Un’amica che lavora in un gruppo editoriale internazionale mi ha detto in questi giorni che la direttiva aziendale è stata quella di non citare per i brindisi in corso in alcun modo la parola «Christmas», ovvero «Natale», perché contiene la parola «Cristo». Una citazione “sconveniente” che esprime un’identità ingombrante e metterebbe in crisi il valore più alto dell’inclusione e della diversity.
La festa di auguri di Natale diventa dunque un «holiday party» e gli auguri sono di buone feste e buone vacanze. Vacanze felici per tutti coloro che vivono le feste di fine anno come il periodo più sereno. Per molti, ma non per tutti. Ci sono persone che non amano affatto il Natale o comunque che mal sopportano alcuni aspetti legati a questa celebrazione. Alcuni soffrono la cosiddetta «sindrome del Grinch», che prende il nome dal personaggio di un racconto per bambini scritto da Dr. Seuss. Il Grinch è una creatura brutta e spaventosa, pelosa e di colore verde, che da decenni vive da sola in una caverna. Scontroso, solitario, irascibile, odia il periodo natalizio a tal punto da decidere di distruggere il Natale. Ovviamente, alla fine, ne scoprirà la vera magia e cambierà idea.
Il Grinch odia il Natale per diverse ragioni: per i ritmi forsennati che caratterizzano il periodo di fine anno, come se a gennaio il mondo finisse; per l’obbligo di comprare i regali per tutti; per la solitudine che diventa più pesante in un periodo in cui tutti stanno con i propri cari; per la malinconia che nasce quando le persone amate non ci sono più o per una crisi personale.
Il Natale è una festività che amplifica i bisogni di amore, di famiglia, di pace, ma anche di fuga. Il problema è che non tutti riescono a soddisfarli. Si può provare una vera e propria intolleranza verso gli altri e verso tutto ciò che simboleggia il Natale: le luci, gli addobbi, il panettone, i mercatini. Altre manifestazioni tipiche di questa condizione sono lo stress, l’esasperazione, la stanchezza, l’insonnia, la rabbia, la tachicardia.
Non abbiamo consigli utili da dare, se non un racconto sul Natale. Si chiama «Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti». Lo ha scritto Jean-Paul Sartre durante il periodo di prigionia che ha vissuto nel 1941 insieme a un gruppo di militari francesi nel campo di Pétrisberg gestito dai tedeschi. Sulle alture di Treviri, a contatto con le situazioni dei prigionieri e meditando sulla libertà perduta, Sartre continuò le sue ricerche filosofiche e politiche, impegnandosi a trovare anche un modo per opporsi agli eventi dolorosi di quei giorni. Nei giorni che precedettero il Natale, i sacerdoti e i religiosi prigionieri del campo gli chiesero di creare un’opera teatrale, dedicata proprio a questa ricorrenza, per far nascere nella penosa situazione della prigionia un momento di fratellanza e di solidarietà fra i prigionieri.
Bastano poche righe per riassumere la trama: Bariona, capo del villaggio di Bethsur, colonia romana della Palestina a 25 miglia da Betlemme, è convocato dal procuratore romano Lelio, che vuole convincerlo ad aumentare le imposte che Roma richiede per la salvaguardia e la difesa della regione. Bariona è costretto ad accettare e, rientrato al villaggio, convoca il consiglio degli anziani per comunicare loro l’infausta notizia: l’imposizione di nuove imposte. Promette però che saranno le ultime, perché ha un’idea: d’ora in avanti tutti dovranno rinunciare a procreare. Questo divieto alla natalità, quasi un suicidio di popolo, vuole essere una rivolta contro i romani, che saranno costretti, nel giro di qualche anno, a governare in un territorio deserto.
Sbigottito, il popolo sembra accettare, sia pur con tristezza, l’imposizione. Ma quando si diffonde la notizia che a Betlemme è nato il Messia, accade l’imprevedibile. Gli abitanti del villaggio si mettono in viaggio per rendergli omaggio, un’animazione insolita si diffonde nei borghi attorno a Betlemme e la cittadina si trasforma in un luogo in festa, piena di visitatori accorsi all’annuncio «è nato». Bariona è tormentato: vuole uccidere il Cristo, il Bambino. O almeno vorrebbe andare a vederlo. Timidamente si accosta alla porta socchiusa della stalla: «La lampada è accesa. La donna mi volta le spalle ed io non vedo il Bambino; immagino che stia sulle ginocchia. Ma vedo l’uomo… come lo guarda! Con che occhi! Cosa può esserci dietro questi occhi chiari? Quale speranza?». Bariona è colpito dalla figura di Giuseppe, illuminata dal volto del bambino.
L’arrivo dei Re Magi dà alla nascita del Redentore un carattere di universalità. «Perché ti disperi, Bariona? Anche noi abbiamo sofferto e siamo uomini di scienza, fra gli uomini. Non avevamo bisogno di nulla, ma quando è apparsa questa nuova stella, abbiamo lasciato senza esitare i nostri regni e l’abbiamo seguita». Potevano stare fermi, ma si sono messi in viaggio. Coltivando una speranza. «Siamo uomini, noi e te Bariona, la nostra superiorità risiede nella possibilità di scegliere chi vogliamo essere».
Le cime violette dei monti, le città meravigliose che sa essere frequentate anche senza averci mai messo piede, sono per Sartre l’immagine della speranza. I prigionieri insieme a lui, pur costretti a vivere nel fango e al freddo, non si sentono abbandonati dalla Speranza. Sono scaldati infatti dal ricordo delle immagini di verdi orizzonti, assieme a quello delle colline, del corso dei fiumi, dei vigneti e del sole del Sud.
«Non credi anche tu Bariona che la dignità dell’uomo risieda piuttosto nella speranza? È questo il tuo dovere di uomo; per te il Cristo è sceso sulla terra. Per te più che per nessun altro, perché tu soffri più di ogni altro. La speranza non è per l’angelo che non spera affatto perché gode della gioia che Dio gli ha dato in anticipo e neppure la pietra spera, perché vive stupidamente in un eterno presente. La speranza è il dono di Cristo agli uomini».
«Bariona, tu sei oltre la sofferenza e se accetti la tua parte di dolore, come il pane quotidiano, allora tu sei oltre». Nel frattempo giunge alla stalla la folla, compresa Sarah che è incinta. «Il mondo è te stesso, Bariona, perché tu sei dono a te stesso, perennemente gratuito».
Questo per noi è il Natale. Auguri a tutti.