«La vittoria di Trump era lo scenario peggiore, quello in cui a trionfare è un condannato, un bugiardo cronico che ha gestito in modo terribile una pandemia, ha cercato di ribaltare il risultato delle ultime elezioni scatenando una folla inferocita contro il Parlamento, ha definito l’America “il bidone della spazzatura del mondo” e ha minacciato di vendicarsi dei suoi avversari politici». Sono parole al veleno quelle che Susan Glasser lancia dalle pagine del New Yorker, eppure Donald Trump ha vinto, anzi: ha stravinto. La vittoria con 312 grandi elettori, infatti, è ben oltre la maggioranza necessaria dei 270 (Kamala Harris si è fermata a 226) e i Repubblicani, oltre a ottenere il controllo del Senato, conseguiranno, probabilmente, anche quello della Camera. Tutto ciò sarà un bene per la democrazia americana? E quale futuro attenderà l’Europa? Secondo Oliviero Bergamini, responsabile esteri del Tg1, per il Vecchio Continente saranno più le difficoltà che i vantaggi.
FR: Oliviero Bergamini, Donald Trump sarà il 47esimo presidente degli Stati Uniti. Come ha fatto a vincere?
OB: Prima di tutto, è bene dire che i due schieramenti, da tempo, si equivalgono numericamente: la popolazione americana è spaccata a metà e bastano davvero pochi punti percentuali di differenza a determinare una vittoria o, al contrario, una sconfitta. Ad ogni modo, nonostante i dati in nostro possesso debbano essere ancora analizzati a fondo, sembrerebbe che Trump abbia conquistato grandi pezzi del tradizionale elettorato democratico (che, per buona parte, non è andato a votare): gli ispanici, ma anche i giovani maschi afroamericani. Kamala Harris è andata ben al di sotto dei voti complessivi raccolti da Biden nelle elezioni presidenziali del 2020.
FR: Nel 2021, Kamala Harris, durante una conferenza stampa tenuta assieme al Presidente guatemalteco Alejandro Giammattei, si è rivolta a tutte le persone desiderose di immigrare illegalmente negli Stati Uniti con queste parole: «Voglio essere chiara […] non venite». Biden, da parte sua, non ha fatto granché per fermare il massacro di palestinesi a opera di Netanyahu. Democratici e Repubblicani sono davvero tanto diversi?
OB: È vero, rispetto a inizio mandato, le posizioni di Biden e Harris sull’immigrazione sono diventate più dure e severe ed è altrettanto vero che l’attuale presidente non ha fatto granché per Gaza, ma qualche tentativo di mediazione è stato portato avanti. Al contrario, i pareri di Trump sull’attuale conflitto in Medio Oriente sono decisamente più netti e non sembrano lasciare spazio a ipotesi di compromessi. La differenza fra i due Presidenti si sentirà eccome.
FR: Nel suo libro, «Democrazia in America?» (Ombrecorte, 2015), lei afferma che «[…] gli Stati Uniti presentano una distribuzione della ricchezza drammaticamente diseguale: gran parte dei cittadini vive in condizioni economiche precarie e molti milioni sono poveri. Per converso una ristrettissima minoranza monopolizza una quota spropositata della ricchezza nazionale, e si tratta di una concentrazione che sta aumentando ulteriormente in questi ultimi anni, come se il privilegio andasse istituzionalizzandosi. […] Diritti considerati basilari nella maggior parte delle democrazie avanzate, come quello alla salute, vengono garantiti in misura limitata. L’istruzione […] tende a propagare le divisioni sociali, e in generale oggi punta a dotare i cittadini di competenze tecniche-professionali più che a prepararli a una partecipazione politica documentata e consapevole». I Democratici hanno perso perché impegnati a difendere battaglie che poco hanno a che fare con i problemi concreti della classe media americana, sacrificando i diritti sociali sull’altare dei diritti civili?
OB: È stato sicuramente un elemento non determinante, ma importante. È da anni, del resto, che i Democratici sono molto concentrati sui temi dei diritti civili, molto lontani dalle preoccupazioni fondamentali della famiglia medio bassa americana.
FR: Ma cosa vi trova, in un miliardario turbo-capitalista come Trump, un esponente della middle class americana?
OB: Innanzitutto, anche i Democratici sono assolutamente favorevoli al capitalismo. Non sono socialisti bensì liberali; solo una minoranza, incarnata da gente come Bernie Sanders e da Alexandria Ocasio-Cortez, è un po’ più spostata verso la socialdemocrazia, comunque molto diversa da quella di stampo europeo. Tornando alla domanda, comunque, direi che ci sono risposte a più livelli. C’è l’identificazione psicologica: Trump è l’uomo forte, di successo, che disprezza le regole e che adotta soluzioni pragmatiche. Poi c’è una questione politica: i Repubblicani non vogliono uno stato invasivo, che, se così si può dire, frughi nelle loro tasche. Chi vota per i Repubblicani è allergico a chi vuole alzare le tasse e non possono quindi che essere favorevoli a chi, come Trump, promette di abbassarle. Secondo loro, è l’unico modo per far sì che le aziende prolifichino e possano, dunque, creare lavoro. È una visione liberista contro l’ottica dirigista incarnata, secondo loro, dal Partito democratico.
FR: Sempre nel suo libro, si legge: «Un’ultima caratteristica della vita politica americana […] è la fortissima influenza della religione. Non è un caso. Una delle radici originarie del paese è la migrazione di gruppi che appartenevano ai settori più radicali e integralisti della religione protestante: prima i Padri Pellegrini e poi soprattutto i Puritani». Gli Stati Uniti sono un Paese laico?
OB: Sì, assolutamente sì: non è una teocrazia e, per quanto in una buona fetta della popolazione ci sia una sensibilità religiosa molto forte, in un’altra fetta altrettanto grande questo sentire non c’è. Nella scuola pubblica americana, per esempio, il crocefisso non c’è.
FR: È una democrazia autentica?
OB: La democrazia americana ha un sacco di difetti, ma resta una democrazia. Forse, il problema maggiore (come, del resto, lo è per le democrazie europee) è l’assenteismo durante le elezioni. Ma gli Stati Uniti rimangono l’unica superpotenza democratica (al contrario di Russia e Cina).
FR: Come si concilia il protestantesimo dell’elettorato di Trump con Elon Musk?
OB: Semplicemente, non si concilia e ciò è molto interessante: Donald Trump è riuscito nell’impresa di tenere assieme dimensioni molto distanti fra loro, poiché Musk, profeta di un mondo tecnologico e digitale e padre di una figlia nata tramite madre surrogata, è decisamente molto lontano dalla religiosità della destra cristiana. La cifra comune, forse, è quella di essere anti-sistema; una cifra in grado di far convivere il fondamentalista cristiano che odia la retorica woke con l’imprenditore visionario che si dice anti-establishment.
FR: Elon Musk, il maggior supporter di Trump in quest’ultima campagna elettorale, non è proprietario di nessun quotidiano, però lo è di X e X veicola notizie. Non è un grosso problema, questo, per la democrazia?
OB: Influencer e socialnetwork contano più dei giornali e muovono più voti di Beyoncé, Taylor Swift e Scarlett Johansson. Non per niente, Trump, durante la sua campagna elettorale, ha menzionato Joe Rogan, il podcaster più seguito al mondo. Rispetto a quindici anni fa, c’è tutto un mondo di nuovi media che, a differenza di quelli vecchi, non hanno più obblighi deontologici e professionali. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: disinformazione, propaganda, hate speech...
FR: Trump è appena stato eletto e i giornali, già, profetizzano catastrofi. Eppure, i quattro anni di presidenza Trump non hanno registrato alcun episodio particolare; il conflitto in Europa orientale e quello in Medio Oriente, inoltre, sono scoppiati sotto l’amministrazione Biden…
OB: È vero: nei primi suoi quattro anni, Trump non ha fatto disastri, ma era inesperto della macchina federale e ha trovato un partito Repubblicano che gli ha tenuto testa: se non c’era il voto di John McCain il sistema sanitario di Obama sarebbe stato smantellato. Questa volta sarà diverso: Trump controllerà il Senato e forse la Camera e avrà giudici nella Corte suprema in larga misura conservatori.
FR: La vittoria di Trump (e la sua politica isolazionista) non potrebbe essere un bene per l’Europa, la quale, finalmente, potrebbe intraprendere un cammino più autonomo e libero, magari all’insegna di una difesa indipendente da Washington?
OB: Questa, delle due tesi riguardanti il destino dell’Europa, è quella più ottimista. Quella pessimista è che con lo smantellamento della Nato (e l’abbandono della difesa dell’Europa) le divisioni, fra gli europei, aumenteranno. Chissà. Purtroppo, sia in politica che in storia, le cose non sono mai semplici. Credo comunque che, per quanto riguarda i rapporti con la Nato e con l’Europa, con Trump saranno maggiori le difficoltà che i vantaggi.