« Abbiamo bisogno di storie abbastanza grandi da contenere le complessità e mantenere gli argini e i confini aperti e affamati di nuove e vecchie connessioni capaci di sorprenderci». Si apre con le parole della filosofa Donna Haraway il programma dell’undicesima edizione del Festival «Orlando» . Con l’obiettivo di immaginare processi di autodeterminazione, di relazione e modalità di appartenenza, «Orlando» continua a essere un osservatorio da cui intercettare con attenzione le forme di pluralità e interdipendenza che già esistono.
L’edizione 2024 si avvia nella nuova decade riconfermando il posizionamento del Festival nel contesto sociale e culturale di Bergamo, ma pensando a traiettorie e sviluppi che portano lontano, in relazione con il panorama nazionale e internazionale. Dieci giorni di performance, incontri, danza e cinema per la prima volta con la nuova direzione artistica della coreografa Elisabetta Consonni. Di seguito tutte le performance a cui partecipare nei prossimi giorni.
Il Festival inaugura venerdì 3 maggio alle 18 presso la sala dell’orologio nel Palazzo della Libertà con un aperitivo di benvenuto accompagnato da «Chthulucene. L’umana parentela», concerto di improvvisazione di T¥RSO, collettivo fondato nel 2023 con l’intento di tornare a un’idea essenziale e piacevole di musica, lontana dalle logiche del mercato e dalle piattaforme. La performance-concerto con Alexandra Lagorio (chitarra elettrica, oggetti) e Luca Barachetti (carriola preparata, oggetti, gesti vocali) è un landscape sonoro da cui emergono le parole della filosofa statunitense Haraway, introducendo il tema delle infinite connessioni e possibilità di relazioni.
A seguire, alle ore 20.30 presso l’Auditorium, ritorna al Festival, aprendolo, Diana Anselmo insieme a Sara Pranovi con «Je Vous Aime – Una performance per gli udenti», una lecture-performance multimediale di storytelling, slide, videotestimonianze in Lingua Italiana dei Segni (LIS) e Visual Sign (forma poetica delle lingue dei segni). Il lavoro affronta i temi dell’audismo, fonocentrismo, linguicismo e di tutte le prospettive che tengono conto di una sola possibilità di abilità idealizzata e irreale. Tali prospettive hanno imposto alle persone sorde, nel corso della storia, un’unica forma di comunicazione e hanno ostacolato la Lingua dei Segni, riconosciuta in Italia solo nel 2021. Seguirà un incontro tradotto in LIS.
Relazioni familiari o affettive vengono spesso brutalmente troncate da percorsi di migrazioni, come racconta «As Far as my fingertips get me» di Tania El Koury attraverso la storia del performer e artista Basel Zaraa, nato rifugiato palestinese in Siria. Ispirato al viaggio compiuto dalle sorelle di Zaraa da Damasco alla Svezia, l’incontro intimo, pensato per essere fruito da una persona per volta, invita a riflettere sul grado di empatia che si prova verso chi ha avuto esperienze diasporiche. I polpastrelli facilitano il tatto e le sensazioni, ma vengono utilizzati anche dalle autorità per un controllo della mobilità. La performance porta così a riflettere sull’effetto della discriminazione e sull’impatto delle frontiere sulle vite umane. Considerando come, nell’Europa di oggi, il viaggio di persone rifugiate possa essere programmato fin dove arrivano le loro stesse dita. Avverrà dall’8 al 12 maggio, in collaborazione con IFF – Integrazione Film Festival, e sarà ospitata nella Polveriera Superiore di San Marco, parte del progetto «Panorama Mura», un itinerario storico diffuso lungo le Mura Veneziane.
Il 9 maggio, presso la sala dell’Orologio, «And everything is porous as a bodily crack (E tutto è poroso come una crepa del corpo)» offre uno sguardo innovativo e fictional sulle malattie croniche. Utilizzando una narrazione fantascientifica, Alice Giuliani e Camilla Strandhagen rendono tangibile l’invisibilità della malattia cronica. Le performer si trasformano in anticorpi che si ribellano all’ossessione per “il corpo sano a tutti i costi”. La ricerca fa eco a diverse teorie dei disability studies e alle esperienze personali delle interpreti. Lo spettacolo è parte della rassegna «ON Onde Nuove» a cura di 23/C ART, con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE.
Sorellanze e altre forme di genitorialità sono connessioni parentali che il Festival «Orlando» osserva attraverso la proposta di due performance: «Kin» del Collettivo modenese Amigdala e «Daughters» di Teodora Grano. «Kin», il 10 maggio alla sala dell’Orologio, si svolge in forma di assemblea, costruita attorno a una domanda: «Come resistono insieme le donne oggi?». In questo incontro, dieci donne sperimentano una possibilità di presa di parola, con il canto, la voce e il desiderio di alzare la mano. Al centro della scena pagine di spartiti musicali su cui sono state scritte domande, che fanno da impulso a conversazioni non pianificate. La partitura improvvisativa si basa su un repertorio musicale originale; la musicista e direttrice di coro Meike Clarelli, nel cerchio insieme alle performer, accosta il suo alfabeto muto alle parole che nascono sulla scena, organizzando così il tempo e la musica dell’improvvisazione attraverso un linguaggio altro e segreto condiviso solo con il coro.
«Daughters» è uno spettacolo di danza della coreografa e danzatrice Teodora Grano che, partendo da uno spunto autobiografico, affronta il tema della genitorialità non biologica. L’11 e 12 maggio, al padiglione del tè di Parco Caprotti, con performance ogni 30 minuti, il lavoro riflette su forme di relazioni di cui mancano ancora le definizioni. Inoltre, attraverso elementi di scrittura coreografica e letteraria, mette in discussione la concezione univoca dell’essere figlie.
Autodeterminazione e altri modelli di maschile sono traiettorie necessarie per superare le relazioni di dominanza tra i generi. Il 7 maggio alle 20.30 presso la sala dell’Orologio, «Anticorpo», performance di Giacomo AG con Luce Sant’Ambrogio e Laura B Amponsah, accompagna nella comprensione di possibili trasformazioni che sovvertono le gerarchie tra generi. Il lavoro è una risposta alla violenza patriarcale attraverso momenti di amore, fragilità, delicatezza; un tentativo di sottrarsi al sistema normativo dei generi creando bolle di resistenza in cui prendersi cura reciprocamente. Sabato 11 maggio alle 15.30 presso il Donizetti Studio, «Drag Queen Story Time con Zia Muffin», di e con Daniele Pennati, porterà bambine e bambini dai 3 ai 10 anni a scoprire mondi meravigliosi in cui tutto è possibile, per prevenire gli stereotipi di genere e il bullismo ed educare alle diversità.
Secondo l’associazione Immaginare Orlando, generare relazioni è una pratica che non si risolve nel solo evento del Festival, ma necessita di un dialogo costante con il territorio e con l’intercettazione di realtà sempre nuove. Nasce così la cura verso processi di formazione che avvengono durante tutto l’anno e che trovano nel Festival un momento di emersione e di incontro con un pubblico: è il caso del lavoro «Tender is the Night» presentato dal gruppo di adolescenti «Sguardi di un certo genere» assieme al gruppo Over60 e dell’incontro col gruppo di «Dance Well» di Bergamo con la coreografa Masako Matsushita che presenterà al Festival «Cocoon», esito di un percorso dei mesi precedenti.
La sera dell’11 maggio, presso l’Auditorium di Piazza Libertà, l’artista bulgaro Ivo Dimchev, tra i nomi più incisivi della scena performativa queer, coinvolgerà il pubblico con un intervento che sovverte i generi estetici. Avvalendosi principalmente del corpo e della voce potente e provocatoria, per ammaliare, ironizzare, declamare, giocare, protestare, l’artista spazia dalla danza alla musica, dal teatro al canto, rompendo generi e confini dell’arte. A seguire, presso l’INK Club in via Carducci, ci sarà la festa di chiusura di questa undicesima edizione del Festival.
Condizioni di ingresso e maggiori informazioni sull’accessibilità di ogni evento sono specificate sul sito web. Sempre sul sito, trovate tutti gli altri appuntamenti in programma, tra proiezioni cinematografiche e incontri. Per esigenze particolari è possibile scrivere a [email protected].