A Bergamo, ogni primavera, «Festival ORLANDO» crea un tempo sospeso, uno spazio altro, un appuntamento culturale che interroga la nostra capacità di vivere insieme, di immaginare mondi più abitabili. In una città che ha conosciuto in modo profondo le conseguenze dell’isolamento, «Festival ORLANDO» torna a dire che la cultura può e deve essere partecipazione, ascolto, prossimità, coinvolgimento. Lo fa mettendo al centro i corpi, i desideri, le relazioni, i margini.
Il Festival si muove tra linguaggi artistici diversi - cinema, performance, danza, parola, musica, arti visive - per costruire una narrazione plurale, un archivio vivo di esperienze che non si piegano a un solo modo di stare al mondo. Ogni edizione di «Festival ORLANDO» parte da un tema, da un concetto chiave che fa da bussola: per questa edizione, la parola scelta è “fallimento”. Una parola pesante e considerata scomoda, che nella narrazione dominante è spesso sinonimo di debolezza e perdita, ma che invece può diventare uno spazio fertile, una deviazione creativa, una via di fuga.
Il fallimento come pratica liberatoria
Rivendicare il fallimento oggi è un atto politico. In un presente segnato dall’ossessione per la performance, dall’economia del successo e dalla retorica della resilienza a ogni costo, «Festival ORLANDO» invita a guardare altrove: a ciò che non funziona, a ciò che resta indietro, a ciò che non si adatta. Prende spunto da autori e autrici che del fallimento hanno fatto una filosofia di vita e di azione, come Jack Halberstam, che ne «L’arte queer del fallimento» (ed. Minimum Fax) propone una rilettura radicale: fallire come scelta consapevole, come rifiuto di un sistema di valori che esclude, omologa e premia sempre le stesse persone.
Fallire, in questa prospettiva, non significa perdere, ma sottrarsi. Scegliere la lentezza invece della produttività. Scegliere il dubbio, l’errore, la sperimentazione. Scegliere di non sapere dove si andrà a finire, ma continuare un percorso. È una postura che riguarda le arti performative, sì, ma che può parlare a chiunque: a chi non si riconosce nei modelli dominanti, a chi ha cambiato strada, a chi si sente fuori tempo o fuori luogo. A chi, semplicemente, prova a vivere con coerenza anche quando il mondo chiede altro. «Festival ORLANDO» ci dice che anche l’arte può fallire e che in questo c’è qualcosa di prezioso. Una performance che si scompone, una narrazione che non si chiude, un’azione che resta aperta: sono possibilità, non limiti. Perché il fallimento, quando è condiviso, può generare comunità.
Nel cuore del «Festival ORLANDO», tra proiezioni e performance, le azioni partecipate - che coinvolgono abitanti e la comunità cittadina - sono pratiche di attivazione collettiva. Spazi in cui le idee si incarnano, si condividono, si mettono in discussione. Qui il pubblico non è spettatore, ma parte viva del processo creativo e politico: riflette, cammina, cuce, scrive, canta, ascolta e si espone. Partecipare significa esporsi all’incontro, accettare il rischio del confronto, abbandonare il controllo. In questo senso, la partecipazione stessa diventa un esercizio di vulnerabilità e di trasformazione.
Vi riportiamo tutti gli eventi in cui è possibile partecipare attivamente, il resto del programma, inclusi film in anteprima e performance, è disponibile sul sito.
Gli eventi partecipati: dove l’azione collettiva si fa corpo
Apre la dodicesima edizione del Festival «Ripensare il fallimento – fallire, rompere e il cinema distopico femminista», seminario divulgativo di Jack Halberstam, sabato 3 maggio alle ore 17.30, nella Sala dell’Orologio di «CULT!» (Palazzo della Libertà). Lo studioso statunitense, uno dei massimi esperti in studi di genere, invita a disfare e dis/costruire, anziché rincorrere logiche prestazionali e produttive. Ripercorrendo le narrazioni femministe ribelli degli anni ’70, Halberstam propone altre modalità di opposizione e sopravvivenza. Il pubblico è coinvolto in un cambio di sguardo: non più il fallimento come mancanza, ma come apertura a possibilità alternative, a forme di esistenza non conformi e non addomesticate. L’intervento si concluderà con i saluti istituzionali e un aperitivo di benvenuto. L’incontro sarà tradotto simultaneamente in italiano e in LIS.
Nella stessa giornata di sabato 3 maggio, dalle 18.30 alle 20.30, prende vita la prima attivazione di «Oblio» , l’azione dell’artista di origine eritrea Muna Mussie, che si snoderà poi anche nei giorni successivi (4, 5 e 9 maggio). Nell’Atrio di «CULT!» Palazzo della Libertà, Mussie e un gruppo di abitanti della città ricameranno pareti di stoffa realizzando un anti-monumento temporaneo. Il gesto lento, ripetitivo, collettivo del ricamo trasforma un luogo di passaggio in uno spazio di rielaborazione attiva, in cui i vuoti della memoria coloniale si intrecciano con le storie personali. L’oblio qui non è amnesia: è atto di consapevolezza, è cura di ciò che non si vuole trasmettere come ferita. Ogni punto è un frammento di storia restituito alla città, in un’alleanza potente tra arte e comunità.
Domenica 4 maggio, dalle 17.30 alle 19, prende forma l’istituzione immaginaria e radicale del «Ministero del Fallimento». Collocato simbolicamente nella piazza antistante il Palazzo della Libertà, questo progetto partecipato nasce da un lavoro collettivo avviato da «Festival ORLANDO», coinvolgendo artiste, attiviste e abitanti. L’installazione si trasforma in uno spazio di ascolto e confronto, dove chiunque può contribuire a ridefinire il significato di fallimento. Qui il fallimento diventa atto politico: ciò che viene scartato dal sistema è accolto, nominato, legittimato. Il Ministero si ripeterà nei giorni 10 e 11 maggio, tre appuntamenti aperti a chiunque voglia esplorare i limiti dell’istituzionale e creare nuove forme di appartenenza.
Venerdì 9 maggio, dalle 10 alle 17, si tiene «Convergere», una giornata di scambio di pratiche e di idee tra alcune realtà del panorama nazionale che lavorano con le arti performative e le cooperative bergamasche afferenti a «Confcooperative» che operano negli ambiti delle disabilità, delle violenze di genere, dell’accoglienza di migranti e della fragilità abitativa. L’obiettivo è uno spazio di confronto per meglio comprendere come si possa operare sinergicamente per rendere l’ambito culturale sempre più accessibile e l’arte performativa uno strumento di cambiamento sociale. Il progetto verrà moderato dalla docente accademica Laura Lucia Parolin e dalla ricercatrice Carmen Pellegrinelli.
Sabato 10 maggio, alle 15, «Manifeste» attraversa la città come una scrittura urbana viva e poetica. Il percorso urbano itinerante è l’esito di un laboratorio teatrale, poetico e grafico condotto dalla regista Silvia Briozzo e dall’artista grafica Barbara Boiocchi che da febbraio a maggio hanno guidato il gruppo «Over60» nell’incontro con le donne di «Spazio Irene» del dormitorio «Galgario», con la partecipazione del progetto «Tantemani». Il risultato è un percorso itinerante in cui grafica, poesia e teatro si fondono per rendere visibile l’invisibile. Le parole raccolte durante i mesi precedenti emergono sui muri, nei gesti, tra i passi del pubblico che cammina e osserva. «Manifeste» è una dichiarazione di esistenza collettiva, una presa di parola delle soggettività considerate marginali, che si trasformano in portatrici di senso e bellezza.
Domenica 11 maggio, alle 11.30 e alle 15 si svolgerà «Botanica queer». Percorso urbano itinerante condotto da Ulisse Romanò di «Nina’s Drag Queen». Una lezione di botanica sui tacchi, in compagnia della drag queen Demetra, un’esperienza itinerante che intreccia scienza, cultura queer ed ecofemminismo, esplorando la sorprendente affinità tra il mondo vegetale e le identità fluide. Le piante, spesso considerate “altro da noi”, sono in realtà modelli di adattamento, cooperazione e varietà: esseri intelligenti, non gerarchici, dai generi mutevoli. Un viaggio poetico e politico alla scoperta di quanto la natura, se guardata fuori dagli schemi, possa rivelarsi radicalmente queer. Il luogo di partenza sarà comunicato al momento dell’iscrizione. In caso di pioggia lo spettacolo si svolgerà ugualmente.
Ultima tra le azioni partecipate, sempre domenica 11 maggio alle 19, «Hot Bodies Choir», il coro ribelle e trasformativo nato dal laboratorio condotto durante il Festival da Gérald Kurdian. In Sala dell’Orologio, i corpi e le voci delle persone partecipanti si fanno strumenti di rivoluzione: un organismo vivente, ribelle e inclusivo, che celebra le rivoluzioni sessuali e l’energia collettiva del cambiamento. Al termine della performance si terrà un aperitivo per festeggiare insieme la chiusura della dodicesima edizione del «Festival Orlando».
A chiudere il cerchio, due momenti di pura festa che trasformano il pensiero in danza e la teoria in sudore, ribadendo che la gioia può essere politica. Sabato 3 maggio, a Edonè, «In tre… è un party» rinnova l’alleanza tra Orlando, Toilet Club e Spazio Giovani. La festa prevede un Dj set alternative, pop, dance e disco di Erik Deep e LoZelmo. Sabato 10, il party «Orlando furiosə» accende il foyer di «CULT!» in Piazza della Libertà con «WERK!», collettivo simbolo di libertà notturna. Entrambe le serate sono a ingresso libero.