Apre il 18 dicembre – con inaugurazione alle 10.30 – e sarà visitabile fino al 9 gennaio la mostra “Enzo Valenti: Un viaggio nella storia di Ardesio”, che ripercorre gli ultimi cinquant’anni della storia di Ardesio, dal 1972 sino ai giorni nostri. Lo fa attraverso 330 articoli del giornalista de L’Eco di Bergamo Enzo Valenti, che raccontano fatti, vicende e mutamenti del paese dell’alta Val Seriana. La mostra, organizzata da Vivi Ardesio con il sostegno della Pro Loco Ardesio e del Comune di Ardesio e in collaborazione con L’Eco di Bergamo, è allestita nell’ampia sala consiliare del Comune di Ardesio (piazza Monte Grappa 3). L’ingresso è gratuito, con Green pass. Ne abbiamo parlato con Enzo Valenti, classe 1938, residente a Gromo, collaboratore dell’Eco di Bergamo dal 1962.
MM: La mostra ripercorre la storia di Ardesio, com’è cambiato il paese in questi 50 anni?
EV: Quando ho cominciato a raccontare Ardesio, nel 1972, l’economia era basata sull’agricoltura e lo sfruttamento dei boschi. Moltissimi emigravano. Squadre di boscaioli partivano a marzo per la Savoia francese e tornavano a novembre, mentre le famiglie li aspettavano a casa. La vita era piuttosto dura e le frazioni erano ancora ben abitate. Poi a fondovalle sono sorte le industrie ed è cominciato il turismo delle seconde case. I boscaioli sono diventati muratori e operai. Le frazioni si sono snellite e tre sono rimaste senza abitanti: Cacciamali, Ave di Ardesio, la Foppa.
MM: Come iniziò a fare il giornalista?
EV: Era il maggio del 1962, ero appena diplomato e Franca Rho, giornalista e alpinista, chiese a don Tarcisio Lazzari se qualcuno poteva corrispondere dall’Alta Valle. Lui indicò me e io accettai, ma con molto timore. Il primo articolo che ho fatto è stato sull’inaugurazione di un tronco di strada Gromo-Valgoglio. Da allora ho scritto più di 20mila articoli. Ho lavorato anche alla redazione de L’Eco a Clusone, ci occupavamo dell’alta valle Seriana e della valle di Scalve.
MM: Qual è il ricordo più felice da corrispondente da Ardesio?
EV: Recentemente, nel 2017, l’incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, venuto a celebrare la Messa per l’Apparizione della Madonna delle Grazie, sono stato con lui diverse ore apprezzandone la cultura cosmopolita e la semplicità. È molto affezionato alla Madonna di Ardesio, da piccolo veniva a piedi dalla Val Camonica col padre.
MM: Quali sono altre personalità di spicco che ha raccontato, legate ad Ardesio?
EV: È di Ardesio Alessia Fornoni, ricercatrice famosa in tutto il mondo in quanto all’Università di Miami occupa la cattedra di nefrologia, è primario ordinario della stessa divisione e dirige un Istituto di ricerca che attrae scienziati da tutti i continenti. Ero amico di suo papà, che ha fondato la sottosezione del Cai ad Ardesio; la mamma, mia coscritta, era maestra come me. Poi il geologo Daniele Ravagnani, morto lo scorso anno per Covid, presidente dell’Ordine dei geologi della Lombardia, che ha lavorato nelle miniere di uranio ed è uno dei fondatori del bellissimo museo etnografico di Ardesio. E come dimenticare il reporter internazionale Giorgio Fornoni, che vive alla Masù, una sorta di eremo restaurato. Tra i Fornoni mi piace ricordare anche il defunto Luigi, maestro e scultore, una personalità estrosa.
MM: Qual è l’articolo che è più orgoglioso di avere scritto?
EV: Sono contento, vent’anni fa, di avere raccontato la storia degli ultimi abitanti di Ave di Ardesio, frazione distante un’ora di cammino dal paese. Erano rimasti in quattro: l’Angelina, il marito e i due cognati. Ora non ci abita più nessuno, ma io ricordo i tempi in cui c’era una piccola osteria e la scuola sussidiaria. Gli ultimi abitanti contadini ci parlavano delle loro difficoltà e della vita grama che conducevano, anche se per fortuna loro avevano le mucche e non erano poverissimi rispetto ad altri, che davvero mangiavano solo polenta e pica sö (un modo per dire che oltre alla polenta non c’è altro, oppure per indicare l’abbinamento della polenta con salumi, sarde salate, o formaggi, ndr). Erano persone di grandissima manualità: costruivano tutto loro con il legno, comprese le posate e gli attrezzi per scremare il latte. Tutto un sapere andato perso, come la conoscenza delle erbe spontanee dei boschi e dei pascoli, dal paruch alla cicerbita (due erbe montane, ndr). Ne conoscevano un centinaio.
MM: Cosa servirebbe per tenere viva la montagna?
EV: Gromo, Gandellino e Valbondione hanno la posta aperta un giorno sì e uno no, e sono paesi di villeggiatura. Il servizio pullman è sempre più scarso, e provvedono i Comuni tenendo almeno una corsa al giorno per gli Spiazzi. È notizia recente la chiusura della filiale della banca a Valbondione e Gromo; si spera aprano almeno un bancomat, ma se non raggiungono un certo numero di operazioni l’anno lo chiuderanno. Perdiamo molti servizi ed è sempre più difficile per gli anziani che devono fare chilometri per ogni cosa. I nostri sindaci fanno miracoli, ma servirebbe una legge quadro specifica per la montagna, qui ci son esigenze diverse che in città. Dobbiamo tenere aperte le scuole anche se hanno pochi alunni. Ci vogliono le strade. Noi diamo tanto alla pianura: acqua, energia elettrica. Ma il ritorno non è adeguato.
MM: Qual è il tema più controverso di cui si è occupato?
EV: Ricordo ci fu molto da ridire a proposito della costruzione della strada Bani-Novazza, che collega la frazione di Ardesio, Bani, con Novazza, frazione di Valgoglio. Ci fu chi fece polemica perché riteneva fossero soldi buttati via, da impiegare in miglior modo. Però poi la Bani-Novazza si è rivelata fondamentale per non isolare l’Alta Valle: quando ci fu la frana fra Ardesio e Gromo (nel 2019) la strada venne interrotta e tutto il traffico veicolare deviato qui, evitando che ben quattro paesi rimanessero senza collegamenti. Ora è usata prevalentemente per motivi turistici.
MM: Come raccoglie le notizie?
EV: Mettendo fuori il naso, seguendo i consigli comunali, anche se i sindaci e le associazioni mi contattano sempre per le loro iniziative. Poi ci sono le notizie ricorrenti, come la Fiera delle Capre, l’anniversario dell’Apparizione o la cacciata di gennaio o “Scasada del Zenerù”, una delle manifestazioni più grosse dell’Alta Valle. Il 31 gennaio i giovani utilizzando campanacci, piatti e tutto quanto può far rumore girano per le vie del paese accompagnando il carro del fantoccio di Zenerù con l’intento di cacciare il freddo inverno e auspicando il ritorno rapido della primavera. La manifestazione si conclude con il falò del Zenerù.
MM: Oltre a fare il corrispondente lei ha fatto per una vita il maestro di scuola, quali sono i suoi ricordi?
EV: Io sono nato a Vertova da genitori di origini siciliane, mio padre era un comandante della forestale. I primissimi anni di insegnamento, 1963-1964, ho lavorato alle medie in Valbondione. Eravamo in tre insegnanti: il farmacista del paese che faceva matematica e scienze, il parroco per religione e io per tutte le altre materie. Poi sono passato alle elementari, ed è stato bellissimo: ho girato tutte le piccole frazioni di montagna, ricordo le stufe e i banchi neri con il buco per il calamaio. Magari il mio prossimo lavoro sarà raccogliere tutti i ricordi di scuola.
MM: Intanto in mostra ci sono 330 articoli con la sua firma, è contento?
EV: Io ero titubante perché non mi piace mettermi al centro dell’attenzione, poi il presidente di Vivi Ardesio Simone Bonetti ha insistito e mi sono convinto. Diversi volontari hanno scelto gli articoli dal mio archivio, visto che per anni ho sempre conservato e raccolto quello che scrivevo. Hanno fatto le cose per bene, nella sala consiliare generosamente offerta dal Comune, e sono felice che venga il direttore de L’Eco per l’inaugurazione.