Immaginiamo partecipare ad una escape room , ovvero un gioco di logica dal vivo in cui, enigma dopo enigma, dobbiamo arrivare alla soluzione finale per riuscire ad uscire dalla stanza e quindi a “vincere” la partita. Leggendo delle carte sparpagliate su un tavolo capiamo di dover aprire ad una determinata pagina un libro verde e, al suo interno, troviamo un’informazione utile per risolvere il rompicapo a cui sta lavorando un altro giocatore. «L’ampolla giusta è quella con la stella disegnata sull’etichetta» esclamiamo a gran voce. L’ampolla è ben riconoscibile a colpo d’occhio, basta salire pochi gradini di una scala a pioli per raggiungerla. Sembra un racconto di una partita come tante, tranne per un piccolo particolare: nessuno degli enigmi proposti è pensato per essere risolto da una persona con disabilità. Una persona non vedente non potrà mai leggere dei fogli o riconoscere un simbolo a forma di stella, esattamente come un giocatore con problematiche legate all’udito non potrà mai sentire il commento fatto a voce sull’ampolla o un giocatore con problemi di deambulazione non potrà mai salire una scala a pioli.
Il progetto e una partita accessibile
Quelle descritte sono tutte problematiche legate all’accessibilità, una parola che indica la possibilità per un oggetto, un servizio o uno spazio di essere fruibile anche alle persone con disabilità di varia natura. Proprio l’accessibilità è diventata la colonna su cui Greta Carrara, trentatreenne appassionata del gioco in ogni sua forma e non vedente dalla nascita, ha creato il progetto «Giochiamoci!», una realtà di recentissima formazione dedicata alla promozione del gioco accessibile indipendentemente da disabilità o neurodivergenze oltre che alla creazione di giochi ed escape room accessibili. Va specificata una cosa: le partite di «Giochiamoci!» sono create per promuovere il gioco e la socialità senza barriere tra persone con o senza disabilità, per cui sono aperte a tutti. Per testare questa cosa, ho partecipato in prima persona ad una sessione di prova di una escape room. Non ne rivelerò ovviamente i dettagli, poiché il bello di risolvere un enigma è quello di partire non sapendo cosa si ha di fronte, ma credo che parlare delle dinamiche sia fondamentale per capire quali siano i processi alla base della creazione di un gioco accessibile. Innanzitutto, l’intera avventura si è basata sugli oggetti presenti sopra un singolo tavolo, utile per non creare disagio né alle persone con problemi motori, né a quelle con problematiche visive.
Sul tavolo erano presenti delle lettere legate ad un alchimista che aveva un ruolo chiave nella vicenda e, per rendere accessibili a tutti, è stato appositamente creato un gruppo whatsapp in cui sono stati caricati i file di queste lettere in modo da poter essere anche ascoltati. L’esperienza si basava su delle ampolle con degli ingredienti utili a creare una pozione e le etichette erano scritte sia in braille sia in caratteri latini. In tutto questo sin dai primi momenti di gioco è stata stabilita una regola comune «Non abbiate paura di chiedere aiuto». Attorno al tavolo infatti sono sempre stati presenti almeno due volontari in grado di aiutare nella fruizione del gioco in quei – rarissimi - frangenti in cui le caratteristiche di un enigma non erano perfettamente allineate alla tipologia di giocatori. Greta Carrara insieme ai collaboratori Raffaele Pedroni, Matteo Morreale, Nicolò Botta, Valentina Moro, Sara Magaiez ed Eleonora Surini hanno creato un’esperienza unica, per me totalmente nuova ma non per questo meno stimolante o avvincente rispetto all’approccio ludico “tradizionale”.
Per capire meglio le dinamiche legate al mondo del gioco accessibile e, soprattutto, comprendere appieno quanto sia importante l’esistenza di realtà ludiche accessibili, ho intervistato Greta Carrara, fondatrice di «Giochiamoci!»
GT: Chi è Greta Carrara?
GC: Di lavoro sono una creativa pubblicitaria, anche se non mi piace scrivere. Preferisco inventare giochi! Ho molti hobby, mi piace la musica metal, il fantasy, la fisica, gli sport estremi ma, soprattutto, mi piace far divertire le persone.
GT: E da qui nasce «Giochiamoci!»?
GC: Sì. «Giochiamoci!» è un collettivo che ora sta diventando un’associazione. Il nostro obiettivo è favorire la socializzazione tra persone con e senza disabilità attraverso il gioco. Non un gioco terapeutico, educativo o riabilitativo, ma gioco e basta. Perché è importante. In Italia spesso è visto solo come una cosa da bambini o come uno strumento per “recuperare” qualcosa. Invece il gioco è uno spazio sicuro, in cui stare bene, conoscersi, rilassarsi.
GT: Qual è stato il tuo rapporto personale con il gioco?
GC: Da piccola, alle elementari, ho avuto un’esperienza bellissima. Avevo le carte di Uno in braille, giocavamo tutti insieme. Lo sport? Nessun problema: si trovava sempre un modo. Ma poi, alle medie e al liceo, tutto si è irrigidito. Il gioco diventava sempre più esclusivo. Non riuscivo più ad adattarmi. Non c’erano strumenti, e spesso nemmeno voglia.
GT: Hai trovato un modo per riavvicinarti a questo mondo?
GC: Sì, tramite i videogiochi. Stavo in compagnia del mio patrigno mentre giocava a fifa a FIFA - un videogioco di calcio -, e lui mi raccontava le partite come se fosse una telecronaca. Poi ho scoperto gli audiogames, videogiochi pensati solo con l’audio, per chi non vede. Ma erano giochi separati dal mercato videoludico tradizionale, un mondo tutto a parte. Io volevo condividere l’esperienza, giocare con gli altri. Non volevo un gioco “per ciechi”, volevo solo giocare.
GT: Quando hai capito che era davvero possibile?
GC: Quando ho conosciuto le prime persone che mi hanno detto «Ok, giochiamo insieme». Abbiamo cominciato ad adattare giochi da tavolo e videogame. Finalmente qualcuno ci credeva quanto me. Poi ho scoperto «Dungeons & Dragons», ed è stato come una rivelazione: era un modo per essere vista come giocatrice, non come disabile. All’inizio giocavo online, poi in presenza. Lì ho capito che dovevo fare qualcosa anche per gli altri.
GT: E così hai fondato «Giochiamoci!». Come è iniziato tutto?
GC: Mi sono detta: «Voglio fare qualcosa per la mia categoria». Non sono portata per la politica, né per l’informatica o l’urbanistica. Ma nel gioco, sì. Ho preso la rabbia e l’ho trasformata in un’idea. Ho coinvolto le mie amicizie più strette e siamo partiti. Da lì non ci siamo più fermati.
GT: Che cosa fa concretamente «Giochiamoci!»?
GC: Organizziamo laboratori, eventi e incontri in tutta Italia, per promuovere il gioco accessibile. Coinvolgiamo persone con disabilità diverse e cerchiamo modi per farle giocare con chi non ha disabilità. L’obiettivo è che tutti vivano la stessa esperienza, anche se con strumenti diversi. Abbiamo già fatto tappe a Bergamo, Bologna, Pavia, Belgioioso… e stiamo andando a Lucca Comics & Games!
GT: Come si progetta un gioco accessibile?
GC: Serve modularità. Non un solo formato valido per tutti, ma tante versioni dello stesso gioco, pensate per bisogni diversi. Se ad esempio un enigma si basa sul tatto e il giocatore è impossibilitato ad usare quel tipo di sensorialità, lo traduciamo in un testo o in audio. Cambiano gli strumenti, ma non l’esperienza. Facciamo Escape Room, giochi di ruolo, board game, sempre con un occhio all’accessibilità.
GT: C’è un messaggio forte in tutto questo.
GC: Sì: tutti possiamo giocare, se qualcuno ci fa spazio. Non vogliamo che le persone “provino la disabilità” bendandosi per un’ora. Vogliamo far capire che basta cambiare l’interfaccia. Anche solo mettere l’audio in un gioco può fare una differenza enorme.
GT: E a chi dice «ma è troppo complicato»?
GC: Rispondo: iniziate dalle basi. Chiedetevi: «Chi sto escludendo con questa scelta?». Non si può fare tutto, ma qualcosa si può sempre fare. E se non sapete da dove iniziare, parlate con noi.
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