Si avvicina l’estate. Indice simbolico di un ritorno alla luce, rito di passaggio, ma soprattutto linea di partenza per molte attività sul territorio, dopo la lunga pausa del lockdown.
Così è per l’Orto Botanico Lorenzo Rota di Bergamo e le sue due sezioni principali, la Finestra sul Paesaggio di Città Alta e la Valle della Biodiversità ad Astino, che dopo la riapertura dei giorni scorsi proprio sabato e domenica vedranno l’avvio degli incontri in programma. Un’intensa due giorni di conferenze sul significato dell’Orto nell’era del covid, visite guidate per scoprirne le particolarità e laboratori dal vivo od online.
Il tutto in contemporanea con la riapertura delle altre realtà aderenti alla rete degli Orti Botanici della Lombardia, che sotto il titolo “Stare bene con le piante” festeggiano la dodicesima ricorrenza del Solstizio d’Estate con molte occasioni di incontro. Ne abbiamo parlato con Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico.
MB: La ripresa delle attività coincide con il Solstizio d’Estate, una data simbolica.
GR: Dal punto di vista botanico è un periodo interessante, perché c’è la massima concentrazione degli olii essenziali delle piante aromatiche. Ma ha soprattutto il vantaggio di permettere agli Orti Botanici della Lombardia di mostrarsi aperti tutti insieme. Quindi è una scelta attuata per permettere a tutti gli orti di partecipare e mostrarsi al meglio.
MB: L’incontro di sabato è dedicato alla relazione tra covid e la qualità della nostra della vita, cosa ci aspetta?
GR: L’appuntamento riguarderà il prima, durante e dopo le piante nell’era del covid. È un incontro a cui tengo molto, perché se è vero che da un lato c’è un desiderio di normalità e quindi di un ritorno ai ritmi precedenti, dall’altro questa pandemia ci ha messo di fronte a dei dati di fatto su cui non abbiamo mai riflettuto abbastanza. La reclusione che ci ha portati a ripensare la relazione tra l’habitat e la casa, tra il fuori e l’ambiente domestico. Ci siamo sentiti compressi e allo stesso tempo desiderosi di natura e di verde. Per cui c’è la voglia di ritorno alla normalità, ma forse è il caso che ci creiamo una nuova normalità sulla base delle esperienze che abbiamo fatto in questo momento.
MB: Quindi di cosa parlerete nello specifico?
GR: L’idea è di raccontare lo scenario generale che genera gli squilibri che facilitano gli spillover, ovvero il passaggio da una specie all’altra dei virus, legati e causati dalla deforestazione, ma anche dalla facilità di comunicazione tra un luogo o l’altro del pianeta, per cui la propagazione che una volta avveniva in decenni ora avviene in tempi limitati. Si intersecano problemi e questioni legate al fatto che noi uomini dipendiamo dalle piante per cibo, qualità della vita e la mitigazione degli effetti prodotti da noi stessi sul pianeta.
MB: Qual è il ruolo dell’Orto Botanico in tutto questo?
GR: Riflettere sugli scenari generali e poi anche su quelli particolari sarà fondamentale. Ci sarà l’invito a parlare dell’esperienza personale per orientare i processi individuali e anche quelli dell’Orto Botanico, che vive in relazione alle domande della società. Se abbiamo deciso di dedicare la Valle della Biodiversità all’agrobiodiversità è perché è un tema fondamentale della vita sul pianeta: dal cibo derivano molte dinamiche positive e negative, come il riscaldamento climatico o la deforestazione, causate in larghissima misura dall’agricoltura. È il caso di riflettere sul tema dell’agroecologia, perché il cibo più economico in assoluto forse sarà quello per cui pagheremo il prezzo più alto in termini ambientali. Poi dobbiamo chiederci quanto sia importante avere un orto domestico: è solo perché migliora la qualità di ciò che mangiamo o anche perché migliora lo stile di vita che portiamo avanti?
MB: Una tematica attuale ora che c’è stata una riscoperta di ritmi lenti, del lavoro manuale e dei prodotti del territorio. Possiamo considerarla una nota incoraggiante?
GR: Ci sono persone che non avevano mai avuto la possibilità di sperimentare la filiera corta, il cibo fatto in casa, la scoperta delle varietà di farina. Quindi sì, la situazione, che ha aspetti drammatici, ha fornito un’opportunità per pensare a quanto siano importanti elementi che prima erano pensati come di poco valore. Basti pensare al rilievo che ha avuto l’avere o meno un balcone o un giardino sulla percezione della qualità della vita quotidiana in questi mesi.
MB: A maggior ragione perché il periodo coincideva con i mesi di passaggio tra l’inverno alla primavera.
GR: Esatto. È capitato tutto nei giorni più belli dell’anno, quelli della metamorfosi dove si passa dalla dormienza all’esuberanza delle fioriture. Un cambiamento che abbiamo visto da “reclusi”. C’è chi ha osservato queste metamorfosi a tu per tu nel giardino di casa, chi in forma simbolica sul terrazzo e chi le ha viste solo in modo distante, dalla finestra. Se questo virus ci ha insegnato qualcosa, ci ha ridimensionati per quanto riguarda il rapporto con la natura, che si è ripresa quote di libertà con espressioni di biodiversità che di solito non si vedono in città, come la crescita di erbe spontanee e animali meno timidi.
MB: L’Orto Botanico ha subito metamorfosi in questo senso?
GR: Noi abbiamo sempre lavorato come se dovessimo riaprire il giorno dopo. L’Orto ha una natura museale, le piante sono bene culturale e collezioni: non possono essere lasciate a se stesse. Come previsto dalle prescrizioni, la conservazione dei beni culturali è prioritaria. Infatti quando siamo ripartiti il 4 maggio eravamo pronti, non molto diversamente dagli altri anni. Questo ci ha permesso di essere tra i primi luoghi visitati a Bergamo.
MB: Com’è andata la riapertura?
GR: Ad Astino sono arrivate più di 500 persone solo nell’ultimo fine settimana. Su due giorni e nel pieno rispetto delle norme di contingentamento. Rientriamo nelle mete attese dalle persone che ora sentono ancor di più la necessità di godere di spazi verdi all’aperto e della bellezza della città. Paradossalmente, le visite di Astino stanno superando quelle di Città Alta perché c’è un calo di stranieri e turisti, che costituivano la metà dei visitatori della sezione in Città Alta. Ora Astino sta conducendo per numero l’affluenza.
MB: Quindi è un termometro delle diverse abitudini dei locali e dei turisti?
GR: È un motivo per cui è bene avere più orti botanici (ride, ndr), ed è significativo del riflesso sociale della cosa.
MB: Quali altre attività avete previsto per il weekend?
GR: Avremo otto visite guidate distribuite su due giorni e le due sedi, tutte con le nostre guide museali. Poi ci sono due laboratori per bambini e famiglie. In questo periodo una parte delle attività si è trasferita dalla sede fisica ad altri livelli, per cui sperimenteremo un laboratorio online con Caterina Francolini che inviterà i bambini a raccogliere ciò che serve per costruire un museo botanico personale, per poi fare una classificazione. Non una visione passiva, ma un invito a toccare, costruire e sviluppare aspetti creativi. Poi ci sarà un laboratorio dal vivo di Larisa Monteggia, dedicato agli amori delle piante. I fiori hanno sistemi attrattivi ingannevoli, con lo scopo di favorire la riproduzione, con amori a distanza favoriti dagli organismi animali. Infine ci sarà una visita dell’educatore e musicista Roberto Carrara dedicata all’abete rosso, che fornisce legno di risonanza usato per costruire gli strumenti musicali.
MB: Parliamo di mobilità dolce: l’orto può essere un fulcro per la creazione di percorsi ciclabili o a piedi attraverso il territorio?
GR: Abbiamo in mente di promuovere il collegamento pedonale tra i due orti, con itinerari guidati che poi diventino autoguidati. Anche perché i contesti sono magnifici: in Città Alta abbiamo lo spalto più a nord delle mura veneziane da cui si ammirano le Prealpi, il Montorfano e la pianura bresciana e bergamasca, oltre allo skyline di Bergamo. L’altro è la conca di Astino, che gode di una storia millenaria legata al Monastero, con la conservazione del suo compendio agricolo, un unicum a Bergamo. Tra l’altro il percorso passa in zone paesaggisticamente baciate dal sole e dalla fortuna tra orti, cascine e ville. Qui lo sguardo spazia fino a Milano e gli Appennini. Ci sono molte varianti e possibilità di sviluppo del raccordo pedonale, quindi vogliamo valorizzarlo.