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#psicogeografie: Panico, Pan e Natura: l’antenato in noi quando la fuga è impossibile

Articolo. Chi ha un attacco di panico prova sensazioni indistinguibili da un infarto. In esso vediamo in maniera drammaticamente lampante il legame indissolubile fra corpo e psiche. Lo stress che proviamo oggi è molto diverso da quello dei nostri antenati (per cui cercare cibo o non diventarlo era stressante): la reazione però è la stessa, cioè attaccare o fuggire. Cosa che in società non possiamo permetterci. E allora ecco che arriva l’ansia. Tuttavia il bosco ci può aiutare, ecco come

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(illustrazione Master1305)

Vagando a piedi per Bergamo, specialmente nella zona collinare, è facile che i muri che di solito limitano il nostro orizzonte lascino piacevolmente il posto a alberi o vasti panorami. Capita che strade urbane si trasformino in strette vie di ciottolato e che viuzze diventino sentieri e in pochi passi ci si trovi in paesaggi che di urbano non hanno nulla, con ampie visioni sulla pianura o in mezzo a un bosco. Alcune delle mie stradine preferite sono via alle Case Moroni, o via Monte Bastia, o ancora via del Roccolino, che da Valverde in poche curve si trasforma in un sentiero che porta, attraversando un boschetto, poco fuori Città Alta, non distante da Colle Aperto.

A volte sento il bisogno di entrare in un bosco, e questi sentieri vicini offrono una soluzione a portata di piedi, ed è in uno di questi boschi che parte il viaggio di oggi. Una volta circondati da alberi possiamo provare a rallentare il passo e a provare a portare l’attenzione ai nostri sensi. Soprattutto a andare oltre la vista e provare a esplorare gli altri, spesso sottovalutati. Cominciamo dall’udito: restiamo in ascolto di fruscii, canti di uccelli, ronzii. Poi l’olfatto: terra, foglie secche, fiori. L’aria ha un profumo e a volte anche un sapore. Riusciamo a sentirlo? E come sentiamo l’aria sulla nostra pelle? Calda, fresca, umida. Sentiamo poi noi stessi, passiamo alla propriocezione. Come stiamo respirando, cosa sentiamo dentro?

È possibile che questa esplorazione ci porti a sentire un contatto profondo con la natura che ci circonda, se riusciamo a concedercelo, quasi una fusione. E questa fusione può anche spaventare, se sentiamo di perdere i nostri confini. Si tratta di un sentimento panico di profondo contatto con la Natura che ci circonda. Come se Pan, dio della natura selvaggia e delle greggi, si divertisse a spaventarci.

Rientrando nel contesto urbano, però, il panico assume tinte decisamente meno bucoliche: blocca, congela e provoca un senso di smarrimento estremamente invasivo. Chi ha un attacco di panico prova sensazioni indistinguibili da un infarto e può esser poi portato a evitare con ogni sforzo qualsiasi situazione possa causarli. Nell’attacco di panico probabilmente vediamo in maniera drammaticamente lampante il legame indissolubile fra corpo e psiche, in cui si influenzano vicendevolmente e, almeno apparentemente, ci paralizzano in una situazione paradossale. Cosa genera questo corto circuito psico-corporeo?

Torniamo indietro, non nel bosco per ora, ma questa volta nel tempo: il nostro corpo è lo stesso dei nostri antenati preistorici. Mentre da un punto di vista tecnologico siamo andati molto oltre, da un punto (psico)fisico ci siamo evoluti poco o nulla. Le fonti di stress, all’epoca, erano legate strettamente al cibo: procurarselo o non diventarlo (per altri animali). Il nostro corpo, di fronte a una fonte di stress, mette in atto una risposta istintiva e naturale chiamata di «attacco o fuga» e produce sostanze e ormoni, come l’adrenalina, che in sintesi ci rendono più performanti per attaccare, difenderci o fuggire.

Ma oggi, specialmente nella vita di tutti i giorni, le fonti di stress sono altre: un computer che non funziona, la burocrazia incomprensibile, una relazione che non va come vorremmo, questioni lavorative e rapporti difficili, una coda all’ufficio postale, l’essere bloccati nel traffico prima di un appuntamento importante, e vari esempi che tutti abbiamo ben presenti. Sono situazioni in cui non è possibile (o è inadeguato) reagire attaccando e da cui non è possibile fuggire. Quindi il nostro corpo e la nostra psiche si preparano a correre o a combattere, mentre noi restiamo fermi con la fonte di stress continuamente presente che fa il suo sporco lavoro. Questo può generare un accumulo di quelle sostanze e portare problematiche legate all’ansia.

Chiaramente gli attacchi di panico e i disturbi di ansia non si limitano a questa ridotta spiegazione fisiologica, spesso ci sono contenuti e variabili personali che vanno nel profondo della psiche di ognuno e a cui ognuno può cercare di dare un senso. Basti qui sentire che può esserci un’origine universale e che ci parla della nostra storia filogenetica . Questo può essere utile per riconoscere quella che chiamiamo «ansia» per quello che (a volte) è: una spontanea attivazione, levandole così quel manto di giudizio che una definizione può dare.

Utilizzare un termine come «ansia», che spesso ha un’accezione medica, se non addirittura psichiatrica, rischia di patologizzare una reazione naturale a una vita e a dei ritmi tutt’altro che naturali. Ne «Il Narcisismo», Alexander Lowen (il padre dell’analisi bioenergetica, psicoterapia che amplia l’analisi di Freud introducendo il corpo) dice che il nostro corpo è fatto per provare piacere, non per essere efficiente.

E questo ci riporta nel bosco, dove possiamo permetterci di rallentare e di non fuggire, e dove possiamo tornare a incontrare Pan e guardarlo con uno sguardo diverso. Nella favola di Amore e Psiche, a un certo punto Amore sparisce e Psiche, innamorata e sofferente, vaga impazzita arrivando addirittura a tentare di annegarsi. Nel bosco, verrà consolata proprio da Pan, antico dio della natura. Tornare alla natura ci può insegnare ritmi lenti e più umani e anche a valorizzare un’attività corporea che può aiutarci a liberarci dallo stress accumulato, grazie al movimento.

Non a caso, prendendo l’esempio dell’essere bloccati nel traffico, se siamo in macchina sentiamo ansia e stress aumentare (qualcuno suona inutilmente il clacson come sfogo della reazione di attacco); se siamo in ritardo ma siamo a piedi o in bicicletta, acceleriamo: possiamo farlo. Così facendo, da un lato scarichiamo adrenalina “obbedendo” al nostro istinto che ci dice di aumentare la velocità, dall’altro non ci sentiamo in trappola o impotenti, ma magari semplicemente ritardatari cronici, ce ne assumiamo la responsabilità e ci mettiamo a correre.

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