93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Nella rassegna «Fruitori di Speranza» di Bagnatica un percorso artistico che prova a dare voce all’indicibile

Articolo. Tre incontri per esplorare la speranza attraverso arte, musica, poesia e cinema. A fine gennaio ci saranno poesia e canzoni con Montmasson, Viviani e ; a febbraio la proiezione di «The Old Oak» di Ken Loach; a marzo Luca Barachetti condividerà la sua esperienza di speranza nella malattia.

Lettura 4 min.

La parola “speranza” deriva dal latino sperantia, che significa “attesa” o “speranza”. Il verbo latino sperare, da cui prende origine, significa “avere fiducia”, “auspicare”, “desiderare con fiducia”. A sua volta, sperare è legato alla radice indoeuropea sper- che implica l’idea di “guardare avanti”, “aspettare con fiducia” o “guardare con speranza verso qualcosa che deve venire”.

Ma in un contesto segnato da crisi delle democrazie, cambiamenti climatici e incertezza, questo termine sembra ridotto a un’inutile retorica.

«Fruitori di Speranza», rassegna culturale promossa dalla Parrocchia di Bagnatica con il patrocinio del Comune, si propone di ridare profondità e direzione a questa parola, esplorandola attraverso musica, poesia, cinema e narrazione.

La scelta del parroco Don Luca Guerinoni di adottare un linguaggio artistico per la rassegna del Giubileo 2025 è un’iniziativa che enfatizza l’integrazione della spiritualità con la creatività. L’idea di combinare le meditazioni religiose con contributi artistici e culturali offre una prospettiva che punta ad arricchire l’esperienza del Giubileo.

«Ho ritenuto importante adottare un linguaggio più artistico per offrire massima libertà di espressione agli artisti coinvolti» spiega il parroco «Questa decisione nasce dalla convinzione che l’arte sia uno strumento potente per trasmettere speranza e favorire una riflessione profonda. Così come abbiamo fatto con la proposta del film, la rassegna artistica diventa uno spazio in cui ognuno può esprimersi liberamente, contribuendo a un discorso più ampio sulle tematiche del Giubileo»

Sabato 27 gennaio: «L’ultima a morire – Versi riversi alla speranza»

La rassegna si aprirà con uno spettacolo che intreccia canzoni e poesie. I cantautori Montmasson e Davide Viviani, accompagnati dal poeta Alessandro Ardigò, porteranno sul palco brani inediti e riletture di altri autori per offrire visioni e suggestioni sulla speranza. «Non vogliamo raggiungere chissà quale verità» spiega Luca Barachetti, giornalista e moderatore della serata. «Attraverso i versi, cantati o detti, cerchiamo di scuotere la parola speranza affinché da essa germogli qualcosa per la vita».

Montmasson, artista bergamasco, presenterà brani del suo ultimo disco «Un’eredità» e nuove composizioni. Davide Viviani, cantautore bresciano, proporrà pezzi tratti da «L’oreficeria» e anticipazioni del suo prossimo lavoro. Ardigò, con i frammenti poetici di «Chiarissima luce», (qui presentato in un articolo Eppen di Francesco Roncoroni) darà voce alle tensioni tra bellezza e fragilità. La serata, con ingresso gratuito e contributo libero, si concluderà con uno spazio dedicato alle domande del pubblico.

FOTO 2 FOTO 2A FOTO 2B

Sabato 24 febbraio: proiezione di «The Old Oak» di Ken Loach

Il secondo appuntamento sarà dedicato al cinema con l’ultimo film di Ken Loach, «The Old Oak». Ambientato in un’ex località mineraria dell’Inghilterra, racconta l’amicizia tra TJ, proprietario dell’ultimo pub della città, e Yara, una rifugiata siriana. La pellicola affronta temi di comunità, integrazione e resistenza alle difficoltà con uno sguardo lucido e speranzoso. «Il film di Ken Loach mette in scena, con una semplicità quasi disarmante, l’essenza della speranza. Racconta di una comunità che lotta per non cedere al cinismo e di relazioni umane che si costruiscono anche nelle difficoltà più grandi. Ken Loach è lo sguardo più libero e lucido sulla realtà quotidiana delle persone» dice Barachetti, che aggiunge «La speranza è una cosa che riguarda alzarsi dal letto, andare al lavoro, amare, usare bene il proprio tempo libero in una continua tensione verso il domani. Un domani che non viene da sé, altrimenti lo si subisce, ma che va costruito con dedizione».

Dopo la proiezione, chi lo desidera potrà fermarsi per un momento di confronto e dialogo sul film.

FOTO 3

Sabato 30 marzo: «Un pinguino che danza. Storia di una malattia»

La rassegna si concluderà con il racconto orale di Luca Barachetti, che condividerà la sua esperienza di convivenza con una rara sindrome. Alternando narrazione, canzoni e letture, Barachetti inviterà il pubblico a riflettere su come trasformare una condizione di sofferenza in una vita comunque generativa. «Non è il solito monologo sulla malattia come occasione di crescita – precisa - Racconto la malattia come parte integrante di un percorso umano, non solo come un ostacolo o una sfida da superare. Ad esempio, la sindrome con cui convivo non è semplicemente un evento negativo, ma una condizione che ha influenzato il mio modo di percepire il tempo, le relazioni e il significato delle cose. In questo senso, cerco di narrare come anche la sofferenza possa trasformarsi in qualcosa di generativo, senza però negarne le difficoltà. La mia mancanza di speranza è uno dei motivi per cui ho accettato di lavorare su questa rassegna: viviamo un tempo in cui dobbiamo trovare punti di coincidenza tra visioni diverse».

Sul rapporto tra speranza e azione concreta, Barachetti afferma: «Da qualche anno ci sono molte sacche di resistenza e di alternativa più o meno piccole, nei campi più disparati (dal cibo all’arte, passando per la moda e la tecnologia, giusto per citarne alcune), che hanno bisogno di guardarsi e spesso si guardano. Non è facile, ma esistono e si trovano nei luoghi più impensabili. Come, ad esempio, la Parrocchia di Bagnatica. Non è questione di destra o sinistra, è una cosa più profonda: è uno scontro fra l’amore e il denaro, fra l’uomo con il vivente e il profitto».

Il pubblico avrà la possibilità di intervenire durante il racconto, rendendo l’incontro un dialogo aperto e partecipativo.

FOTO 4

Un linguaggio inclusivo per credenti e non credenti

«Il Cristianesimo parla a tutti, credenti e non - spiega Don Luca Guerinoni - È una visione dell’esperienza umana che tocca chiunque». La rassegna, infatti, mira a coinvolgere un pubblico trasversale, utilizzando linguaggi universali come l’arte e la cultura per seminare speranza.

«Non abbiamo lavorato a un linguaggio inclusivo - aggiunge Barachetti - ma fra me e Don Luca c’è un patto tacito basato su un’intesa profonda: entrambi riconosciamo che l’esperienza umana è al centro di tutto. Da una parte, Don Luca la osserva attraverso la lente della fede e della spiritualità. Dall’altra, io la esploro da una prospettiva più laica e culturale. Quello che ci unisce è il desiderio di capire e raccontare le tensioni, le fragilità e le speranze che accomunano tutti, al di là delle differenze di visione».

Infine, sulla possibilità di considerare gli eventi della rassegna come un pellegrinaggio spirituale, Don Luca osserva: «Il pellegrinaggio non è solo un cammino fisico, ma soprattutto un viaggio interiore. Ogni movimento dell’anima verso un cambiamento o una riconciliazione è già di per sé un pellegrinaggio. La rassegna artistica offre un mezzo per esplorare questi percorsi interiori. Utilizzando linguaggi artistici, trasmettiamo un messaggio di speranza».

FOTO 5

Sul valore dell’arte per le celebrazioni giubilari, Don Luca aggiunge: «Non definirei questo approccio come totalmente nuovo, ma sicuramente è necessario. È fondamentale trovare modi che permettano alle persone di avvicinarsi all’incontro con Dio. Proporre arte e creatività non solo facilita l’accesso a queste riflessioni, ma può anche dare nuova luce per guardare con una prospettiva diversa le difficoltà con le quali ci confrontiamo quotidianamente. L’arte ha la capacità di parlare direttamente all’anima, incoraggiando un dialogo interiore e un avvicinamento al significato più profondo dell’esistenza e del rapporto con Dio. La speranza può liberare l’anima dalla paura del futuro e inserire le riflessioni su temi come la guerra, le disuguaglianze, la crisi climatica, in un contesto più ampio che ha a che fare con la capacità di prendere in considerazione sia gli aspetti più bui che quelli più luminosi dell’animo umano».

Barachetti conclude: «L’arte dovrebbe sempre puntare all’indicibile, all’impensabile. È un compito difficile e di pochi, ma è lungo quella tensione che si gioca l’arte o un simulacro di essa. Di conseguenza l’indicibile, l’impensabile sono stretti parenti dell’inimmaginabile, cioè lo sforzo enorme, direi titanico, di immaginare una alternativa radicale alla realtà, che la trascenda. È così che l’arte può “riempire” la speranza»