93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Libera, democratica, bergamasca: la storia di Radio Papavero

Racconto. L’emittente “tra il dicembre del 1976 e l’estate del 1978, ottenne gloria e fama. Un fulmine improvviso e micidiale nell’ordinaria amministrazione delle ‘radio libere’ di allora”

Lettura 6 min.
Franco di Radio Papavero

Facciamoci un giro per Bergamo con Google Maps. Lasciamoci cadere in Via Sant’Alessandro, precisamente al civico 152. È una giornata primaverile, c’è un ciottolato che sale verso Bergamo Alta, davanti a noi il portone verde ghiaccio di un palazzo elegante. Spostiamo lo sguardo-cursore verso l’alto: le imposte, l’ombra degli alberi impressa sulla facciata dalla luce morbida del mattino e, infine, le finestre dell’appartamento sottotetto. Ecco, proprio lassù, all’inizio del 1977, una delle prime radio democratiche bergamasche inaugurava le proprie trasmissioni. Si chiamava Radio Papavero, fu l’emittente libera legata al Movimento bergamasco, costola territoriale della grande area politica extra-parlamentare composta da studenti e operai. Non la prima e nemmeno l’unica emittente sorta tra città e provincia dalla liberalizzazione dell’etere sancita dalla Corte Costituzionale, il 28 luglio 1976. Probabilmente, però, la più rappresentativa e la più partecipata.

Nel gennaio del 1977, in una delle stanze dell’appartamento sottotetto, un giovane seduto al microfono ne registrava la sigla. La base è un frammento de “Il papavero rosso”, l’opera scritta nel 1927 dal compositore russo Reinhold Glière. Immaginiamoci il volume che si attenua, e una voce sovrapporsi al tripudio d’archi: “Radio Papavero, emittente democratica e antifascista che trasmette in modulazione di frequenza su 91e2 megahertz”. Poi la musica che riprende spazio ma solo per un attimo, e di nuovo la voce: “Papavero, casella postale 73 – 24100 Bergamo. Telefono, 222165. Fine delle trasmissioni”.

Quel ragazzo è Silvano, uno dei fondatori della radio. Oggi è un insegnante di fisica in pensione. Ho avuto la fortuna di incontrarlo pochi anni fa. Lui e altri protagonisti di quell’esperienza: Adele, sua moglie e a sua volta insegnante in pensione; e Giacomo, giornalista. Le loro voci, e un archivio online di materiali e trasmissioni sopravvissuti al tempo, mi raccontavano una fetta di storia impolverata e rimasta nella soffitta della memoria bergamasca. Quando per la prima volta sentii la registrazione della sigla provai a chiamare il numero di telefono, con la curiosità di scoprire a chi fosse intestato, quarant’anni dopo. Il telefono rimase muto per qualche secondo, poi partì il segnale della linea occupata. Non rispose nessuno, ma pare che il numero sia intestato al municipio, a qualche distaccamento dei servizi sociali.

Sulla frequenza 91.2 invece oggi suona Radio Freccia, la costola rock di RTL, nata pochi anni fa rifacendosi – in modo molto più patinato, “borghese” avrebbero detto allora – proprio allo spirito delle radio libere che sorsero dalla seconda metà dei Settanta. È sempre affascinante tracciare delle linee di congiunzione tra il passato e il presente, porsi come se la città fosse un nastro su cui sono state incise e cancellate innumerevoli storie, mettersi in ascolto e provare a percepire lo spettro delle incisioni passate, sovrascritte da quelle presenti. Come sono cambiati quei luoghi a distanza di quarant’anni? Come sono cambiate quelle persone?

Radio Papavero prendeva vita nel dicembre del 1976, pochi mesi dopo lo scioglimento di Lotta Continua, che fu una delle più importanti e diffuse organizzazioni della sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. Molti militanti si ritrovarono orfani, senza riferimento politico, senza più una casa da abitare. Quindi, che fare? Silvano disse che “La radio appariva come una possibilità di avere ancora un rapporto pubblico indipendente e autonomo. Era aperta a tutti coloro che non si riconoscevano nell’istituzione”.

Sul blog aperto da alcuni dei fondatori della radio, in un post del febbraio 2005, Giacomo scriveva:

Radio Papavero, tra il dicembre del 1976 e l’estate del 1978, ottenne gloria e fama. Un fulmine improvviso e micidiale nell’ordinaria amministrazione delle ‘radio libere’ di allora, tutte quante ben allineate nell’area democristiana. (…) La Bergamo dei movimenti era squassata da nuove idee e antiche diatribe: moriva Lotta Continua, nasceva Democrazia Proletaria, si sviluppava l’Autonomia, cresceva il malvagio e maledetto germe della lotta armata mentre i figli dei fiori erano solo un ricordo. Ma dal circolo Ottobre e dintorni nasceva Radio Papavero. Un happening mediatico durato ventiquattro mesi, giorno più giorno meno”.

I circoli Ottobre erano i centri culturali e aggregativi organizzati dai militanti di Lotta Continua in molte città italiane. Nei grandi centri urbani riuscivano a far esibire Dalla, De Gregori, Gaber, Venditti, De André, Bennato, Pino Daniele, a produrre cortometraggi e lungometraggi – Il 12 dicembre” di Pasolini sulla strage di piazza Fontana – a collaborare alla realizzazione di alcuni spettacoli di Dario Fo e Franca Rame, come Morte accidentale di un anarchico o Guerra di popolo in Cile.

Dal circolo Ottobre bergamasco nacque Radio Papavero (e non a caso nel 1976 vide la luce anche Lab 80, la più longeva associazione cinematografica d’Italia). Sulla mappa digitale spostatevi al civico 24 di Via San Bernardino, vi ritroverete davanti a un furgone bianco parcheggiato di sbieco. Proprio lì dietro si trovava la sede del circolo, in un androne che oggi separa una calzoleria-pelletteria e un negozio sfitto.

La radio fu avviata con l’autofinanziamento. I ragazzi costituirono una cooperativa e un collettivo di gestione, ognuno finanziava secondo le proprie possibilità, i compiti furono suddivisi in base alle competenze: chi cercava i finanziamenti, chi la sede in cui collocarsi, chi le apparecchiature, chi i contatti con altre realtà simili che potessero dare suggerimenti su come avviare l’attività. I primi tempi furono di rodaggio: l’attrezzatura era scadente, c’erano problemi di frequenze e di interferenze. Arrivò in sede una raccomandata della polizia postale che diffidava a “provvedere con effetto immediato alla rimozione delle cause delle interferenze poiché spurie interferiscono con i servizi di pubblica utilità”. Immaginiamoci qualcosa tipo “The Times They Are a-Changin’” di Dylan irrompere a intermittenza nelle radio delle volanti.

L’operatore tecnico era Silvano. Lui e un amico erano gli unici ad avere le conoscenze per risolvere la situazione. La svolta non tardò ad arrivare: “Finalmente poi hanno comprato un amplificatore di potenza e un filtro elicoidale, e a quel punto la trasmissione era più pulita”. A ripensarci, sembrava ancora sospirare dal sollievo. Sempre lui rese funzionante l’antenna di trasmissione, costruita dal collettivo sul progetto di un’antenna per radioamatori. Fu sistemata sul tetto dell’appartamento di via Sant’Alessandro con “un’operazione sociale”. “Alla fine la cosa ha funzionato: esaltazione. La qualità della trasmissione è cambiata di botto, ci ricevevano anche fuori città”. La potenza del segnale consacrò Radio Papavero a regina dell’etere libero e democratico bergamasco. Sul blog, Angelone ricorda:

L’antenna è stata una cosa grandiosa! Non si era mai visto niente di simile. Confesso che prima di montarla eravamo parecchio gasati, ‘una cosa così? manda il segnale ovunque’, ‘spaccherà il c..o a tutti’. Ricordo gli sguardi che tutti rivolgevamo a Silvano, il nostro guru dell’etere”.

Radio Papavero inaugurava ufficialmente le trasmissioni nel gennaio del 1977. Il Carosello era appena morto, dal primo febbraio la Rai avviava le trasmissioni a colori. L’allestimento era di recupero, la qualità dell’intrattenimento chiaramente amatoriale, gli interventi poco più che improvvisati, ma nell’etere bergamasco prese a suonare roba che ognuno poteva sentire solo a casa sua: Country Joe and the Fish, Canned Heat, Jimi Hendrix, Eric Burdon and The Animals, Johnny Winter, Humble Pie, addirittura il jazz di Roy Haynes, di Miles Davis tra gli altri. Si parlava di Beat Generation, il sax di Charlie Parker e le parole di Jack Kerouac, della vita e della musica di musicisti, da Bob Dylan a Paganini.

La programmazione rispecchiava i gruppi che animavano la radio: le femministe curavano “Le streghe”, il gruppo Fuori! – Fronte Unitario Omosessuali Italiani – conduceva “Petali di rosa”. Si parlava poi di condizioni di vita nelle caserme e nelle carceri, Silvano e Giacomo conducevano il notiziario. La radio faceva controinformazione prestandosi come megafono del Movimento bergamasco, trasmetteva le dirette telefoniche dalle manifestazioni, dava voce alle lotte che si sviluppavano sul territorio, conduceva piccole inchieste come quella sulla miniera di Uranio a Novazza Valgoglio, in alta Val Seriana. Assunse lo stesso ruolo che aveva Radio Alice a Bologna, o Radio Città Futura a Roma. A oggi sopravvivono anche gli audio di alcune interviste raccolte per le strade di Bergamo durante i giorni del sequestro Moro. Trattare o non trattare con le Brigate Rosse?: “È sabato 22, sono le due e mezza. Fra mezz’ora scade l’ultimatum di Moro. Che cosa ne pensa?”. Uno spiraglio unico e preziosissimo da cui sentir soffiare lo spirito del tempo.

Torniamo di nuovo al civico 152. Al primo piano abita il sig. S., incontrai anche lui, per caso, durante un sopralluogo che feci con Giacomo – volevamo provare a rientrare là dov’era la sede, vedere il nuovo volto di quello spazio, avrei voluto osservare il suo sguardo nell’atto di radiografare gli spazi in cerca dell’immagine del passato dietro quella del presente. Riuscimmo solo a varcare il portone del palazzo, e a scambiare qualche parola con il sig. S., che nel 1977 già viveva lì e che non aveva un buon ricordo della radio. Ricordava problemi, “sballati e drogati”, piccoli furti. Ricordava soprattutto la Vespa usata dai due attentatori di Giuseppe Gurrieri, il carabiniere ucciso in Città Alta il 13 marzo 1979, che qualcuno aveva parcheggiato in quell’androne, con la targa nascosta perché non si leggesse (qui un mio pezzo sulla “Bergamo violenta” della fine degli anni Settanta). Il sig. S. ne parlava e ci indicava il punto esatto, come i testimoni oculari che si prodigano per i giornalisti televisivi. Giacomo allora aveva spiegato le due vite della radio, quella del collettivo originario e quella dopo, quando dalla metà del ’78 il gruppo storico abbandonò il progetto e lasciò l’emittente in gestione a “quelli dell’Autonomia Operaia”. L’area più agitata del Movimento del ’77, che la gestì fino alla chiusura forzata, disposta delle autorità in seguito fatti del 13 marzo.

Finimmo a riflettere su come la memoria del sig. S. arrivasse come una specie di metafora dell’immaginario dominante sugli anni Settanta: spogliati di ogni valore poiché viziati dagli errori di una minoranza. Giacomo commentò con queste parole: “Se in un campo di frumento c’è la gramigna, non significa che il frumento non è buono”. Poi uscimmo nel cortile. Mi invitò a guardare su, oltre i davanzali, oltre la tettoia. Là dove un tempo spiccava la gloriosa antenna di Radio Papavero.

PS: A questo indirizzo è possibile ascoltare alcune vecchie trasmissioni di Radio Papavero, leggere testimonianze e consultare il materiale che ha superato indenne questi anni.

Approfondimenti