Capita spesso, soprattutto in città, di restare bloccati nel traffico. Spesso questo suscita rabbia e frustrazione. Quando mi capita, mi dico: « Non sei nel traffico, sei tu il traffico » con il risultato altrettanto frustrante di peggiorare il mio stato emotivo. Il peggioramento umorale, oltre che da un dubbio senso dell’umorismo è dato dalla dissonanza fra ciò che sento affine alla mia natura, il muovermi lentamente, se possibile a piedi e la necessità di quel momento di andare più velocemente.
Sono sempre più convinto che una delle sfide di oggi sia proprio la lentezza, in un mondo in cui tutto accelera.
Proprio mentre pensavo a questo articolo, una mia cara amica, Roberta Medini, con cui ho condiviso centinaia di chilometri fatti a piedi, e che ora si occupa di cammino, ha pubblicato queste parole sul suo profilo Facebook: « Perché si fa così fatica a promuovere lentezza, cultura e il camminare? Perché il concetto di lentezza, a partire dal vocabolario, è espresso in accezione negativa (andate a leggervi qualche definizione di lentezza e di velocità). Perché la cultura è spesso veicolata come cosa noiosa. Perché il camminare è visto come una cosa faticosa perciò negativa. Luis Sepùlveda, autore, tra l’altro, del libro “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” (grazie Roby per avermi fatto scoprire questo libro!), attribuisce alla lentezza il valore di un gesto addirittura rivoluzionario.
“È una nuova forma di resistenza, in un mondo dove tutto è troppo veloce. E dove il potere più grande è quello di decidere di che cosa fare del proprio tempo”. Andare più lentamente ci consente di guardarci attorno, di vedere più cose, di capire noi stessi e gli altri. La cultura è un viaggio che può essere declinato in infiniti “luoghi” e modi, è un processo dinamico di scoperta, crescita e trasformazione; un viaggio che amplia gli orizzonti, sfidando pregiudizi e creando connessioni profonde con luoghi, persone e storie. Camminare = Fatica Anche qui serve un cambio di paradigma. Fatica deriva da “fatis” legato al verbo fatisco. Il significato è aprirsi, fendersi, screpolarsi. Quindi fatis significa “crepa”. Leonard Cohen nella canzone “Anthem” dice che “c’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce”. E la luce, ha detto Cohen commentando il suo brano, è la capacità di riconciliare la tua esperienza, il tuo dolore, con ogni giorno che albeggia. E quindi sì, camminare è fatica, perché fa entrare la luce. Come la lentezza. E la cultura».
Ho riportato per intero quanto ha scritto Roberta perché lo condivido in toto, anche in quanto abbiamo condiviso idee simili in lunghe e bellissime giornate di cammino.
Il tema del tempo è cruciale e è stato da sempre affrontato da filosofi, ma anche da fisici, che ne hanno messo in discussione addirittura l’esistenza (a riguardo consiglio il libro «Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos» di Guido Tonelli).
Abbiamo l’illusione che correndo, andando o vivendo più velocemente si viva di più, ma non è vero (già ne accennavo qui). In realtà la lentezza aumenta la densità del tempo, rende più ricco il nostro vivere. In maniera simile, Luciano de Crescenzo, in «32 dicembre» parla di “larghezza” del tempo. Accelerando, semplicemente, si arriva prima (ma la nostra destinazione finale la conosciamo e ci spaventa), non godendoci il panorama né il viaggio e la compagnia.
Restando strettamente al tema del viaggio, spesso mi capita di sentirmi spaesato quando uso un mezzo di trasporto veloce, cosa che non mi capita muovendomi lentamente, proprio perché vivo ogni passo, ogni metro del percorso. Occorre tempo, ma è tempo vissuto, tempo che facciamo nostro, tempo preso, non tempo perso .
Rallentare, in viaggio e nella vita facilita l’esperienza fondamentale del meravigliarsi e, dato che la ricerca della meraviglia è uno degli obiettivi con cui Roberta progetta i sui cammini, le ho chiesto che legame trovi fra lentezza e meraviglia. Mi ha risposto che « la meraviglia si nutre di lentezza e la lentezza si alimenta con la meraviglia. Viviamo in un mondo che spesso celebra la velocità e la produttività. Scegliere la lentezza è un atto di resistenza che crea una pausa fertile per la meraviglia, rompendo la monotonia e risvegliando il senso di stupore, soprattutto per le piccole cose o per i dettagli. Quando rallentiamo, diamo alla mente il tempo di vagare, di oziare anche, di esplorare e trovare connessioni inaspettate. La meraviglia si nutre di questa capacità di vedere il mondo con occhi nuovi». Vi consiglio di seguire Roberta, la trovate on the road, ovviamente, ma anche in rete, sul suo blog, che si intitola, naturalmente, incammino.org e sui social Facebook e Instagram.
Meraviglia e lentezza ben si sposano e sono un ottimo antidoto alla pericolosa deriva di un mondo che il consumismo sta portando, accelerando oltretutto, verso una fine spiacevole, fra riscaldamento globale e un’estinzione di massa di origine antropica.
Rallentate e meravigliatevi, dunque, allargate il vostro tempo, rendetelo più denso.
(E se proprio avete fretta, “sbrigatevi lentamente”, come dice il motto latino «festina lente»).