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Natale senza famiglia: l’impegno di Lawrence House per i giovani migranti a Città del Capo

Articolo. Lawrence House, a Città del Capo, accoglie giovani migranti in difficoltà. A Natale, per chi resta, il centro organizza attività, regali e momenti di condivisione per attenuare la solitudine e creare un senso di famiglia. I volontari si impegnano a rendere le festività serene e accoglienti.

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Trascorrere le vacanze di Natale lontano da casa e dalla mia famiglia, per me, è sempre stato un tabù. Così, quando mi sono trovato a dover decidere la data del mio rientro in Italia, dopo aver trascorso sei mesi in Sudafrica, non ho avuto dubbi: doveva essere prima del 25 dicembre. Anzi, prima del 24 dicembre, perché il cenone con i parenti non me lo avrebbe tolto nessuno. Durante la mia permanenza a Città del Capo, però, ho capito che la possibilità di celebrare il Natale, di festeggiarlo in famiglia, è un privilegio che non tutti possiedono.

Nel periodo che ho trascorso in Sudafrica sono entrato a contatto con la Lawrence House di Città del Capo, dove un gruppo di volontari - in parte sudafricani, in parte provenienti da tutto il mondo - si prende cura di una trentina di ragazzi con un background migrante e che proviene da contesti di forte disagio economico, sociale e famigliare. Lawrence House non è un orfanotrofio, sia ben chiaro: alcuni dei suoi giovani ospiti sono orfani e una manciata sono unaccompanied minors (minori entrati in Sudafrica senza l’accompagnamento di un adulto), ma molti altri hanno una famiglia, dei genitori e dei fratelli, sanno benissimo dove vivono e trascorrono qualche giorno insieme a loro, di tanto in tanto. Con il Natale che si faceva sempre più vicino, ho iniziato ad arrovellarmi su una domanda: c ome si festeggia il Natale in un contesto come quello di Lawrence House?

Un centro che sfida la definizione di “orfanotrofio”

Per rispondere al mio interrogativo ho intervistato Romina Meneghetti, Facility Manager di Lawrence House, che mi ha spiegato che «nel nostro centro vivono stabilmente 26 ragazzi e ragazze. Alcuni tornano a casa o trascorrono le feste insieme alle loro famiglie ospitanti, mentre c’è un altro gruppetto, più o meno composto da 13-15 ragazzi, che resta con noi per tutte le festività». Come dicevo, Lawrence House non è un orfanotrofio, ma un istituto che accoglie migranti e figli di migranti che si trovano in situazioni di difficoltà economica e sociale. È la gravità delle condizioni dei contesti famigliari a dettare se potranno rientrare a casa per Natale. «Spesso, le famiglie dei nostri ragazzi attraversano problemi economici gravi, per esempio non hanno denaro per pagare le tasse scolastiche o a garantire tre pasti al giorno, non riescono a provvedere la cosiddetta “stationery”, cioè i beni di base per recarsi a scuola, oppure non possono garantire un alloggio stabile e sicuro. Chi ha dei genitori che si trovano in queste condizioni di solito torna a casa per Natale, almeno per qualche giorno», riporta Meneghetti, che però opera un importante distinguo: «Ci sono anche dei casi di famiglie in cui avvengono abusi sessuali o in cui i genitori rifiutano i figli per qualche motivo, e in quel caso le condizioni per il rientro semplicemente non ci sono. Lo stesso, ovviamente, vale anche per chi è da solo, per i minori non accompagnati o per coloro che non hanno più una mamma o un papà».

Se c’è una cosa che ho appreso nei sei mesi che ho trascorso in un centro studi sulle migrazioni a Città del Capo è che nessuna storia migrante è come le altre. Questa regola vale soprattutto per i bambini e gli adolescenti di Lawrence House: ogni caso va analizzato indipendentemente dagli altri, perché le situazioni famigliari sono diversissime tra loro e non possono essere approcciate tutte allo stesso modo. «Una ragazza che ospitiamo ha due sorelle poco più grandi di lei, che non vivono con noi e che si reggono in piedi da sole. Non possono prendersi cura della sorella più piccola a tempo pieno e non possono permettersi di pagarle la scuola, perciò lei resta con noi. Però per Natale riescono a seguirla, quindi va a stare per un po’ da loro. Poi ci sono due famiglie che ospitano dei ragazzi per periodi di tempo più o meno lunghi: in un caso, si tratta di un percorso che forse porterà all’adozione del ragazzo da parte dei genitori-ospiti, nell’altro si tratta di una coppia generosa che ha deciso di prendere con sé uno dei nostri residenti per la settimana di Natale e per altri momenti sparsi durante l’anno», riporta la Facility Manager di Lawrence House, sottolineando come tutti i programmi portati avanti nella struttura ruotino attorno ai suoi giovani ospiti e, in fin dei conti, all’imperativo di garantire loro il maggior benessere e affetto possibili, creando attorno a loro un ambiente sicuro e accogliente, in cui possano crescere relativamente indisturbati.

Il Natale a Lawrence House

Dunque, i residenti di Lawrence House si dimezzano durante le festività, e per chi resta il rischio è che il Natale non sia affatto un momento di gioia. Romina, infatti, mi ha spiegato che «sicuramente, chi resta al nostro centro prova un certo senso di solitudine, specie nei primi giorni all’inizio delle vacanze invernali, quando la scuola finisce, smettono di vedere gli amici e anche gli altri ragazzi del centro vanno via. La casa si calma, l’atmosfera cambia: lo sentiamo anche noi educatori. Per provare ad alleggerire il periodo, cerchiamo di allentare le regole: per esempio, durante il periodo scolastico i ragazzi si svegliano molto presto, mentre in vacanza possono dormire qualche ora di più. Quando si svegliano, gli educatori sono sempre pronti con delle attività da fare insieme, dalla colazione fino alla sera. Si cerca di stare più spesso negli spazi comuni: se durante la scuola i ragazzi possono semplicemente mettersi a guardare la televisione per un pomeriggio, nella settimana di Natale la nostra presenza è più massiccia. Cerchiamo di far capire che c’è qualcuno che si sta prendendo cura di loro, anche se quel “qualcuno” non sono i loro genitori». Questa solitudine, dicono da Lawrence House, è un sentimento che riaffiora periodicamente durante l’anno, specie nei momenti di vacanza tra un semestre scolastico e l’altro. A Natale, però, la concomitanza con la festività famigliare per eccellenza rischia di trasformarsi in un momento duro da digerire. «Per far passare le vacanze nel modo migliore possibile, ci avvaliamo dell’aiuto delle organizzazioni e di alcuni gruppi locali: tanti ci portano dei regali per tutti i nostri ragazzi, e questo scambio ci aiuta a creare un’atmosfera di condivisione, a ricordare loro che c’è un mondo che è pronto a dare attenzione e cura».

Così, per i ragazzi di Lawrence House - anche per quelli lontani dai genitori o che una mamma e un papà non li hanno più - il Natale scorre in una normalità dolceamara, in cui la nostalgia e il senso di abbandono tendono a riaffiorare ma vengono messi da parte con l’impegno dei volontari e degli operatori. Le ritualità delle feste sono importantissime: «Una delle cose che ci piace fare è lo scambio dei regali. Lo facciamo qualche giorno prima di Natale, perché vogliamo che tutti i ragazzi, anche quelli che tornano a casa, ricevano qualcosa. Normalmente, grazie all’appoggio delle compagnie locali e delle altre organizzazioni, riusciamo sempre a dare due o tre regali a ciascuno dei nostri ospiti, senza escludere nessuno», riporta la Facility Manager del centro di Cape Town. Particolare attenzione, ovviamente, viene riposta in chi resta a Lawrence House: «Questa settimana, per esempio, abbiamo costruito insieme una casetta di pan di zenzero e abbiamo fatto una grande caccia al tesoro all’esterno. Siamo fortunati perché il tempo qui è mite e Natale cade in estate: abbiamo portato i ragazzi in spiaggia, in un parco naturale e in piscina, abbiamo organizzato dei momenti sportivi in cui hanno potuto giocare a cricket e a calcio. Insomma, cerchiamo di rendere le vacanze più divertenti con tante attività. Abbiamo anche programmato un pic-nic, e in vista del giorno di Natale decoreremo la casa e i tavoli del pranzo a tema. L’idea non è solo di tenere i ragazzi impegnati, ma è anche quella di promuovere un senso di famiglia che per molti di loro non sempre c’è».

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