Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’espressione suggestiva. Sarà per quel termine, “resilienza”, che già da qualche anno abbiamo trasferito dalle scienze (dove indica la capacità di un materiale di resistere agli urti senza danneggiarsi in modo irreversibile) alla sfera delle emozioni. Sarà per la promessa intrinseca al PNRR: quella di risollevare l’economia italiana dopo la pandemia da Coronavirus, creare posti di lavoro, colmare divari economici e sociali, aiutare famiglie, giovani e imprese.
Andiamo con ordine, dando prima di tutto qualche numero. Nel maggio 2020, la situazione pandemica ha spinto l’Unione Europea a disporre misure di sostegno economico per i singoli Stati membri attraverso il Programma Next Generation EU (NGEU), altrimenti noto come “Recovery Fund”, e dotato in totale di 750 miliardi di euro.
Per l’Italia, prima beneficiaria in valore assoluto di questo “Recovery Fund”, le risorse disponibili previste dal NGEU nel suo Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF) sono pari a 191,5 miliardi. Il PNRR è il documento elaborato dal governo italiano per accedere a queste risorse. Non solo: la dotazione complessiva del PNRR è di 235,14 miliardi, perché ai 191,5 si aggiungerebbero 30,64 miliardi di risorse nazionali e 13 miliardi del Programma ReactEU, il Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa.
A partire da tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale), il programma si articola in sei “missioni”, che corrispondono alle sei grandi aree di intervento previste dal NGEU:
- digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
- rivoluzione verde e transizione ecologica;
- infrastrutture per una mobilità sostenibile;
- istruzione e ricerca;
- inclusione e coesione;
- salute.
Un tuffo nella missione 4: istruzione e ricerca
Albachiara Boffelli è Ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, dell’Informazione e della Produzione dell’Università degli Studi di Bergamo. Da febbraio del 2021, Boffelli è anche membro del Tavolo Tecnico del PNRR per il Ministero dell’Università e della Ricerca.
Ho chiesto a lei, coinvolta nella fase di stesura della missione 4, di introdurmi ai lavori. “In dialogo con la Commissione Europea, abbiamo cercato di arrivare a una proposta che fosse più solida possibile e che potesse rappresentare delle opportunità nel mondo della ricerca”, mi racconta. “Questa esperienza mi ha permesso di vedere tutta la parte di progettazione: da dove sono nate le idee, come sono state pensate e sviluppate per rispondere alle problematiche della ricerca e dell’università italiana”.
A sedere al Tavolo Tecnico, Boffelli è stata la più giovane. E di giovani nel PNRR si parla eccome. Tra le missioni previste dal PNRR, quella che ha una più immediata correlazione con i giovani è proprio la missione 4 (istruzione e ricerca).
La missione 4 prevede un investimento totale di oltre 30 miliardi di euro. Alcune delle riforme più significative riguardano l’orientamento nella transizione scuola-università e il sistema ITS (formazione professionale post diploma). “Ci sono delle idee soprattutto per cambiare la percezione del sistema degli ITS che ad oggi è vista come una scelta secondaria rispetto all’università quando in realtà è forse il sistema più orientato al mondo del lavoro”, ci rivela Boffelli. “Se una persona vuole formarsi e sviluppare competenze che siano già utili alle imprese, l’ITS è validissimo. L’investimento su un sistema che coinvolge un numero limitato di studenti ha suscitato qualche critica, ma in realtà l’obiettivo è proprio quello di incrementare il numero di studenti che scelgono questo percorso, anche perché le imprese ne hanno bisogno”.
Nel PNRR, sono anche previsti investimenti destinati alle borse di studio per l’accesso all’università, agli studentati, all’introduzione di dottorati di ricerca innovativi, al potenziamento del rapporto tra università e imprese. Chiedo a Boffelli a che punto è attualmente questa sinergia. “Io lavoro nel dipartimento di ingegneria gestionale, quindi il rapporto con le imprese lo vediamo quotidianamente”, mi spiega. “Ci sono settori che invece fanno più fatica a trasferire la ricerca di base alle imprese. Nella definizione del piano, abbiamo preso come riferimento alcuni colleghi internazionali, come il Fraunhofer Institute in Germania, che per noi è un esempio virtuoso. L’obiettivo è rendere il sistema dell’università e della ricerca utile alla società e non solo fine a sé stesso… un po’ più pratico insomma”.
Lo sguardo nei confronti dei giovani non si limita alla missione 4. “La valorizzazione dei giovani è stato una delle priorità trasversali che ci sono state comunicate fin dall’inizio, accanto al tema del gender equality e del divario tra nord e sud Italia”, spiega Boffelli. Di fatto, il PNRR rappresenta l’occasione per recuperare tutti quei divari occupazionali che penalizzano i giovani. La missione 1, ad esempio, istituisce il Servizio Civile Digitale, con il reclutamento di migliaia di giovani per aiutare gli utenti ad acquisire competenze digitali di base. E poi ancora, la creazione di posti di lavoro nei settori di sviluppo della Missione 2 (rivoluzione verde e transizione) potrà contribuire all’incremento dell’occupazione giovanile, che il PNRR stima al 3,3 % nel periodo 2024-2026.
La transizione ecologica come priorità
Approfitto della competenza di Albachiara Boffelli in materia di sostenibilità per approfondire proprio la questione della transizione ecologica. Alla realizzazione dei progetti inseriti nella missione 2 (rivoluzione verde e transizione ecologica) è destinato più del 31% dell’ammontare complessivo del Piano.
Sulla missione 2 si concentrano molte critiche delle associazioni ambientaliste. Greenpeace Italia, per esempio, denuncia come non ci sia nessuna vera priorità per le rinnovabili e nessun intervento serio per l’agricoltura ecologica, oltre ad una grande assenza: la tutela della biodiversità marina e terrestre. La missione 2 è sembrata “timida”. “Si poteva fare di più”, il commento di molti. Ciò che è poco chiaro tuttavia è come l’investimento sulla transizione ecologica non sia solo quanto si legge nella missione 2, ma sia trasversale a tutto il piano.
“Noi stessi per tutti gli investimenti che abbiamo presentato abbiamo dovuto indicare se ci fosse una ricaduta dal punto di vista della sostenibilità”, ci ha rivelato Boffelli. Le chiedo di farmi qualche esempio. “Non c’è investimento che non riporti, innanzitutto, delle informazioni relative al ‘Do Not Significant Harm Principle’, che è un principio internazionale che deve garantire che tutti gli investimenti non rechino danno significativo all’ambiente o, qualora lo facciano, cerchino di mitigare il danno”, mi risponde. “Per esempio, noi abbiamo un investimento sulle student house, per cercare di migliorare il servizio degli studenti universitari. Anziché investire su nuove costruzioni, e dunque utilizzare nuovo suolo, abbiamo menzionato la ristrutturazione degli edifici preesistenti”.
O ancora, Boffelli spiega come anche le tematiche definite per i centri nazionali di ricerca debbano avere una quota dedicata alla transizione verde e alla transizione digitale. “È una delle cose che il MEF monitorerà perché la commissione europea vuole sapere quanto si sta investendo nella transizione verde”.
Molti progetti sono stati esclusi dal Piano, e su questo sono state mosse critiche. Attenzione, perché “alcuni progetti sono stati inseriti nella legge di bilancio o nel fondo complementare: non è detto che le cose che non sono state inserite nel PNRR non verranno fatte. Le problematiche del paese sono note e questo piano è stato l’occasione per approfondirle”, commenta Boffelli.
Sostenibilità e giovani
Proprio di transizione ecologica si parlerà venerdì 12 novembre, nell’ambito del Festival Bergamo Città Impresa. Chiedo a Boffelli, prima di salutarla, di anticiparci qualcosa sul tema dell’incontro. A partire proprio dal titolo, “La transizione ecologica e le ricadute per le PMI”. “Spesso si pensa che sia più difficile per le piccole e medie imprese diventare più sostenibili. Però ci sono vari esempi di aziende anche piccole che hanno iniziato ad approcciarsi a questa tematica, innovare, e ne hanno fatto un vantaggio competitivo non indifferente”, mi rivela. Il tema della sostenibilità, oggi, è differenziale. “Permette alle PMI di rendere i processi più efficienti, di farsi conoscere, è una leva di marketing non indifferente. Da ultimo, attrae talenti. I giovani ci tengono a lavorare per aziende che siano attente alla sostenibilità”.
Di questa sensibilità green, Albachiara Boffelli ha avuto modo di rendersene conto anche discutendo con gli studenti che frequentano l’Università dove lavora. Ha visto l’attenzione ai temi della mobilità sostenibile, dell’economia circolare, salire anno dopo anno. “Quando propongo una tematica di tesi legata alla sostenibilità, l’interesse è altissimo”, sorride. Non è solo Boffelli a dirlo. Ad aprile, il sondaggio paneuropeo Ipsos per #ClimateOfChange ha intervistato giovani di età compresa tra i 16 e i 35 anni in 23 Paesi Europei. Dal sondaggio, è emerso che i giovani europei considerano il cambiamento climatico e il degrado ambientale come priorità assolute. Allora sì, ecco che un’azienda attenta a questi temi fa davvero la differenza.