Questa psicogeografia inizia in Bosnia, una terra bellissima, ricca di storia e natura, ma anche di ferite non ancora rimarginate. Nel 2016, con l’associazione Repubblica Nomade, organizzammo un cammino che partiva dalla risiera di San Sabba, a Trieste, un campo di concentramento e sterminio italiano durante la Seconda Guerra Mondiale, per arrivare a Sarajevo, città in cui scoccò la scintilla che portò alla Prima Guerra Mondiale e città simbolo della guerra fratricida di pochi anni fa.
Il senso di quel cammino era riportare alla memoria le terribili, sanguinose e sanguinarie conseguenze che il razzismo e il pregiudizio portano con sé. I tempi, ahinoi, non sono migliorati, e forse è bene tornare sui propri passi per non ripetere gli errori del passato.
Ad accompagnare idealmente i nostri passi, c’era Pippa Bacca, visionaria artista milanese che aveva attraversato prima di noi quei territori in una performance con una visione simile alla nostra ma che, purtroppo, per lei si concluse tragicamente. Proprio come in una tragedia greca, un viaggio che si proponeva promotore di pace e fiducia nel prossimo, si è concluso con l’omicidio della protagonista.
Femminicidio, per la precisione, in quanto si è trattato proprio di abuso, sopraffazione e uccisione di una donna.
Ad esser malato oggi, secondo me, è il maschile
C’è un problema di violenza e spesso è un problema maschile. Con “maschile” non intendo soltanto individui di genere maschile, ma mi riferisco a un “principio” presente in chiunque, un archetipo per usare la terminologia di Carl Gustav Jung: ognuno ha nella psiche sia parti maschili che parti femminili. Ad esser malato oggi, secondo me, è il maschile: una persona che agisce il potere in modo autoritario e violento, agisce una parte di sé maschile e malata, anche se questa persona è di genere femminile.
Spesso a descrivere questa problematica, si usa il termine “patriarcato”. bell hooks (si scrive minuscolo per sua volontà), descrive bene come questo sistema (per esempio nel libro «La volontà di cambiare») che è perpetuato anche da persone di genere femminile.
Non solo. Anche persone di genere maschile (pur non nascondendo i vantaggi per esempio economici e lavorativi che derivano dall’essere maschi in una società patriarcale) ne sono vittima, non potendo esprimere liberamente le proprie emozioni.
Per fare un esempio. Quanto può essere “strano”, se non impossibile per un maschio piangere? Quanto può essere difficile per un padre e un figlio abbracciarsi? Credo che queste cose stiano, fortunatamente, cambiando con le nuove generazioni, ma sicuramente chi occupa posizioni di potere oggi, anagraficamente, appartiene a una generazione ancora molto influenzata e immersa in questi stereotipi. Talmente immersa da non rendersene conto, come pesci che si chiedono «Cos’è l’acqua?».
Mi è capitato di leggere un post polemico che evidenziava come la maggioranza delle vittime di reati violenti fossero uomini: ma la violenza è quasi sempre agita da altri uomini.
Credo che la cultura patriarcale si trasmetta per via patrilineare. Fortunatamente le cose stanno cambiando in positivo e sempre più uomini si mettono in gioco con percorsi terapeutici o di gruppo, nascono sempre più Cerchi di Uomini in cui è possibile confrontarsi e aprirsi liberamente, senza pregiudizi, giudizio o vergogna. Non sono gruppi o percorsi mirati a problematiche particolari, semplicemente offrono un’opportunità di lavoro su di sé, accompagnano a diventare se stessi. Chi partecipa sta, direttamente o indirettamente, curando il maschile dell’umanità.
Nel suo ultimo libro, «Quando muori resta a me», Zerocalcare illustra bene l’ereditarietà patrilineare di un sottofondo di violenza e rancore, una trasmissione senza parole e implicita, come implicito e basato sul “fare insieme” può essere, in positivo, il comunicarsi affetto fra padri e figli.
Scott Baum, psicoterapeuta bioenergetico americano, in un articolo intitolato, con una certa profonda poeticità «I padri sono la materia nera dell’universo psichico», sottolinea come in psicologia ci si sia occupati meno del ruolo paterno che del ruolo materno nello sviluppo psichico e questo ha portato alla rimozione di una grande energia che resta nascosta (come l’energia oscura in astrofisica), ma che ha un grande impatto e, per la psiche maschile, a volte porta con sé un vissuto di umiliazione e vergogna che influenza pesantemente la propria libertà espressiva.
Se a questo si aggiunge la violenza, la costruzione di una figura paterna interiore diventa quasi impossibile (e a volte si proietta un padre negativo all’esterno: secondo me questa dinamica così diffusa ha contribuito non poco alla nascita di molte teorie del complotto e di rifiuto dell’autorità).
Come scrivevo qualche tempo fa (qui), sono fiducioso sul cambiamento che stanno portando avanti le nuove generazioni. Già da un po’ di tempo la figura del “padre padrone” non ha più nessuna utilità e, anzi, si rivela sempre più dannosa.
Possiamo cercare una figura migliore, attingendo al mito?
Questa deriva psicogeografica finisce in Sicilia, per la precisione nella periferia di Siracusa, nella riserva naturale del fiume Ciane. Ci sono stato lo scorso weekend, inseguendo il Mito e una mia ricerca musicale, forse eccessivamente romantica, di suoni acquatici. Nelle «Metamorfosi», Ovidio narra del rapimento di Proserpina da parte di Plutone. Una ninfa devota a Cerere, Ciane, prova a fermare il dio dell’Ade ma, data la disparità di forze, non ci riesce. Plutone apre quindi un abisso nella terra e ritorna nell’Ade con Proserpina. Ciane si dispera, scoppia a piangere e, letteralmente, si scioglie in lacrime dando origine alla fonte del fiume che ora porta il suo nome.
Anapo, il suo compagno, vedendola tramutarsi in acqua, altrettanto disperato, si fa trasformare a sua volta in un fiume le cui acque si fondono con quelle di Ciane, per gettarsi poi in mare dopo pochi metri.
Le due risposte del maschile: chi abusa e chi si fa liquido
In questa storia, una versione latina del mito di Kore/Persefone, è possibile vedere anche la contrapposizione fra due forme del maschile: da un lato quella violenta, patriarcale e abusante di Plutone. Dal nome latino “Pluto” deriva il termine plutocrazia; questo mette in evidenza un filo che collega violenza, patriarcato e capitalismo che è di drammatica attualità. Non dimentichiamo che Proserpina è figlia di Cerere, dea della natura e della fertilità: purtroppo sappiamo bene come alcune forme di potere abbiano da sempre abusato e violentato la natura e i suoi cicli.
Dall’altro lato abbiamo una forma diversa di maschile: Anapo non risponde alla violenza con altra violenza, ma con uno scarto laterale, un andare verso ciò che ama e non contro ciò che odia, non sente di dover affermare il proprio potere, ma resta in contatto col proprio desiderio, con il piacere.
Il farsi liquido di Anapo, inoltre, mi ricorda le teorie di Klaus Theweleit, psicanalista tedesco che, studiando diari e romanzi di soldati nazisti, vi rintracciò l’ideale di un mitologico “maschio-soldato”, rigido e sostenuto, contrapposto a un molle nemico, alla liquida “marea rossa” comunista. Il suo libro «Fantasie Virili» è stato tradotto solo parzialmente in italiano, ed è di difficile reperibilità, ma si trova un’applicazione delle sue teorie (e una postfazione dello stesso Theweleit) ne «Il secco e l’umido» di Jonathan Littell. Theweleit parla spesso di corpo e, da terapeuta bioenergetico, trovo molte assonanze fra la sua ricerca e l’analisi caratteriale teorizzata e applicata alla psicoterapia da Wilhelm Reich prima e in seguito da Alexander Lowen, secondo cui il carattere è espressione di un sistema corpo e mente. In quest’ottica, il “tenersi su”, la rigidità del “maschio-soldato” sarebbe una difesa, una rimozione dalle proprie emozioni, come la tristezza, emozione che può portare lacrime, acqua dunque, che Lowen definiva «pioggia nel deserto».
Il gesto di Anapo, il suo diventare acqua, mi ricorda proprio la resa, quel diventare finalmente se stessi abbandonando tensioni di corpo e mente che Lowen definì «Arrendersi al corpo»: la gioia.