È venerdì mattina e ho appena accompagnato mia figlia a scuola in Città Alta. Come padre moderno, questo è ora uno dei miei compiti, così come andare a ritirare i vestiti in lavanderia da Giusy. Giusy è allergica alla plastica, nel senso che è molto attenta all’ambiente, convinzione che rispetto, solo che mi consegna gli abiti sempre in un sacchetto fatto di carta riciclabile che cade a pezzi subito... e anche oggi è così. Tutti i vestiti puliti sono disordinati sul sedile del passeggero. Molto fastidioso. Ah, viviamo in tempi confusi. In passato, tutto mi sembrava molto più chiaro e facile.
In via Locatelli mi imbatto in una lunga coda. Non riesco bene a vedere cosa sta succedendo, ma tutte le auto sembrano fermarsi di fronte alla Chiesa di San Marco, o è quella di Santa Rita? Ci sono talmente tante chiese a Bergamo che mi trovo sempre in confusione. La cosa strana è che c’è anche un prete sul ciglio della strada.
Non sarà che un altro monopattino elettrico si è schiantato? Beh, meno di quelle cose si vedono in giro, meglio è. Però, non vedo rottami…
La coda non avanza. Il conducente del furgone DHL davanti a me si attacca al claxon mentre gli altri automobilisti non sembrano avere alcuna fretta, il che è strano per gli italiani e certamente a quest’ora di punta.
Mentre lentamente mi avvicino, vedo che il parroco esegue una sorta di rituale con un bastone d’argento. Molto particolare. I sacerdoti fermano anche il traffico qui?! Abbasso il finestrino per chiedere cosa stia succedendo ma, prima che possa formulare una domanda, il prete inizia: “Sant’Antonio Abate, il signore ti conceda prudenza, giustizia, fortezza e temperanza”, poi con il pennello imbevuto d’acqua fa il gesto della benedizione “nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo”.
Nooo! Tutto sulla mia biancheria pulita. Gli abiti sono tutti fradici di acqua santa. Poi uno dei chierichetti del sacerdote mi consegna una cartolina che ritrae un brav’uomo con una lunga barba bianca. Pare si chiami Sant’Antonio Abate. Sono così stupito dall’intero evento che dimentico completamente di fare un’offerta.
Una benedizione per l’auto?! Ah, Bergamo continua a sorprendermi.
Sulla cartolina vedo anche animali intorno al bravo Sant’Antonio. Questo santo deve avere a che fare con gli animali. A tal proposito ricordo che qualche anno fa, vagando per Parigi entrai per caso in una chiesa, che tra l’altro si chiamava Saint Rita, ed era piena di animali. Cani, gatti, rettili e persino un dromedario. Lo giuro, c’era un vero dromedario. La messa era esclusivamente dedicata agli animali. Rimasi stupito. Era però un altro santo: Saint-Francois D’Assise, senza barba bianca.
A proposito di Parigi, sono in ritardo per il mio appuntamento con Alice! Un’affascinante signora che ama ripetere, sorridendo sorniona, che invecchia con dignità. È stata alla regia di innumerevoli opere al Metropolitan di New York, il Teatro alla Scala di Milano, e L’Opéra di Parigi. Considerato che anch’io ho un background nel mondo del teatro, è nata tra di noi una grande sinergia di pensiero. Oggi mi vuole far conoscere un angolo di Parigi a Bergamo. Parigi a Bergamo?! Non riesco ad immaginarlo neanch’io. L’immagine più vicina a Parigi che conosco qui è il Café Marly in Contrada Tre Passi, all’incrocio con Via Tasso. Sono quindi molto curioso.
Parcheggio velocemente e mi avvio verso il Café Marly, il bar dove ci siamo conosciuti e dove ora abbiamo un appuntamento. Dichiarazione evidente di come le persone con affinità elettiva sono attratte dallo stesso tipo di luoghi.
Quando arrivo al Marly, Alice mi sta aspettando in una Fiat 500 rossa brillante del 1960. Un sorriso appare subito sul mio viso. Indossa una pelliccia enorme, con grandi occhiali da sole, e fuma una sigaretta con uno di quegli antichi portasigarette dei film in bianco e nero. Che personaggio! Fa segno che devo salire. Detto, fatto. “Jezus, quanto è piccola questa macchina”, penso sorpreso. Non sono eccessivamente grande ma le mie ginocchia toccano quasi il tetto. Speriamo che “Parigi” non sia troppo lontana... “Ma non ti avevano appena tolto la patente?”, chiedo ad Alice. Me l’aveva detto di recente durante un caffè. “Non dimenticare che qui siamo in Italia, caro Benjamin, e quindi c’è sempre qualcosa da fare”. Sorrido. Alice accelera con la A maiuscola e strappiamo via. Il mio sorriso sparisce e mi rendo subito conto di trovarmi in una situazione pericolosa. Alice non sa guidare! Il motore trema, il cambio piange. Devo pensare a qualcosa in fretta o qui finirà male. Le chiedo di fare una deviazione per me. Vorrei mostrarle una nuova scoperta. “Per il mio fidanzato, tutto!”. È così che mi chiama di tanto in tanto. Lo considero un onore e fa tutto parte del magico flusso teatrale che la avvolge.
Entriamo in Via Pignolo Alta, poi avanti in Via Masone, e poi a sinistra in Via Locatelli. E così sono di nuovo davanti al prete, questa volta però, non per caso. Abbasso il finestrino ed eccolo che riprenda la cerimonia. Ora lo richiudo velocemente perché non voglio una seconda doccia di acqua santa. Quando ha benedetto la macchina riapro il finestrino, accetto la cartolina santa e metto 20 euro nella busta dell’offerta. Non puoi essere tirchio nei momenti cruciali.
Stringo il santino tra il posacenere e il cruscotto. Alice scuote la testa. Le dico che non ho mai visto niente del genere. Mi risponde che non crede a questa assurdità. Io di solito non sono nemmeno superstizioso, ma data la situazione in cui mi trovo, considerato il mio autista, meglio prevenire che curare. Alice mette una cassetta nel mangianastri e “Ciao ti dirò” di Adriano Celentano, un hit degli anni ‘50, esce dalle casse. L’auto accelera a tutta birra! “Sono in un film? O questa è la realtà?!”.
Alla rotonda più pericolosa di Bergamo, quella per entrare in autostrada, esaliamo quasi il nostro ultimo respiro. Alice frena bruscamente dietro un camion rischiando quasi di farci schiacciare da un altro. Non sto esagerando quando scrivo che è mancato un pelo o la Fiat 500 del 1960 sarebbe diventata una scatola di acciughe dello stesso anno. Prendo la cartolina di Sant’Antonio Abate il più discretamente possibile e la premo forte contro il mio cuore. Alice invece è calma. Sull’autostrada guida solo nella corsia centrale. La sua puffetta non va molto più veloce di 90 km/h, ma lei non vuole guidare sulla corsia di destra. Le propongo di farlo comunque, per sicurezza, ma risponde che sa solo guidare se ha una visione centrale. Non voglio certamente incoraggiarla a fare cose pericolose, quindi non insisto. Dietro di noi inizia un concerto di claxon ma Alice rimane indifferente. Il viaggio peggiora di nuovo all’uscita di Palazzolo. Si era dimenticata di prendere quell’uscita e quindi, troppo tardi, con una forte spinta al volante, la Fiat rossa prende un volo da un bordo rialzato e atterra all’uscita, tra una jeep e un camion enorme. Miracolosamente nessun ferito. Quatto quatto, girato verso il mio finestrino, porto l’immagine sacra alla bocca e la bacio mentre chiudo gli occhi. “Grazie, Sant’Antonio, grazie!”.
Arriviamo a Paratico e Alice parcheggia in Via Guglielmo Marconi, proprio di fronte al Lago di Iseo. Finalmente scendo dalla macchina. “Sei un po’ pallido”, dice. “Ah si?”, rispondo. “Mi sento bene però”. Alice ride e dice che questo è uno dei suoi posti preferiti. Mi guardo intorno. “È un bellissimo lago, non c’è dubbio”, dico, “Ma faccio un po’ fatica a riconoscere qualcosa di Parigi”. “Pazienza, ragazzo mio”, risponde. “La tua generazione non ha più pazienza. Non c’è più l’attesa. Tutto e subito. Ma nell’attesa c’è la felicità”. Sagge le parole di Alice, a volte vorrei poterla registrare.
“Dobbiamo seguire la vecchia ferrovia”, dice. “E ci porterà a Parigi?”, chiedo. Alice sorride senza rispondermi. Camminiamo lungo il tranquillo lago sulla vecchia ferrovia e improvvisamente vedo qualcosa che sembra una vecchia stazione. Adagio adagio ci avviciniamo. “Je te presente La Bohēm”, dice orgogliosa Alice. Sono stupito. Tre teloni a cupola rossi con “Bohēm” scritto con bellissime lettere dorate garantiscono un ingresso sublime. Alice mi racconta che era prima un negozio di fiori sull’altro lato del lago a Sarnico e che la vecchia stazione è stata acquistata qualche anno fa per dare vita ad un concept bar/bistro/fioraio. Lei viene qui quando avverte il bisogno di quell’atmosfera parigina per rinnovare i suoi ricordi. Quando entriamo non posso credere ai miei occhi. Oltre alla bellissima ambientazione hanno anche il vero Pain Au Chocolat. Se c’è una cosa che mi manca davvero del Belgio è quella. E ora l’ho scoperto qui, nel piccolo villaggio di Paratico, sul lago d’Iseo.
Ci sediamo nel bellissimo bistro su poltroncine di velluto. Prendo un macchiato e ovviamente un Pain Au Chocolat mentre Alice si butta sul Café Calavados. O per meglio dire Calvados con un po’ di caffè.
“Ah, il bello è nel piccolo”, dice Alice. Ha ragione, penso proprio quando mordo il mio Pain Au Chocolat e mi sento a casa. Che atmosfera meravigliosa. Tornerò sicuramente qui. Non ci sono dubbi. Alice mi racconta del suo tempo all’Opera di Parigi. Lì ha fatto cose meravigliose. Tra l’altro con La Callas. Ci tengo a raccontare che la mia bisnonna ha recitato con Yves Montand. “C’est fantastique ça!”.
Voglio ringraziare Alice per questa meravigliosa scoperta quindi, dopo aver pagato il conto, entro nella zona fiori e rimango stupefatto. In tutta Bergamo non esiste un giardino fiorito all’interno come questo. Che profumo di freschezza e che esagerata bellezza. Chiedo un bel bouquet e me ne confezionano uno stupendo. Poi segue il conto: sessanta euro. Questo è sempre uno shock. I fiori in Italia hanno un costo enorme. In Belgio svuoti l’intero negozio per quel prezzo.
Quando consegno i fiori ad Alice è incantata “Mi sento proprio come sulla scena dopo una splendida premiere”.
Mentre ci incamminiamo verso la macchina mi viene un tremore al solo pensiero di avere alla guida ancora Alice. Le chiedo di poter guidare. “È sempre stato un mio sogno guidare una vecchia 500”, dico. Questo non è per niente vero, ma vorrei arrivare a Bergamo sano e salvo, e nemmeno Sant’Antonio Abate può salvarci quando Alice si mette al volante dopo aver bevuto mezza bottiglia di Calvados. Mi guarda e annuisce sorridendo. Tiro un sospiro di sollievo.
Alice si siede sul sedile del passeggero con il mazzo di fiori in grembo. Non ci vuole molto prima che si addormenti e mi delizi con uno “splendido concerto”. Devo ammettere che il ritmo ce l’ha. Che forte!
Il mio telefono suona all’improvviso. È un numero sconosciuto. Una voce maschile dice: “Don Beppo?“. “Euh no, penso che abbia sbagliato numero”, rispondo.
“Ah scusi per il disturbo, padre”…
Dopo stamattina sono leggermente più religioso di prima. Ho assistito a due miracoli in contemporanea. Faccio un occhiolino a Sant’Antonio: ma non sono ancora Don Beppo!
Dopo un tranquillo viaggio di circa mezz’ora siamo di nuovo di fronte al Café Marly. Provo a svegliare Alice ma non c’è modo. Ho fretta e non voglio essere scortese, quindi la lascia dormire. Esco e chiudo delicatamente la porta. Dopo alcuni passi mi giro. Che immagine: Alice con i grandi occhiali da sole, che dorme nella sua Fiat 500 rossa degli anni Sessanta con un mazzo di fiori tra le braccia. Prendo la mia Leica e fermo un ricordo di una mattinata indimenticabile.
Quando ritorno alla mia auto noto con grande sorpresa che i vestiti ritirati dalla lavanderia sono una macchia unica. “Ma cosa c’era in quell’acqua santa?! Forse è diventato vino? Può essere?”. Ad ogni modo, tutto deve essere lavato di nuovo...E a chi va il conto? A Sant’Antonio Abate? No, quel brav’uomo ha rischiato seriamente la pelle per me oggi.
Eh, mandiamolo a Don Beppo!
(illustrazione di Marco Gubellini)