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Le Cornelle: a Sant’Alessandro i bimbi entrano gratis (e imparano tante cose)

Intervista. Andare al Parco faunistico Le Cornelle per un bambino (e non solo) può essere un’occasione non solo di divertimento, ma anche di educazione. Ecco come cogliere tutti gli spunti, approfittando dell’apertura gratuita di venerdì 26 agosto

Lettura 4 min.
L’otocione Moa, appena trasferita dal Parco delle Cornelle allo Zoo-Boissiere in Normandia

Per Sant’Alessandro, venerdì 26 agosto, il Parco Faunistico Le Cornelle offre l’ingresso omaggio per ogni bambino (sotto gli 11 anni) accompagnato da un adulto pagante. Ma come affrontare al meglio la visita allo “zoo”? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Oltolina, direttore sanitario del Parco.

MM: Quali sono i cuccioli presenti al parco?

MO: Ci sono numerosi piccoli nati durante l’anno, in primavera ed estate. Oltre al canguro rosso e al wallaby, che piacciono sempre molto ai visitatori, si sono riprodotti animali con un particolare valore conservazionistico come l’antilope bongo e due fratelli di otocione, volpi africane. Fanno parte di progetti di riproduzione di animali in cattività e verranno spostati in altre strutture zoologiche europee per creare una popolazione sana e stabile, che possa eventualmente essere reintrodotta in natura. Questo ha funzionato in passato con l’ibis eremita e l’orice dalle corna a sciabola. Anche il bisonte europeo è stato reintrodotto in natura con questo meccanismo.

MM: Tornando ai cuccioli del parco, invece?

MO: Gli otocioni sono la prima nascita di questa specie in Italia, la coppia di piccoli è nata da genitori provenienti da altre strutture zoologiche. Sono animali che in cattività hanno diversi problemi di riproduzione, quindi si tratta di un successo doppio. Venendo alle antilopi, è già previsto uno scambio di femmine con lo zoo di Praga.

MM: Come mai?

MO: Non sono decisioni dei singoli parchi ma di un gruppo di esperti. Lo scopo è garantire una popolazione di qualità genetica, per questo bisogna che gli animali si riproducano con “estranei” e non con consanguinei. La riproduzione è l’evento finale di un processo che coinvolge veterinari, chi progetta l’ambiente dove vivono gli animali e chi ne cura la dieta, lo studio comportamento e così via. C’è un lungo lavoro a monte.

MM: Perché portare un bambino allo zoo?

MO: Bisogna cercare di liberarsi dall’idea dello zoo come gabbia. I parchi faunistici non sono più semplici esposizioni di animali. Gli zoo moderni hanno tre obiettivi: educazione, ricerca e conservazione. Per il genitore portare il figlio al parco faunistico non serve solo a mostrare l’animale, ma a sensibilizzare: ad esempio, il rinoceronte è a forte rischio estinzione, se la caccia continua nel giro di 35 anni non saranno più presenti allo stato libero. Gli animali veicolano concetti come la salvaguardia delle specie, dell’ambiente e dei cambiamenti climatici. Bisogna osservare, avere pazienza. Ad esempio alle Cornelle si trovano tapiri e tartarughe del Madagascar, leggendo i cartelli si scopre che sono specie a rischio perché le foreste sono abbattute per il legname e l’allevamento. Una visita allo zoo può essere l’occasione per veicolare concetti importanti.

MM: Quali sono le regole da seguire nel parco?

MO: Le buone norme di educazione, che non sempre sono rispettate perché i genitori non hanno controllo dei figli. L’altro giorno è capitato che una bambina scavalcasse il pre-recinto e infilasse un dito nella gabbia delle scimmie. Nonostante i recinti e la cartellonistica purtroppo a volte è il buon senso manca.

MM: Al di là di queste situazioni limite, gli animali non sono infastiditi dalla massa dei visitatori?

MO: Gli animali alle Cornelle sono nati in cattività quindi la loro sensibilità nei confronti del pubblico è molto limitata. Detto ciò, tutti gli animali hanno la possibilità di godere di punti riparo, anche per motivi di legge. Se non vogliono farsi vedere possono nascondersi. Quindi può capitare di venire a vedere un animale e non trovarlo, ma è giusto così. Va tutelata anche la loro “privacy”.

MM: Questo vale in particolare modo per i cuccioli?

MO: Nelle prime settimane i cuccioli non sono esposti, poi l’apertura è graduale. Ad esempio gli otocioni sono usciti quando ormai avevano quasi due mesi e mezzo. I piccoli di antilope bongo invece usciti quasi subito perché stanno appiccicati alla mamma ovunque vada. Gli ibis erano in nidi alti e finché non si sono involati nessuno li ha visti.

MM: Quali sono gli animali più comunicativi?

MO: I primati. Hanno espressioni, movenze e gestualità per noi molto semplici da leggere. È più facile “capire” un gibbone rispetto a un cane, anche se abbiamo più familiarità con i cani. Le scimmie sono più simili a noi, guardiamo i piccoli giocare e ne capiamo le emozioni, anche per questo le persone si fermano a lungo davanti a loro.

MM: Gli animali non soffrono per il fatto di non essere nel loro ambiente naturale?

MO: Di recente è nato anche un pinguino di Humboldt e quante volte ci siamo sentiti dire “poverini, i pinguini che devono stare al freddo”. Ma questi pinguini vivono in Sudamerica, nella Terra del fuoco, quindi con temperature anche sui 45 gradi. Non teniamo per scelta specie con difficoltà di adattamento al nostro clima. Fino a pochi anni fa c’erano gli orsi, ma quando sono deceduti per limiti di età non li abbiamo sostituiti perché la struttura non è così ampia da garantire abbastanza il loro benessere. Il parco si evolve continuamente e questo credo sia un merito. Sono scelte fatte anche senza vantaggio economico: ad esempio, non teniamo più animali domestici come capre e asini, anche se attraggono i bambini, perché non è la nostra missione. Per quello ci sono le fattorie didattiche.

MM: In cosa è diverso un animale selvatico da uno domestico?

MO: Gli animali domestici sono stati influenzati dall’uomo nella loro evoluzione, quelli selvatici no. Anche per quello è vietato dare da mangiare agli animali delle Cornelle. Non solo perché la loro dieta è studiata a tavolino, ma perché – anche se in cattività – devono rimanere selvatici e non abituarsi a chiedere cibo al pubblico. Questo porta a patologie comportamentali, come lo scimpanzè che fa segno con la mano aperta per chiedere cibo ai passanti. Ciò ovviamente vale anche fuori dallo zoo: non bisogna dare da mangiare ad animali come cervi o volpi perché poi si abituano a non procacciarsi da soli il cibo.

MM: Insomma, pensando di fare del bene si rischia di fare del male?

MO: Noi abbiamo sensibilità che a volte non sono così giuste e non fanno il bene degli animali. I genitori devono stare attenti a non passare concetti sbagliati, ad esempio nutrire un animale selvatico. È lo stesso meccanismo del leone che mangia la gazzella: siamo portati a dire “poverina”, ma poveri anche i leoncini se non hanno da mangiare. Cerchiamo di passare i giusti messaggi ai bambini.

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