Si può viaggiare restando fermi? Tralasciando l’uso di sostanze psichedeliche, questa deriva psicogeografica parte da un “non luogo”, da uno schermo.
Un ragazzo, che chiameremo A, mi ha inviato un link a un video che l’ha colpito positivamente. Un video in cui “un vecchio” spiega perché i giovani bevono così tanto. Il “vecchio” è Umberto Galimberti, noto filosofo e analista junghiano e in questo frammento di una lezione dice che i giovani bevono alcol, e tanto, per anestetizzarsi dall’angoscia che hanno per un futuro che sentono minaccioso. Per questo vivono in un presente costante, assoluto, senza preoccupazioni per eventuali conseguenze di ciò che fanno.
Questi ultimi anni, resi difficili dalla situazione pandemica, sono stati una enorme goccia in un vaso reso già colmo dalle svariate crisi economiche, sociali e ambientali in corso da anni (o decenni): una persona nata nel 2005, per esempio, ha visto una crisi economica globale, una pandemia e una guerra in Europa prima di poter fare la patente, e chi è poco più grande è nato nell’eco del crollo delle Torri gemelle e della “macelleria” del G8 di Genova. In tutto questo, è sempre presente l’assurda schizofrenia che pone da un lato una oggettiva minaccia globale di estinzione di massa e dall’altro un mondo politico adulto (“vecchio”) che non se ne cura abbastanza.
È in questo scenario che la compressione data dalle limitazioni legate alla pandemia ha agito. Possiamo pensare alla psiche in adolescenza come a una molla in attesa di espandersi. Una molla, se compressa eccessivamente e a lungo può reagire in due modi: o con una espansione esagerata, o perdendo la sua elasticità. Ci troviamo di fronte a un dualismo, che possiamo vedere in due macrotendenze, verso l’esplosione o verso l’implosione. Una strada è quella degli abusi di sostanze, del bisogno di esplorare (di errare!) le possibilità e le proprie libertà, di esagerare e esasperare queste ricerche; l’altra è l’implosione verso il ritiro, che può essere legata alla paura generata dal tono apocalittico di un certo modo di dare le notizie riguardanti, per esempio in questi ultimi anni, la pandemia o la guerra in Ucraina, e che può pro-durre fenomeni come il doomscrolling o quello degli hikikomori , che si rifugiano nelle proprie stanze, comunicando solo con il computer.
Tornando ad A, ciò che gli è piaciuto del discorso di Galimberti è che non si è sentito giudicato, accusato di “fare casino”, ma compreso. Basta leggere i commenti a quel video, come ad altri in cui Galimberti tocca la questione dei giovani, e molti commenti di persone intorno ai 20 anni, vanno in questa direzione. Umber-to Galimberti ha dedicato una particolare attenzione al nichilismo nei giovani in particolare in un libro del 2007, «L’ospite inquietante» in cui l’ospite, inatteso e per questo inquietante, è proprio il nichilismo.Questa è la prima delle lettere a cui il titolo, con un banale gioco di parole, fa riferimento, una S che leviamo a compresso per ottenere compreso .
Spesso i giovani non sono compresi. Non lo sono nel senso di «capiti», ma non lo sono neanche nel senso di «inclusi», basti vedere le recenti elezioni: da un lato le preoccupazioni della fascia di età più giovane non erano presenti nei programmi politici, se non a sproposito, presentate da una parte politica come «devianze», dall’altro (ovviamente e purtroppo) c’è stato un elevato astensionismo. Di certo non si può fare di tutta l’erba un fascio, esistono anche movimenti importantissimi, alimentati soprattutto da giovani e giovanissimi, come Friday For Future o Extintion Rebellion, che prefigurano un cambiamento che può spaventare chi, più anziano, non lo reggerebbe e quindi fa resistenza a questo cambiamento.
Qualche anno fa, in un corso legato alle politiche sulle sostanze stupefacenti, Claudio Cipitelli, sociologo romano, ci mostrò la foto di una panchina divelta per esser posizionata di fronte a un’altra. Chi ha sbagliato? ci chiese, Chi ha spostato la panchina o chi ha progettato il parco non vedendo il bisogno di sedersi di fronte agli altri?
In quella panchina spostata era evidente un desiderio di relazione. E questa è la seconda delle due lette-re: la L, che trasforma una reazione in relazione . Ed è proprio grazie alla relazione che si possono com-prendere comportamenti che sembrano incomprensibili, esagerati ed estremi. Da un lato la relazione, un entrare in contatto; dall’altro una reazione che può essere di scandalo, di punizione, di condanna, di pau-ra, ma anche semplicemente di preoccupazione ma che non entra in contatto, non si relaziona.
Nella prospettiva junghiana, in particolare nella visione di Marie-Louis von Franz, geniale allieva di Jung, la coscienza di una cultura si struttura insieme (sincronicamente) ai miti della creazione di quella cultura. Il nostro mito fondante è sostanzialmente dualista, basato su due polarità. In principio Dio crea separando: Luce e Tenebra, Acque e Terra, Bene e Male. Questa tendenza alla polarizzazione permea tutta la nostra cultura, arrivando, come abbiamo visto, fino alle reazioni estreme (tanto frequenti nella più estremista delle età, l’adolescenza) a eventi estremi: esplosione e implosione, estroversione e introversione, esplora-zione o sperimentazione e ritiro. Come la corrente di un fiume che, di fronte a una roccia, non può che di-vidersi in due rami.
Come mostra il documentario «The Social Dilemma», questa tendenza è accentuata dagli algoritmi dei social network, che favoriscono la polarizzazione verso i due estremi. E non è un caso se questo viaggio “stanziale”, si è svolto di fronte a uno schermo, un apparecchio elettronico che, in fondo, funziona grazie a una serie complessissima di dualismi, una serie di 0 e di 1.