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#psicogeografie: come imparare ad amare la pioggia?

Articolo. Possiamo provare ad andare oltre la meteoropatia, non prendendo sul personale una giornata di pioggia e provando ad accogliere tutte le emozioni che ci capita di sentire

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Nelle scorse settimane, qui a Bergamo, ha piovuto molto. Giorni di pioggia intensa sono arrivati dopo alcune settimane di un anticipo di primavera che sarebbe stato un dono, se non fosse sintomo del cambiamento climatico. Come lo sono anche le precipitazioni anomale sempre più frequenti, che a volte diventano alluvioni e devastano territori (spesso anche a causa dei profondi e poco lungimiranti interventi umani sul territorio). L’umore di molte persone è influenzato dal tempo atmosferico, ovvero cambia e rispecchia (o è rispecchiato) dalle condizioni meteorologiche. Così sembra naturale che la pioggia, o le giornate uggiose, siano accompagnate da tristezza e malinconia, poca voglia di fare.

Da ciclista (per lo più urbano), comprendo il fastidio di arrivare a destinazione zuppi di pioggia o, peggio, di acqua schizzata da pozzanghere, anche se respirare l’aria inquinata è stato decisamente peggio. Il viaggio a piedi, invece, mi ha insegnato ad accettare quello che viene, tanto non lo si può evitare e, spesso, ad arrivare a ringraziare per la pioggia, non solo in torride giornate estive.

Come la pioggia è necessaria per l’ambiente – negli scorsi anni abbiamo subito una gravissima siccità –sentimenti e stati emotivi come tristezza, malinconia, uggia, sono profondamente necessari alla nostra vita psichica e per questo è bene riuscire ad accettarli e accoglierli e non a giudicarli o, peggio, patologizzarli mettendoci un’etichetta diagnostica.

Alexander Lowen, il fondatore dell’analisi bioenergetica (una psicoterapia a mediazione corporea) ne « La depressione e il corpo » evidenzia con una metafora molto efficace la differenza fra tristezza e depressione: un violino ben accordato può produrre sia melodie allegre che tristi, eppure sempre bellissime (e la storia della musica è ricca di esempi di capolavori tristi e pure funebri che lasciano senza fiato). Se le corde si allentano troppo, però, diventando flosce, il violino non riesce più a produrre nessun suono. Questa situazione, che rende bene l’idea del bassissimo livello energetico degli stati depressivi, è diversa dalla tristezza.

Come imparare ad amare la pioggia, dunque?

Qualche anno fa, durante un viaggio in Giordania, mi è capitato di attraversare in auto il deserto. Mi guardavo intorno e il paesaggio non mi colpiva, mi mancavano le nostre montagne e i boschi a cui sono affezionato fin da bambino. Tutto questo era perfettamente in linea con le mie aspettative. Qualche giorno dopo, però, mi sono fermato nel deserto per un paio di giorni e ho avuto modo di visitarlo davvero, di viverci dentro, sebbene da turista. E mi ha colpito in un modo che non saprei spiegare, come un’esperienza totalizzante di qualcosa più antico e vasto di me. La bellezza del Wadi Rum è qualcosa da cui è impossibile non farsi sopraffare. Una parte di umanità ha attraversato i deserti (e una parte continua a attraversarli anche ai nostri giorni, rischiando la vita per cercarsi un futuro possibile) per popolare il pianeta, e questa esperienza è scritta da qualche parte in ognuno di noi, nel nostro DNA o nell’inconscio collettivo.

Tuttavia il deserto riporta la mente anche al fenomeno della desertificazione, per cui zone un tempo fertili sono diventate e continuano a divenire sempre più sterili e, appunto, desertiche. Questo è il rischio che corriamo nel trattenere o evitare alcune emozioni: noi possiamo solo chiudere il “rubinetto generale” del nostro vivere emotivo, bloccando all’origine il nostro sentire, trattenendo tutte le emozioni alla fonte . Non possiamo scegliere cosa far passare e cosa trattenere. Il risultato può essere quindi un inaridimento e una conseguente sterilità della nostra vita a livello psichico ed emotivo innanzitutto. Mentre invece, spesso, le lacrime sono come pioggia nel deserto, possono portare vita, fertilizzano ciò che è sterile.

Quando abbiamo uno sguardo limitato sulla nostra vita, un momento cupo ci appare eterno e immutabile, privo di senso e vie d’uscita. Se allarghiamo lo sguardo, comprendiamo che le lacrime sono necessarie, come la gioia e come tutte le altre emozioni. La vita cerca la completezza, non la perfezione, scriveva Carl Gustav Jung in « Psicologia e Alchimia ». Probabilmente questo momento ci è necessario per motivi che ora non vediamo, e che acquisteranno senso in futuro. Sicuramente hanno un senso per la nostra esperienza personale e umana.

Non è facile avere uno sguardo ampio sul tutto, forse a volte è impossibile. Ma se proviamo a guardarci intorno, la prossima volta che vedremo il cielo che si rannuvola e diventa scuro, possiamo dirci: «Non sta piovendo per me, sta piovendo per tutto».

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