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#workinprogress: sarà necessario comprendere l’AI per esercitare una forma di cittadinanza attiva e critica

Articolo. Al momento, l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi italiani non sta avendo un grosso impatto per quanto riguarda i lavoratori della produzione. Ma per il futuro ci sono tutti gli elementi per predire un terremoto occupazionale tra i «colletti bianchi». La preparazione dei lavoratori del futuro dovrà abbracciare una visione più ampia e integrata, capace di affrontare le complessità e gli sconquassi di un mondo in rapida evoluzione. Non solo in quanto lavoratori, ma anche come cittadini

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(Gerd Altmann da Pixabay)

Nel dibattito attuale sull’intelligenza artificiale, intrappolato in uno scontro sterile tra tecnoentusiasti e tecnofobici, il tema delle trasformazioni già in corso nella struttura produttiva e organizzativa del manifatturiero italiano rimane frequentemente in secondo piano. Anche perché, dopo decenni di progressiva terziarizzazione dell’economia, il mondo della produzione è sempre meno presente nell’immaginario collettivo e nel senso comune.

Ogni giorno ci muoviamo attraverso distese di capannoni, ignorando ciò che avviene al loro interno. È quindi fondamentale fornire elementi conoscitivi sul cambiamento in atto, soprattutto in vista dell’impatto significativo che avrà sul mercato del lavoro nei prossimi anni. Ogni grande salto tecnologico ha storicamente portato, nel lungo periodo, non solo a una massimizzazione dei profitti per l’impresa, ma anche a miglioramenti delle condizioni dei lavoratori. Ma ciò è sempre avvenuto solo dopo una fase piuttosto turbolenta — e mai indolore — di riconfigurazione tanto dei modelli produttivi quanto della struttura occupazionale e dei rapporti di lavoro. Oggi ci troviamo al principio di una di queste grandi turbolenze. Ma non saranno gli operai le prime vittime di questo uragano.

Il tessuto manifatturiero italiano è caratterizzato principalmente da produzioni customizzate e specializzate. Le aziende italiane si distinguono per la capacità di offrire prodotti su misura, adattandosi alle esigenze specifiche dei clienti. Settori come la moda, l’arredamento e la meccanica di precisione sono esempi emblematici di questa specializzazione. D’altra parte, la produzione di massa su larga scala si è progressivamente spostata in altre aree del mondo, in particolare in Paesi con costi di manodopera inferiori e infrastrutture industriali avanzate. Questo ha portato a una concentrazione di attività produttive in regioni come l’Asia e l’America Latina, dove le aziende possono beneficiare di economie di scala e ottimizzazione dei costi. Perciò, l’introduzione di AI e machine learning nei processi produttivi italiani non sta avendo un impatto significativo in termini di riduzione del personale.

Queste tecnologie si stanno focalizzando principalmente sul miglioramento del controllo qualità, sull’innalzamento dei livelli di sicurezza e sull’ottimizzazione delle operazioni, eliminando mansioni altamente ripetitive che ora possiamo finalmente delegare alle macchine. Ancora oggi, molte persone si trovano a dover ispezionare scarpe, matite e altri prodotti, in assenza di tecnologie adeguate in grado di svolgere tali compiti. L’arrivo di queste tecnologie, grazie all’addestramento dei loro algoritmi, promette di liberare un numero considerevole di lavoratori da compiti ingrati, logoranti e poco qualificanti. Pertanto, possiamo ipotizzare che, almeno nel breve termine, gli effetti dell’introduzione dell’AI nelle linee di produzione del manifatturiero italiano saranno prevalentemente positivi anche in termini di condizioni di lavoro.

Il discorso cambia drasticamente nel momento in cui ne osserviamo l’impatto su quelli che una volta chiamavamo «colletti bianchi», vale a dire tutti quei lavoratori che svolgono attività professionali e impiegatizie, generalmente in contesti d’ufficio, e che non sono coinvolti direttamente in lavori manuali o di produzione. Non solo professionisti che occupano ruoli amministrativi, manageriali, tecnici all’interno delle imprese, ma anche tutti coloro che operano per quest’ultime offrendo servizi e consulenze dall’esterno.

In questi casi la ristrutturazione sarà molto più incisiva e repentina. Le potenzialità che già ora offrono AI e machine learning preludono non solo ad una forte riduzione del personale necessario per le mansioni attualmente svolte dal segmento white collar della popolazione attiva, ma anche ad una ridefinizione complessiva della struttura organizzativa delle imprese. L’AI non sostituirà semplicemente l’uomo nelle mansioni, funzioni e posizioni, attualmente esistenti, ma ne ridisegnerà totalmente il ruolo. Non ci aspetta un mondo aziendale simile a quello attuale, con macchine e algoritmi che rimpiazzano gli esseri umani. Al contrario, ci troveremo di fronte a una nuova e inedita configurazione della struttura aziendale a tutti i livelli: dalla produzione all’amministrazione, dalla progettazione all’approvvigionamento, fino alla logistica e alla finanza.

Alcuni degli attuali quadri intermedi potrebbero evolversi in ruoli più strategici, diventando facilitatori del cambiamento e guidando l’integrazione dell’AI nei processi aziendali. Dovranno sviluppare competenze per interpretare i dati generati dall’AI e tradurli in azioni concrete. La figura del manager potrebbe trasformarsi in una sorta di “co-pilota” che lavora a stretto contatto con sistemi di AI. Questa collaborazione richiederà nuove competenze, come la capacità di lavorare con strumenti di analisi avanzati e di interpretare risultati complessi. Tuttavia, questo processo di ricollocamento e ridefinizione riguarderà solo un segmento molto ristretto di coloro che attualmente occupano tali posizioni. La vera domanda è: che fine faranno tutti gli altri? Ci troviamo di fronte a un problema rispetto al quale l’intelligenza artificiale, purtroppo, non può fornire una soluzione adeguata; si tratta di una questione di grande rilevanza politica e sociale.

È importante sottolineare che stiamo parlando di un numero considerevole di persone. Attualmente, circa il 75% della forza lavoro italiana è impiegata nel settore terziario. Inoltre, negli ultimi anni, si è assistito a un aumento del rapporto tra impiegati e operai. In alcune aziende manifatturiere, il numero di impiegati (inclusi manager e personale amministrativo) supera quello degli operai di produzione, con un rapporto che può variare da 1,5 a 2 impiegati per ogni operaio, a seconda del settore. Questi dati evidenziano chiaramente come l’occupazione industriale in Italia si sia evoluta nel tempo, con una crescente predominanza degli impiegati negli uffici, riflettendo la terziarizzazione generale dell’economia. La situazione si complica ulteriormente se consideriamo che i quadri intermedi hanno storicamente registrato tassi di sindacalizzazione molto inferiori rispetto agli operai di produzione. Questo li rende attualmente molto più vulnerabili in termini di rappresentanza, di rapporti di forza e di strumenti di mediazione e contrattazione.

Insomma, ci sono tutte le condizioni per un terremoto occupazionale che solo una decisa gestione politica dell’occupazione può sperare di contenere. Nei prossimi anni, ancor più che in passato, le politiche del lavoro non potranno essere demandate al mercato o al progresso tecnico.

Un’altra questione cruciale si profila all’orizzonte: quali competenze saranno realmente necessarie per operare all’interno di questa nuova configurazione dettata dall’intelligenza artificiale? È probabile che l’AI segni la fine della stanca retorica che ha da tempo dominato il dibattito sulla formazione tecnica e professionale, ritenuta la risposta alle future esigenze del mercato del lavoro. In realtà, la situazione che ci attende potrebbe rivelarsi completamente opposta. Con l’avanzare di queste nuove tecnologie, la dimensione tecnico-applicativa delle competenze diventerà sempre meno rilevante, poiché molte di queste funzioni saranno svolte proprio dall’AI.

In questo contesto, le competenze richieste si sposteranno verso ambiti più complessi e sfumati. La cultura generale, l’approccio umanistico e scientifico, insieme a capacità di analisi logica, critica, di riflessione e astrazione, diventeranno fondamentali. Sarà essenziale sviluppare la capacità di comprendere e analizzare un testo non solo dal punto di vista linguistico, ma anche in termini storici, sociali e letterari. Questi saperi ci permetteranno non solo di utilizzare i nuovi strumenti tecnologici, ma anche di governarli, riducendo la possibilità di esserne esclusivamente governati. In sostanza, la preparazione dei lavoratori del futuro dovrà abbracciare una visione più ampia e integrata, capace di affrontare le complessità e gli sconquassi di un mondo in rapida evoluzione. Non solo in quanto lavoratori, ma anche come cittadini.

Comprendere criticamente il funzionamento di queste nuove tecnologie, il cui impatto riguarda l’intera organizzazione sociale e non solo i mondi del lavoro, sarà una competenza essenziale per esercitare una forma di cittadinanza attiva, critica, e potenzialmente trasformativa in quanto capace di entrare in attrito con il proprio tempo storico anziché coincidervi passivamente. Ad ogni modo, lo stereotipo derisorio molto diffuso secondo il quale il laureato in lettere o filosofia è destinato a servire hamburger ha i giorni contati.

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