Due metri e settanta è l’altezza minima per avere l’abitabilità di una casa. Un metro e quattrocentotrentacinque è la larghezza di un binario (detto scartamento Stephenson). Sei metri e diciotto è il record di salto con l’asta di Armand Duplantis. E via dicendo. Ogni accadimento ha le sue misure e anche il COVID-19, come tutti sanno, ce l’ha: un metro.
Per stare sicuri di non beccare il virus, un metro. Un metro nel rapportarsi con gli altri (niente strette di mano, abbracci, baci: si chiama anaffettività da Coronavirus). Un metro quando ci si reca allo sportello. Un metro dal medico e dallo psicologo (facile, c’è la scrivania in mezzo). Un metro per tossire e starnutire (ma conosco persone che starnutiscono entro il metro e mezzo, recordmen). Un metro per i luoghi dove si svolgono gli eventi. Lo dice chiaro l’Art. 1/b del Decreto del 4 marzo:
“Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, sull’intero territorio nazionale: sono sospese le manifestazioni e gli eventi di qualsiasi natura, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Le disposizioni del presente decreto producono il loro effetto dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sono efficaci, salve diverse previsioni contenute nelle singole misure, fino al 3 aprile 2020”.
Ieri pomeriggio ho cercato di capire dall’AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (l’associazione di categoria che raduna le sigle dei lavoratori del settore) che cosa volesse dire un metro. Non mi hanno saputo rispondere: aspettavano delle indicazioni dalla Questura e dal Governo. Un metro in che senso? Di distanza effettiva, “interpersonale” come dice il Decreto? Di diametro (quindi un cerchio di sicurezza di raggio cinquanta centimetri)? A partire da quale punto del corpo? Il baricentro? O le braccia?
Possono sembrare domande di uno che vuole spaccare il capello in quattro, ma dietro a questa indicazione burocratica, che dice e non dice, una sorta di malcelato latinorum ai tempi del virus, c’è la possibile débâcle di una buona parte del settore dello spettacolo italiano. Che su quel metro si gioca il proprio futuro da qui al 3 aprile, giorno in cui (per ora) scadrà il blocco portato dal Decreto.
Qualche numero? Come racconta il Centro Studi di Doc Servizi, citando il rapporto Io sono cultura 2019 di Symbola e Unioncamere, il settore cultura, spettacolo e creatività nel 2018 “ha prodotto in Italia 95,8 miliardi di euro (6,1% del PIL). Si aggiunge un indotto di 169,6 miliardi di euro, arrivando a un totale di 265,4 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto dall’intera filiera, pari al 16,9% di PIL (+2,9% dal 2017)”.
Attori, registi, musicisti, ballerini, autori, scrittori ma anche designer (che ingrossano le cifre con il loro 13% sul conto totale), architetti, grafici, fotografi, organizzatori di eventi, comunicatori e videomaker: professioni di un comparto che in gran parte è ora immobile a causa di quel metro.
È interessante rileggere quel passaggio del Decreto, perché non dice “ok, ora vi fermate tutti” ma dice in prosa “ok, potete aprire, ma dovete rispettare la regola del metro” che per un cinema, un teatro, un club o una sala da concerti è quasi impossibile. Tenere un metro fra uno spettatore e l’altro significa obbligare ad occupare una poltroncina sì e una no, con una questione aperta sulla poltroncina di fronte e ovviamente sulla poltroncina dietro. In un’ipotetica sala da 300 posti significa occuparne solo 150, disporli a scacchiera e pregare che gli spettatori siano più forti della paura del virus che è nell’aria.
C’è qualcuno pronto a rischiare una proiezione o uno spettacolo così? Magari sì, qualche temerario lo troveremo, ma pensare di fare una programmazione cinematografica (che significa acquisto del film, stipendi dei lavoratori, riscaldamento etc.) a queste condizioni è come camminare su un filo fra due grattacieli con un forte vento – di cui nessuno fra quelli che dovevano avvisare l’ha fatto. E difatti alla mia casella di posta fioccano i comunicati di annullamento o spostamento a dopo il 3 aprile.
Uno studio di Unimpresa – ottenuto dai dati ISTAT – evidenzia come il Coronavirus può avere una ricaduta di 10,8 miliardi sul mondo dello spettacolo (musei, cinema, teatri). La stima è del 3 marzo e non tiene conto dell’ultimo provvedimento, ma già così spiega di cosa stiamo parlando: imprese in difficoltà, posti di lavoro messi in dubbio, un generale manrovescio ad un ambiente che già di suo fatica.
Tutto questo, come avrete capito se siete arrivati fino a qui, ha strettamente a che fare con il metro. Una misura che – al di là di ogni polemica, di cui forse ora non abbiamo bisogno – testimonia la distanza della politica da quello che è il settore cultura-spettacolo italiano. Era meglio un provvedimento preciso, duro ma (speriamo) necessario, piuttosto che un gioco da Azzeccagarbugli. Le associazioni di categoria in queste ore stanno facendo pressione per delle misure di sostegno ad un settore che non è meno colpito di altri. Il nuovo Decreto è stata una botta che ha generato scoramento, sfiducia e tanta preoccupazione mista a una grande voglia di ricominciare (basta parlare con gli addetti ai lavori per capirlo). Intanto che attendiamo un chiarimento della situazione, voi state attenti al metro, potrebbe costarvi molto caro.
Ps: in realtà la scienza dice che la distanza giusta per difendersi dal Coronavirus, cioè evitare le ormai famose “goccioline” è di 1,82 m. Come potete intuire, la situazione si complica, ma noi ci fermiamo qui.