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«Non dobbiamo salvare la Terra, ma noi stessi»: a Redona uno spettacolo contro il cambiamento climatico

Articolo. Sabato 8 febbraio al Cineteatro Qoelet va in scena «400», uno spettacolo di Beppe Casales che lancia una sfida: ripensare completamente il nostro posto nel mondo e il nostro modo di vivere

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Quando e come abbiamo raggiunto il punto di non ritorno? Perché non ce ne siamo accorti (o abbiamo voluto non accorgercene)? Il limite di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera da non superare per fare in modo che il cambiamento climatico non diventasse quasi irreversibile era 400 ppm (parti per milione). E noi lo abbiamo superato nel 2016.

Secondo gli ultimi dati sull’inquinamento atmosferico resi noti dall’Organizzazione meteorologica mondiale, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è arrivata, nel 2023, al livello record di 420 (ppm). Nel 1750, nell’epoca preindustriale, era a 280 ppm. Solo negli ultimi 20 anni l’anidride carbonica in atmosfera è aumentata delll’11,4%. E siamo estremamente in ritardo per fare qualcosa a riguardo, specialmente per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi: data la permanenza estremamente lunga della CO2 nell’atmosfera, osserva l’agenzia dell’Onu, i livelli di temperatura osservati oggi persisteranno per diversi decenni, anche in caso di riduzione a zero delle emissioni.

È questo il presupposto drammaturgico che ispira il titolo dello spettacolo che andrà in scena questo sabato 8 febbraio presso il Cineteatro Qoelet di Bergamo alle 20,45: «400» .

«400», scritto e interpretato da Beppe Casales, attore professionista dal 1998, è una passeggiata nel bosco con sua figlia Nina, «un viaggio per scoprire il nostro rapporto con quella cosa che chiamiamo natura, così sconosciuta, come sconosciuto è il nostro rapporto con l’aria, l’acqua e il cibo, le tre cose senza le quali davvero non possiamo vivere».

Ma com’è che una passeggiata nel bosco arriva a legarsi al tema dell’inquinamento atmosferico, specialmente se l’interlocutore è una bambina? «Io sono papà da due anni e mezzo», esordisce Beppe Casales, «e in questo arco di tempo ho fatto una serie di riflessioni sul futuro di mia figlia, capendo quanto fosse fondamentale la questione ambientale».

In questo contesto, si è ritrovato «a metà strada tra la generazione dei nostri genitori, che è quella che ha inventato l’usa e getta, che ha fatto danni forse irrecuperabili all’ambiente» e quella di sua figlia, che «ne subirà maggiormente le conseguenze».

«In mezzo a queste due generazioni ci siamo noi, trentenni e quarantenni, che facciamo fatica a trovare il nostro posto nel mondo»: e come lo troviamo? «400» si propone di presentare, innanzitutto, una nuova prospettiva.

«Mentre studiavo, prima di mettermi a scrivere questo spettacolo», ricorda Casales, «sono rimasto affascinato dal riconoscere meccanismi nelle piante che anche noi umani attuiamo nelle nostre relazioni. Ho trovato tantissimi pattern uguali in contesti anche molto diversi: questo ci può aiutare a riposizionarci, a pensare che noi non abbiamo inventato nulla e, anzi, seguiamo meccanismi che ci sono da milioni di anni, da molto prima che facessimo la nostra comparsa».

Per esempio, molte specie di piante diverse producono emissioni a ultrasuoni per comunicare una condizione di stress. Oppure, in un bosco originale, non piantato dall’uomo, attraverso le radici le piante si scambiano informazioni sullo stato dell’ambiente, nutrienti e acqua e sanno soccorrere quelle, tra loro, che sono più deboli. Una piccola grande comunità dalla quale possiamo (dobbiamo?) imparare.

Secondo Casales, «dobbiamo smetterla di pensare che siamo il centro del mondo. A molte persone non è chiaro, ma la crisi ambientale non è un problema per la Terra. Noi non dobbiamo salvare la Terra, ma noi stessi. La Terra andrà avanti tranquilla ancora per un bel po’, a prescindere da quello che facciamo noi. È a noi stessi, in primis, che dobbiamo pensare».

Per farlo, Casales è partito dal linguaggio che conosce meglio, quello del teatro e del raccontare storie. Casales è, tra le altre opere, autore de «La spremuta», vincitrice del premio «LiNUTILE del teatro» 2013, «L’albero storto», finalista al Fringe Festival di Roma, e «Nazieuropa», vincitore del bando Theatrical Mass 2019. Ha collaborato con artisti come Toni Servillo e Fausto Paravidino, partecipando al laboratorio CRISI del Teatro Valle Occupato. Casales è anche co-produttore del documentario «Super – cosa fa una comunità in difficoltà», realizzato con il supporto di ZaLab.

«Il teatro, spiega, ha una capacità tutta sua di parlare alle persone attraverso una connessione emotiva. Il teatro non è una conferenza, non è un giornalista che parla, non è una lezione: è un modo di arrivare alle persone attraverso l’emotività. E questa, per me, è la connessione migliore che si possa trovare».

A chi vuole arrivare, questo spettacolo? Con chi vuole entrare in connessione?

Casales fa notare come «quelli che sono più ansiosi riguardo al tema ambientale sono anche gli stessi che si impegnano per trovare una soluzione: i ragazzi più giovani, quelli per i quali la questione ambientale è un problema che riguarda direttamente loro e il loro futuro».

Secondo lui, hanno una marcia in più, che però non dovrebbe corrispondere a una posizione necessariamente in prima linea su questo fronte: «Sono convinto che i ragazzi oggi abbiano consapevolezze che noi non avevamo. Lo vedo chiaramente quando incontro i ragazzi nelle scuole. Questo però non significa che dovremmo affidarci solo a loro e mettere in mano a loro le sorti di tutti: non possono fare tutto da soli, serve la complicità di tutti noi».

«C’è tantissimo lavoro da fare, continua, c’è bisogno di una presa di responsabilità da parte di tutti. Tutti noi cerchiamo continuamente di autoassolverci, di cercare scuse: prendere una posizione è difficile, ma dobbiamo farlo».

Questo, per sua stessa ammissione, è un compito difficile per la generazione di mezzo in cui lui per primo si identifica e nella quale ha riscontrato due cose: molta pigrizia e poco coraggio.

Come si supera questo ostacolo? «Nello spettacolo faccio notare come, in quella che chiamiamo natura, è connaturato il pericolo: noi cerchiamo di allontanarcene il più possibile, ma affrontarlo è in realtà una componente fondamentale dei meccanismi che regolano la nostra esistenza in quanto esseri umani. Allontanarci dal pericolo ci ha resi pigri e poco coraggiosi. Siamo come anestetizzati. Abbiamo bisogno di capire che il pericolo, nel senso di ignoto, è insito in ogni relazione e non possiamo evitarlo».

Superata la prima fase, che potremmo definire di accettazione, è necessaria una grande presa di coraggio, che «400» si propone di ispirare: «L’obiettivo non è convincere qualcuno che la questione ambientale sia importante, ma invitare tutti a uscire dalla zona di comfort e vedere le cose da un altro punto di vista».

Potremmo uscirne spaventati, oppure cambiati. L’importante è provarci.

«Il messaggio che spero di far passare con questo spettacolo - ci tiene a precisare Casales - è che dobbiamo guardarci intorno, imparare, essere curiosi. Assumere l’atteggiamento di un bambino, proprio come mia figlia: non di superiorità ma di completa apertura».

Solo una volta che saremo aperti al cambiamento, ad accettare un diverso punto di vista, allora saremo pronti per essere noi stessi portatori di quel cambiamento: «il presupposto è che è molto difficile che qualcuno si voglia prendere cura di qualcosa che conosce poco. Dobbiamo reimparare a conoscere le cose che ci stanno attorno e forse attraverso quella conoscenza può scattare un desiderio di cura. Verso noi stessi e verso l’ambiente che ci circonda e di cui noi facciamo parte».

«400» è uno spettacolo che prende vita all’interno di PrendiNota, un percorso culturale nato a Redona per diffondere pillole di arte non solo nei grandi contenitori cittadini ma anche nei quartieri. Trovate tutte le informazioni utili per partecipare qui.

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