su dati oggettivi che prendono in considerazione la lunghezza e il tempo di percorrenza, la tipologia del percorso e le discontinuità presenti.
Ora che i vari itinerari sono stati descritti nel dettaglio nei diversi articoli di questa rubrica, è giunto il momento di ampliare un po’ lo sguardo per cercare di dare una valutazione complessiva dello stato delle ciclabili bergamasche più vicine alla città.
Gli itinerari considerati sono sette e si sviluppano per circa 8-12 km, lungo gli assi urbani che collegano il centro di Bergamo con Nembro (Val Seriana), San Paolo d’Argon (Val Cavallina), Urgnano (asse sud-est, provinciale Cremasca), Verdello (asse sud Bergamo-Treviglio), Dalmine (asse sud-ovest verso l’Adda), Ponte San Pietro (Briantea) e Villa d’Almè (Val Brembana).
Ciclabili frammentate
Dando uno sguardo veloce alla mappa sottostante, ci si rende subito conto che l’estensione delle piste ciclabili varia significativamente a seconda della direttrice considerata. In Val Seriana, per esempio, le piste ciclabili coprono più dell’85% del percorso, mentre per giungere a Verdello, Dalmine o Villa d’Almè bisogna pedalare per più di metà percorso in mezzo al traffico.
Gli itinerari sono inoltre molto eterogenei poiché composti da ciclabili in sede propria (esclusive o promiscue), corsie ciclabili tratteggiate in carreggiata e strade in cui sono assenti corsie per le bici. Vediamo insieme cosa significa muoversi lungo una rete ciclabile di questo tipo e quali sono le sfide principali che un ciclista urbano deve affrontare quotidianamente sul territorio bergamasco dell’hinterland cittadino.
Il primato delle piste ciclopedonali
Mentre all’estero è l’eccezione, la promiscuità tra bici e pedoni è il tratto distintivo dei percorsi ciclabili bergamaschi e italiani. In città, solo il 10% delle ciclabili sono esclusive per le bici, mentre in provincia la percentuale è ancora più bassa. In gergo si tratta dei «percorsi promiscui pedonali e ciclabili», lasciando intendere che nascono come percorsi pedonali in cui è stato consentito il transito delle biciclette: i pedoni hanno la precedenza sulle due ruote e il limite di velocità stabilito dalla normativa è 10 km/h.
Pedalando per il nostro territorio, se ne vedono di tutti i tipi: piste con asfalto nero o rosso, con segnaletica orizzontale, verticale o mista, percorsi con percorrenza unidirezionale o bidirezionale, con separazione o senza. Insomma, pare essere la soluzione più gettonata se si vuole dare un po’ di visibilità alle due ruote. Il motivo è presto detto: in un territorio altamente urbanizzato, in cui la rete stradale si è sviluppata secondo una visione autocentrica, trovare lo spazio da dedicare alle due ruote non è semplice.
Dunque, la cosa più veloce ed economica è allargare i marciapiedi e passare un po’ di vernice per renderli ciclopedonali. Peccato che la logica di fondo sia la stessa di prima: la strada alle auto e gli altri si arrangino. La conseguenza è che spesso, queste ciclopedonali sono poco funzionali per chi si muove a pedali, in quanto tortuose, discontinue e affollate. È il caso della ciclabile Alzano Lombardo-Torre Boldone, della ciclabile che attraversa Seriate, e delle direttrici cittadine A (Longuelo-Centro), E (Azzano S. Paolo-Malpensata), F (Fiera-Centro), I (Martinella-Borgo S. Caterina) e T1 (Torre Boldone-Borgo Palazzo).
La difficile convivenza tra pedoni e ciclisti, oltre alla mancanza di spazio, è data dalla diversa velocità: a piedi, infatti, si procede a 4-5 km/h, mentre sui pedali è possibile raggiungere tranquillamente i 15-20 km/h, velocità più compatibile con il traffico automobilistico cittadino che con chi cammina. In effetti, la promiscuità tra le due tipologie di utenti ha senso al massimo nei brevi percorsi dei paesi, mentre è da evitare lungo le direttrici interurbane. La stessa OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel rapporto «Cycling, health and safety» («Bicicletta, salute e sicurezza») sconsiglia la realizzazione di questo tipo di percorsi per evitare conflitti tra utenti fragili della strada.
Un altro conflitto, questa volta tra auto e bici, si genera quando il ciclista, stanco dei continui attraversamenti, gradini, passi carrabili, curve a gomito e semafori a chiamata che spesso caratterizzano le ciclopedonali, decide di scendere in carreggiata. Sia mai. Immancabilmente viene ripreso da qualche automobilista che lo invita ad abbandonare la carreggiata visto che: «La ciclabile è stata costruita proprio per essere utilizzata». Peccato che la presenza della ciclabile non è garanzia della sua funzionalità e che l’obbligo di impegnarla vale solo quando questa è ad uso esclusivo delle bici , ovvero assai raramente a Bergamo. Dunque, in molti tratti urbani, numerosi ciclisti, a buon diritto, continuano a preferire la strada invece del marciapiede ciclabile.
Le bike lanes
L’alternativa alle ciclopedonali è rappresentata dalle piste ciclabili in sede propria, ricavate sulla carreggiata stradale o sul marciapiede o dalle cosiddette bike lanes, ovvero le corsie ciclabili in carreggiata delimitate dalla linea tratteggiata. Mentre le prime sono assai limitate (4.5 km in tutta la città di Bergamo), le seconde si estendono per circa 28 km, rappresentando il 30% di tutta la rete ciclabile cittadina. Sono state realizzate subito dopo la prima ondata di Covid, grazie al Decreto Rilancio che ha introdotto questo tipo di soluzioni per favorire la mobilità dolce con tempestività e costi contenuti. Da alcune persone (soprattutto automobilisti) sono aspramente criticate, poiché rappresenterebbero delle soluzioni posticce che peggiorano la convivenza tra auto e bici, mentre per altre sono degli strumenti efficaci che agevolano la mobilità dolce. È il caso delle direttrici B (Città Alta-Porta Nuova-Orio), I (Martinella-Porta Nuova) e N (Valtesse-Borgo S. Caterina).
Il dato oggettivo, emerso anche dal recente sondaggio lanciato da L’Eco di Bergamo e ATB, è che dal pre al post Covid gli spostamenti in bicicletta in città sono aumentati del 38%, lasciando supporre che le bike lanes un ruolo decisivo l’abbiano giocato. A me (e a tante altre persone che si muovono in bici) sembrano infrastrutture utili poiché, oltre a consentire uno scorrimento più rapido delle bici soprattutto nelle ore di punta, danno maggior visibilità ai ciclisti già presenti in strada e inducono gli automobilisti a prestare maggior attenzione. Certo, non sono prive di problemi: spesso in prossimità dei semafori e delle rotonde le corsie terminano improvvisamente, mentre in altri casi lo spazio in carreggiata è talmente ristretto che inevitabilmente vengono occupate dai mezzi a motore. Oppure capita che l’abbondanza di tombini e buche le renda particolarmente scomode, tanto che il ciclista preferisce spostarsi al centro della carreggiata. Non mancano poi gli autisti che le utilizzano come posteggi temporanei o che le invadono a prescindere dello spazio disponibile.
La questione principale comunque è capire come e in che tempi queste “corsie emergenziali” evolveranno in qualcosa di definitivo e strutturale. La speranza è che vengano convertite in piste vere e proprie, esclusive per le due ruote e funzionali agli spostamenti medio-lunghi (5-15 km).
I dissuasori
Mentre pedalavo per mappare la ciclabilità del nostro territorio, mi è capitato di imbattermi in archetti, panettoni, cavalletti e sbarre installate lungo la rete ciclabile, ad esempio, nei comuni di Bergamo, Seriate, Albano S. Alessandro, Alzano Lombardo, Torre Boldone, Curno e Zanica. Questi dispositivi hanno due finalità differenti: evitare che i motociclisti o altri mezzi a motore percorrano le ciclopedonali e indurre i cicli e i pedoni a rallentare in prossimità di incroci con strade carrabili e/o accessi a spazi privati.
Capita però che con il pretesto della sicurezza la mobilità ciclopedonale venga ancora una volta subordinata a quella delle auto. La miglior tutela per ciclisti e pedoni è che sia garantito il principio di continuità del percorso, non che siano obbligati a fermarsi o a rallentare ogni due per tre. Anche perché nel caso di passeggini, tricicli, bici cargo e tandem, i dissuasori rappresentano delle vere e proprie barriere architettoniche che, come tali, devono essere rimosse.
Nonostante i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni alla rete ciclabile, fuori e dentro il comune di Bergamo, muoversi a colpi di pedale tra i comuni dell’hinterland e il centro città è un’impresa non facile, a causa della frammentazione e della disomogeneità dei percorsi ciclabili presenti lungo le direttrici interurbane. Inoltre, molte ciclabili sono poco funzionali alla mobilità dolce su media-lunga distanza a causa della promiscuità con i pedoni e alla presenza di dissuasori. Questi e altri aspetti dovrebbero essere presi in considerazione per una grande Bergamo, più sicura, meno inquinata e inclusiva.