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Storie dell’Hotel Commercio negli anni ’80 a Bergamo: convento e orfanotrofio, poi attività ricettiva

Racconto. Un albergo sospeso tra secoli di storia e un ambizioso futuro. La storia della nostra città, di tante persone sconosciute e di grandi uomini e donne è passata anche da lì

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Arrivato davanti al Liceo Artistico, Lorenzo si fermò e iniziò a guardarsi intorno.
Non era un caso che Riccardo gli avesse dato appuntamento proprio lì. Recentemente, infatti, gli aveva rinfacciato – almeno due volte – di non aver potuto fare quel liceo che a lui sarebbe piaciuto. Invece mi avete iscritto allo scientifico, gli aveva detto con un tono aspro. È l’adolescenza, aveva commentato la madre. La verità invece era che i genitori gli avevano proposto di frequentare lo scientifico perché aveva ottimi voti in matematica e scienze. E Riccardo era sembrato d’accordo.
La verità era che suo figlio probabilmente si era pentito della scelta condivisa perché aveva scoperto la passione per la musica e il teatro e, quindi, per l’Arte. Ma anche che l’adolescente è crudele e ingiusto, con se stesso e con gli altri. Fortunatamente, poi diventa grande e tutto passa.
Speriamo, mormorò Lorenzo.
“Eccomi!” gridò suo figlio arrivando di corsa.
Disse che la mostra era in fondo alla via.
Al numero Ottantotto. Era in un palazzo abbandonato.

“Veniamo spesso in centro ma non siamo mai arrivati fin qui” disse quando erano all’altezza della pasticceria Salvi.
Lorenzo era ammutolito e continuava a fissare con insistenza le case, i negozi e, soprattutto, la fine della via. Riccardo gli chiese se lui la conosceva bene, quella via e il padre annuì pensieroso.
Via Torquato Tasso, spiegò, era una delle più belle vie di Bergamo e aveva una particolarità: era lunga e tutta a senso unico, eppure divisa in due parti completamente diverse l’una dall’altra. Fino agli anni Ottanta, per le auto i due sensi unici erano contrapposti: si entrava da via Pignolo e si usciva dalla piccola via Contrada Tre Passi, mentre nel senso opposto si entrava da Piazza Cavour e si usciva ancora in Contrada Tre passi. Dagli anni Novanta, avevano invertito il primo senso unico e così l’unica direzione consentita – ovviamente sempre con l’auto – era da Piazza Cavour fino alla Piazzetta Santo Spirito e via Pignolo con sbocco su via Camozzi.

La prima parte, quella da via Cavour a Contrada Tre Passi, era quella elegante, mondana, più “centro”, più fighetta, in totale continuità con Sentierone: c’erano la Prefettura, tanti negozi eleganti, il cinema Capitol – molto frequentato e con film di qualità – il Liceo Artistico, la Scuola Media Donadoni. La seconda parte, dalla Contrada in poi, era sempre stata quella più popolare, la più antica e la più simile a Via Pignolo, che era un vero Borgo con le sue botteghine e gli stretti rapporti di vicinato. Ed era sempre stato così, a maggior ragione prima dell’inversione del senso unico.

“Quindi, questa via” continuò Lorenzo “è sempre stata un po’ schizofrenica, fatta di due tratti dalla natura completamente diversa e, fino a poco tempo fa, perfino due sensi unici contrastanti.”
“Per di più, quando la parte più popolare fu pedonalizzata – sempre nei Novanta – oltre a essere meno chic si spense anche dal punto di vista economico per la mancanza del famoso “passaggio.”
Era dura da ammettere, commentò in tono amaro, ma il via via delle auto portava clientela ai negozi e dava animazione.
Numero Ottantotto. L’unico stabile della via dall’aspetto dimesso e abbandonato.
“È un vecchio albergo” esclamò Riccardo, leggendo l’insegna ancora leggibile sopra la porta d’ingresso.
Hotel Commercio.

“Lo conoscevi?” chiese al padre che non sembrava per nulla sorpreso di trovarsi di fronte quella facciata.
“Ci abitava un amico” rispose Lorenzo, senza staccare gli occhi all’entrata.
Un caro amico, sottolineò.
Le sue iridi saettarono qua e là lungo la facciata dall’intonaco scrostato in più punti, le vecchie persiane in legno accostate e soprattutto sulle porte di vetro dell’entrata.
“C’era tanta vita qui, una volta” disse a bassa voce.
“La mostra di cui parlavi è lì dentro?” chiese, riprendendo un tono più vivace.
Riccardo confermò, spiegando che si trattava di un misto di Arte Contemporanea e Teatro, con attori che recitavano aggirandosi tra delle installazioni artistiche. Era l’ultimo evento prima della ristrutturazione del palazzo.
So di cosa parli, disse Lorenzo.
Riccardo annuì ed esortò il padre a entrare e varcò la soglia per primo. Il padre ammirò il piglio deciso del figlio: da quando era stato contagiato dalla passione per il Teatro e il corso di recitazione, Riccardo era cambiato. Pareva sempre entusiasta, deciso e perfino più forte.
“Questa era la reception” disse Lorenzo appena entrato.
“È difficile immaginarselo ora” disse Riccardo sottolineando il vuoto intorno con un gesto delle mani.
Lorenzo indicò allora con il dito dove si trovavano il bancone dell’accoglienza, il mobile con le chiavi delle camere, il centralino del telefono e le poltrone. La sala successiva, un grande salone dal soffitto altissimo, era il locale dove gli ospiti si fermavano a guardare la televisione e a chiacchierare, magari bevendo qualcosa preso dal piccolo bar che stava in una stanza più piccola lì accanto.

“La tv stava là in fondo, di fronte c’erano poltrone e divani e a seguire un tavolo con delle sedie.”
Mentre si aggiravano per le sale, Lorenzo raccontò di essere stato molte volte, da solo o con altri amici, nel Commercio – lo chiamavano tutti affettuosamente così – per salutare l’amico comune che viveva lì in una stanza dell’hotel e talvolta organizzava cene e piccole feste in una delle sale.
La più lontana dalla Reception e con un’entrata separata, in modo da non disturbare nessuno.
Visitarono poi la lunga e stretta cucina che un tempo aveva ospitato anche il ristorante dell’hotel e che alla fine era rimasta solo la cucina del suo amico.
Dalla cucina si passava in una grande sala molto luminosa e con uno stupendo camino, finestroni alti e, come il salone e la cucina, volte con cornicioni e stucchi.
“Gli interni sono cinquecenteschi e furono curati dal famoso architetto Pietro Isabello e i pavimenti sono in marmo di Zandobbio”.
La smorfia di Riccardo, che poteva essere di ammirazione ma anche di ironico disinteresse – fece ridere il padre.
In ogni sala c’era un’interessante installazione artistica e degli attori agghindati con abiti dei secoli passati. Appena qualcuno entrarono nella sala successiva, due di loro – vestiti con fogge medievali – cominciarono a recitare quella che sembrava una commedia di Shakespeare.
“Credo sia Il Mercante di Venezia” disse Riccardo e il padre annuì compiaciuto.
“Questa era la sala dove stava sempre il nostro amico” disse sottovoce Lorenzo.
Riccardo chiese, quasi in un sussurro, come si erano conosciuti.

“Un giorno un amico” iniziò a raccontare il padre, uscendo dalla sala “mi dice di accompagnarlo in un posto interessante e artistico.
“Un luogo molto particolare dove viveva un suo amico.”
“Arriviamo davanti all’hotel e rimango perplesso: cosa ci facciamo in un albergo? chiedo al mio amico.”
L’altro gli disse di avere pazienza.
“Alla Reception saluta il ragazzo come se lo conoscesse da tanto e fa segno di andare verso una porta. Il ragazzo disse certo e salutò.”
“Passiamo attraverso tutte il salone e la cucina per arrivare davanti a questa porta. Bussiamo e ci apre un tipo simpatico, dall’aria artistoide e molto gioviale.”
Dentro era pazzesco, raccontò, da fuori non nessuno l’avrebbe immaginato: come le altre sale anche lì il soffitto era alto come le volte e gli stucchi, però in quella c’erano anche librerie e strumenti musicali, tavoli con fogli e libri, poster e quadri, una specie di salottino con un camino in pietra dove bruciava della legna.
“Era una stanza molto artistica.”
Diventarono subito amici e quindi, da solo o insieme agli altri amici, visitò spesso quel luogo.
“L’aspetto più singolare era costituito dal fatto che, con la scusa di frequentare un amico, avevamo anche l’occasione di vedere l’interno di un hotel.”
Dalle finestre della cucina videro un chiostro antico con un giardino.
“D’estate i clienti facevano colazione lì.”
Non era mai stato un hotel lussuoso, disse Lorenzo, ma aveva il fascino di possedere al suo interno secoli di storia e di accoglienza. Infatti, prima di ospitare l’attività alberghiera – con il nome di Elefante e poi di Commercio – lì dentro dal Trecento in poi ci furono monasteri – prima i Celestini con ospedale e ricovero e in seguito i Canonici Lateranensi – poi l’Orfanotrofio di San Martino e poi chissà cos’altro nei secoli. Storia, cultura e ospitalità.

“Il corpo dell’hotel era tutt’uno con la parte che una volta ospitava l’Archivio di Stato” disse Lorenzo indicandone le finestre che davano sul giardino.
Lorenzo ricordava che l’hotel era totalmente inserito nel contesto del quartiere, in questo caso più Pignolo che via Tasso, con i clienti che frequentavano tutte le attività che si trovavano intorno.
Bar, ristoranti e negozi beneficiavano così della clientela dell’hotel: i turisti erano pochi, allora.
“A proposito” fece Riccardo “che gente veniva in questo albergo?”
Lorenzo spiegò che lui non badava troppo ai clienti, essendo lì per incontrare il suo amico. Però quest’ultimo spesso gli raccontava qualcosa: la maggior parte erano persone della classe media che viaggiavano e soggiornavano a Bergamo per i motivi più disparati. Tantissimi uomini d’affari e chi visitava le fiere di Bergamo o di Milano, rappresentanti e agenti di commercio, ma anche i parenti dei ricoverati nell’ospedale o nelle cliniche; gli atleti che partecipavano a gare e manifestazioni sportive – per esempio la Felice Gimondi per i ciclisti – i critici cinematografici che frequentavano il Bergamo Film Meeting, gli studenti che avevano gli esami da privatisti nelle scuole della città, ballerine e calciatori che si facevano curare in un centro specializzato che stava in via Tasso davanti alla prefettura; musicisti di vario genere che suonavano in qualche locale o avevano concerti, gli attori che recitavano al Donizetti durante la stagione di prosa, i cantanti della Lirica.
“Anche il mio amico un giorno iniziò a recitare a teatro – Riccardo sorrise – e mi disse che talvolta faceva le prove nelle sale dell’hotel con i colleghi.”

Talvolta in presenza degli attori professionisti del Donizetti e il Commercio diventava così una sorta di dependance del Teatro, in tutti i sensi.
Un capitolo a parte lo meritavano anche i bergamaschi che gravitarono intorno al Commercio, soprattutto per affetto o simpatia: a parte gli amici diretti della famiglia che lo gestiva, bisognava citare i tanti antiquari che per molti anni frequentarono le sale dell’hotel per incontrarsi ma anche per la compravendita di pezzi d’arte; spesso lasciavano quadri o mobili antichi parcheggiati nelle sale, sia per esigenze pratiche che per metterli in mostra – magari un cliente ci avrebbe potuto fare un pensierino: hai visto mai?

Tra le presenze abituali c’erano anche artisti, magari pittori come il Lomboni oppure il Caglioni: il primo soggiornò diverse volte e pagò i conti in quadri, ovviamente esposti nelle sale. E come non ricordare i preti della vicina Chiesa di Santo Spirito – e ogni tanto qualche Monsignore – che si fermavano spesso nella hall o nel chiostro per fare due chiacchiere oppure a disquisire sulle rispettive prediche. Ogni tanto capitavano anche eventi eccezionali che riempivano l’hotel e che lasciavano ricordi indelebili – non solo nell’hotel ma anche in città – per varie ragioni: per esempio, il Campionato Mondiale di Pallanuoto del 1984 – alle Piscine Italcementi – fece affluire qui le squadre di tanti ragazzi venuti da paesi diversi e perfino nemici, visto che c’erano anche alcune nazioni dell’ex blocco sovietico. Né l’hotel né la città erano abituati allora ad assembramenti così grandi ed eterogenei.
“Il mio amico raccontò che questi ragazzi poco più ventenni si comportarono né più né meno come i liceali in gita con la scuola e sorvegliati dagli allenatori al posto dei professori.”
Mangiavano come lupi, Lorenzo ricordò ciò che disse il suo amico, e facevano un gran casino. Ma c’era tanta allegria.
E di allegria ce ne fu tanta anche in occasione della gigantesca Adunata degli Alpini del 1986, quando migliaia e migliaia di uomini di ogni età – ma tutti con la penna nera – dormirono in ogni angolo possibile della città e dell’hotel. Chi rimase senza letto, utilizzò un sacco a pelo; altrimenti il divano. In mancanza di quello, anche il pavimento. Grandi bevute, canti più meno montanari e sospensione di qualsiasi regola alloggiativa.

Anche se non era un hotel “importante”, ci soggiornò anche qualche personaggio famoso: per esempio Donna Broome, modella americana con la sorella Terry, meno famosa della prima come mannequin ma più conosciuta per un fattaccio di cronaca nera. Nella Dolce Vita della Milano da bere degli anni Ottanta, Terry Broome sparò a un playboy meneghino che la molestava sessualmente – oggi lo chiameremmo stalking. Si fece un po’ di prigione, poi servizi sociali e arresti domiciliari, infine a casa oltreoceano. Terry passò molto tempo a Bergamo da amici vicino all’hotel e una sera le due sorelle si incontrarono in città. Probabilmente non fu una bella chiacchierata, perché la bellissima e statuaria Donna tornò in hotel in lacrime.
Una volta, durante la stagione teatrale di chissà quale anno, capitò al Commercio Sandra Milo. A differenza della modella, Riccardo la conosceva.
“Il mio amico disse che, contrariamente a quello che molti penserebbero vedendola sul piccolo e grande schermo, era una donna molto simpatica, educata, gentile e affabile.”
E molto bella.
Uno dei clienti che era rimasto più impresso nella mente del suo amico fu il Dottor Nicolò Amato, un magistrato in prima linea nella lotta contro il terrorismo degli anni Settanta e Ottanta, in particolare i Nuclei Armati Rivoluzionari, nonché titolare delle inchieste sull’attentato a Giovanni Paolo II e l’omicidio di Aldo Moro e Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Quest’uomo forte e importante, un guerriero a suo modo, la notte che rimase nell’hotel si sedette a sorseggiare un bicchiere di vino con il padre del suo amico dicendogli che lo invidiava perché lui viveva in una prigione fatta di guardie del corpo, auto blindate e misure protettive di ogni tipo. In effetti il suo soggiorno non fu registrato – come chiesto dalla Questura per ragioni di sicurezza – consumò la cena da solo in camera e dei poliziotti in borghese passarono tutta la notte intorno all’hotel per tutelare l’incolumità del magistrato.

Un altro aspetto che il suo amico riferì spesso fu quello delle tante persone che lavorarono nell’hotel: il personale delle camere, tutto femminile, e quello della reception, tanti giovani, sia ragazze che ragazzi. Esistevano anche i numerosi fornitori e il cosiddetto indotto; spesso, tra la famiglia che gestiva l’hotel, chi ci lavorava e anche chi forniva un servizio o un prodotto, nasceva addirittura un’amicizia.
Uno non ci pensa mai, ma un’attività commerciale – bar, ristorante, albergo, palestra, piscina e tutte le altre – non è solo un posto dove si fanno i soldi (più o meno) ma anche un luogo dove vivono e interagiscono tanti esseri umani. Nel caso di un hotel, anche persone provenienti da luoghi lontani o lontanissimi.
“So che tra il mio amico e molti clienti dell’hotel nacque spesso un’amicizia importante e che quindi travalicò l’iniziale rapporto professionale.”
“Che ne sarà dell’Hotel Commercio?” chiese Riccardo.
Lorenzo sorrise, ammirando il chiostro.
“Per ragioni professionali conosco e ho avuto rapporti con gli Istituti Educativi, l’Ente proprietario della struttura” rispose. In particolare, il loro Consigliere Mauro Bonomelli mi ha parlato del loro ambizioso progetto di ristrutturazione” rispose.
Raccontò che sarebbe diventato un grande hotel gestito da una importante catena alberghiera di Brescia, accorpando all’ex Commercio anche gli stabili che ospitarono per tanti anni l’Archivio di Stato; la struttura avrebbe avuto quattro stelle, una reception più grande e spostata dalla vecchia collocazione, camere nei piani superiori e nella parte superiore dell’ex archivio – ovviamente in molti casi lussuose e perfino una suite – ed era prevista la rivitalizzazione dello splendido chiostro trecentesco e del giardino.”
“Ci sarà perfino una SPA nel piano interrato e, soprattutto – sai quanto amo l’Arte – la ricollocazione del ciclo di affreschi originali strappati negli anni Venti nel salone principale.”
Le Storie della vita di Sant’Agostino e il Cristo Risorto: una meraviglia e tutta restaurata.
La sala convegni dell’ex Archivio sarebbe diventato il ristorante della struttura, mantenendo intatti gli spazi attuali.
“Ma sarà anche sede di eventi culturali che terranno l’hotel sempre legato al quartiere e più in generale alla città.”

“Dopo tanti anni passati nell’oblio” concluse Lorenzo “è giusto restituire questo storico hotel alla nostra città e naturalmente in forma smagliante.”
E anche con un nome nuovo, più legato al quartiere: Santo Spirito.
“Dov’è il tuo amico adesso? Lo vedi ancora?”
Lorenzo scosse la testa.
Non so dove sia, disse sorridendo al figlio.
“È scomparso quando l’hotel Commercio chiuse.”
“C’è chi dice che sia andato lontano e chi invece che abbia cambiato totalmente vita per iniziare tutto da capo.”
Forse a Bergamo, forse no, chissà.
“Nessuno degli amici lo sa e poi, come vedrai alla mia età, dopo la giovinezza ognuno corre dietro ai propri guai e piano piano si disinteressa di tante cose”.
“Ciò che resta sono tanti bei ricordi legati a questo albergo e alla giovinezza di tanti di noi che l’hanno frequentato.”
Il Commercio, alla fine, sarà sempre un gran bel ricordo e ormai fa parte della storia di questa città.

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