L’edizione 2024 include anche un incontro sul tema del caporalato in vigna, con la partecipazione di giornalisti, sindacalisti e operatori del settore. Tra questi ci sarà Giancarlo Gariglio, giornalista e curatore della guida Slow Wine, nonché primo Segretario nazionale Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), che abbiamo intervistato in vista dell’incontro che si terrà oggi sabato 14 alle 17 presso il Bopo – via Concordia 6° - Ponteranica.
Lo sfruttamento e le condizioni di semi-schiavitù nei campi e nelle vigne hanno radici molto profonde nella storia. Basti pensare al celebre passo del Deuteronomio (24,14) , testo sacro della tradizione ebraica e cristiana, che già millenni fa denunciava tali forme di sfruttamento del lavoro agricolo: «Non defrauderai il bracciante povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno degli stranieri che stanno nel tuo paese, entro le tue porte; gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a questo va il suo desiderio; così egli non griderà contro di te all’Eterno e non ci sarà peccato in te». È un fenomeno che affonda le sue radici in dinamiche sociali e di potere risalenti a tempi remoti, ma che oggi si riproduce in forme nuove entro le coordinate dell’economia contemporanea.
Secondo le stime del Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil [https://www.fondazionerizzotto.it ] sono circa 200.000 i lavoratori agricoli irregolari, braccianti vittime di sfruttamento e caporalato, vale a dire il 30% dell’intera forza lavoro del comparto agricolo, un settore che vale 73,5 miliardi di euro.
È all’interno di questo scenario generale che si inserisce la forma specifica di caporalato diffuso nelle vigne piemontesi, e non solo, che Gariglio ha ampiamente indagato negli ultimi dieci anni.
«Nel 2015 - racconta Gariglio - alcuni produttori ci fecero notare che, pur occupandoci molto di vini di alta qualità, non prestavamo sufficiente attenzione a ciò che accadeva nel lavoro dei campi. Iniziammo quindi ad approfondire la questione e scoprimmo che, nonostante l’ottimo andamento del mercato vinicolo, esisteva un ampio sottobosco di lavoro sottopagato. Lavoro povero, grigio e spesso nero». Nacque così una importante inchiesta svolta da Gariglio e raccontata qui.
Il problema riguarda in particolare i piccoli produttori, le aziende familiari, che, nel settore vitivinicolo italiano, sono la maggioranza. Durante la stagione tra maggio e settembre solo pochi grandi produttori impiegano risorse umane interne, mentre i piccoli si affidano a cooperative, spesso fittizie, per reclutare manodopera stagionale. Queste cooperative fatturano ai produttori una tariffa oraria di 10-11 euro, ma in realtà i lavoratori reclutati ricevono un compenso effettivo compreso tra i 3 e i 5 euro l’ora.
Come spiega Cariglio: «Questa formula obiettivamente è quella che permette più ampi margini di manovra perché si tratta di un lavoro chiavi in mano, in cui l’azienda vinicola non mette becco, non è tenuta a controllare, non è responsabile di nulla, se non del lavoro finito, e quindi non si preoccupa più di tanto delle condizioni dei lavoratori impiegati. Per questi operai, ad esempio, l’orario prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e le 15, che determina numerosi casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento viene “gentilmente” rimpatriato e non più richiamato. Sul lavoro a cottimo anche la cooperativa ha margini di manovra molto ampi, perché si assume i rischi di impresa ma può spremere di più i suoi “soci”. Così facendo si abbattono ancora di più i salari: quando un operaio lavora in nero la cifra arriva a 3 euro (in Sicilia, sempre grazie a una telefonata, abbiamo scoperto che si arriva a 2,5 euro)».
Queste sono solo alcune delle tante problematiche che emergono nel momento in cui si prova a indagare il fenomeno del caporalato nelle vigne. Un altro aspetto critico da considerare è la questione abitativa per i lavoratori stagionali impiegati nel settore vitivinicolo. Spesso, questi lavoratori vengono alloggiati in sistemazioni precarie e inadeguate, prive di standard minimi di salubrità e sicurezza. Possono trovarsi ammassati in baracche fatiscenti, container o edifici abusivi, senza acqua corrente, servizi igienici o riscaldamento adeguato.
Il problema abitativo si è aggravato in alcune aree, come le Langhe, che soffrono da un lato lo spopolamento e dall’altro il fenomeno del cosiddetto overtourism, che ha fatto impennare i prezzi degli affitti. In questo contesto, senza un intervento delle istituzioni, è molto difficile trovare soluzioni abitative adeguate e a prezzi accessibili per i lavoratori stagionali.
Un altro fenomeno preoccupante che si è accentuato negli ultimi tempi, soprattutto a partire dalla pandemia, è il calo drastico della manodopera, in particolare di quella straniera. Gli immigrati sono sempre meno presenti e tendono a dirigersi verso Paesi, come Francia e Germania, dove vengono offerte condizioni, salariali e abitative, più vantaggiose. Questo sta creando gravi problemi per il settore vitivinicolo italiano, che si ritrova a dover far fronte a una carenza di lavoratori senza precedenti. Prima d’ora, l’Italia del vino non aveva mai dovuto affrontare una situazione del genere. La mancanza di manodopera spinge inevitabilmente i produttori a ricorrere ancor di più alle soluzioni semilegali sopra descritte per cercare di sopperire a questa grave carenza di personale. Si tratta di un fenomeno che sta mettendo a dura prova la capacità del comparto vitivinicolo di mantenere i propri standard qualitativi e di garantire la regolare conduzione delle attività.
Dal momento in cui Gariglio ha iniziato a scoperchiare il vaso, ha certamente incontrato l’interesse e la sensibilità di alcuni produttori virtuosi, ma anche tanta resistenza e omertà. «Alcuni produttori, pochi, sono i malafede - racconta - altri semplicemente preferiscono non farsi domande. Ho ricevuto anche delle telefonate ‘strane’, velatamente intimidatorie».
Anche dal lato del consumatore vi è scarsa sensibilità rispetto al tema del caporalato e dello sfruttamento nelle vigne. «Il consumatore “bio” - dice Gariglio - pare più interessato alla quantità di diserbante utilizzato che alle condizioni dei lavoratori».
Proprio per questo è importante che l’iniziativa di oggi — promossa non a caso da una realtà come Arci Maite Aps che ha sempre mostrato una attenzione particolare alle tematiche sociali e del lavoro — ponga l’attenzione su questo aspetto spesso trascurato. Il senso di queste fiere indipendenti dovrebbe essere proprio quello di andare oltre l’esperienza della mera degustazione del prodotto per comprendere la complessità — e la rilevanza sociale e politica — del processo produttivo che vi sta dietro.
«Vite in libertà» è organizzata da un gruppo di persone volontarie in collaborazione con Arci Maite Aps e Bopo, ripropone il suo format tradizionale: due giornate di fiera di vignaioli da tutta Italia dove incontrare i produttori, scoprire e degustare nuovi vini e socializzare. L’edizione 2024 presenta 29 aziende con 27 produttori di vino, 1 produttore di salumi e 1 produttore di ortaggi. I 27 produttori presenti offrono una vasta rappresentanza della produzione vitivinicola italiana: con 8 aziende dalla Lombardia, di cui 5 bergamasche, 3 dal Piemonte, 1 dal Veneto, 1 dal Friuli, 5 dall’Emilia Romagna, 3 dalla Toscana, 2 dalle Marche, 1 azienda della Basilicata, 1 della Calabria e 2 dalle Sardegna.
Novità fra le aziende bergamasche presenti che vedono arricchire le collaborazioni storiche de Le Driadi, Nove Lune e Azienda agricola Cattaneo con due new entry: Pietramatta di Cenate Sotto e Le Terrazze del Canto di Mapello. Non manca per la Lombardia una rappresentanza dalla Valtellina con Le Strie, dalla Franciacorta con Stella del Filare e da San Colombano al Lambro con Gemma Vino. Il Piemonte porta i vini dell’Alto Monferrato con il Rocco di Carpineto, delle Langhe con Giachino e del Monferrato con La Tommasina. Non manca la zona del Soave del Veneto con l’azienda Insolente e quella dei Colli Orientali del Friuli con Falcon. L’Emilia Romagna partecipa con 5 aziende Filarole, dei Colli Piacentini, Angol D’Amig, della zona del Lambrusco modenese, Delle Selve dal Riminese e la Romagna con due produttori: Longanesi e Pian di Stantino. Per la Toscana non mancano i vini dell’Azienda agricola Sant’Agnese, dalla zona di Piombino Val Cornia, di La Disfida e Fratelli Barile dal Grossetano e per le Marche Cà Sciampagne dei Colli Pesaresi e Badiali Giacomo dalla provincia di Ancona. Anche il Sud Italia presente con 4 aziende: Podere Lucano dalla Basilicata, Acino delle Terre di Cosenza dalla Calabria e dalla Sardegna Agreste Natura e Leo Conti, entrambe dal sassarese. Anche quest’anno ci saranno i salumi di Agripiccola di Telgate (Bg) e Olio, salsa e altri prodotti selezionati dell’Azienda agricola Castelrosino di Jesi (An).
L’incontro in programma sabato 14 dicembre alle ore 17.00, dal titolo «Caporalato in vigna. Il mondo del vino è sensibile al tema?» offre un confronto sul tema attraverso le voci di Francesca Pinaffo, giornalista e redattrice della Gazzetta di Alba, Federico Lotta, Operatore della FAI Cisl di Brescia, don Mario Merotta, Direttore della Caritas di Alba, Giancarlo Gariglio, giornalista e curatore della guida Slow Wine e primo Segretario nazionale Fivi. Moderatore e autore dell’incontro è Massimo Alberti, giornalista di Radio Popolare, che si occupa di temi legati al lavoro e alle disuguaglianze e alla giustizia sociale. È possibile partecipare all’iniziativa con il solo contributo di accesso alla fiera, prenotazione consigliata a questo link.
L’ingresso prevede il versamento di un contributo per la degustazione di 10 euro comprensivo di ingresso allo spazio e bicchiere per la degustazione, è possibile acquistare il biglietto in prevendita a questo link.