Anche questo tour de force natalizio è giunto al termine. E con l’“Epifania che tutte le feste si porta via”, scatta l’impietoso bilancio: regali ricevuti, relazioni con i parenti e gli amici, menu di Capodanno… Scoppiata la bolla di bontà e felicità collettiva, ecco smascherarsi il lato oscuro del Natale. Perché c’è, inutile nascondersi dietro un dito. Tutti sappiamo bene quali sono le dinamiche silenziose che si compiono regolarmente sotto le luci e i sorrisoni delle feste natalizie.
Il rito più insidioso? Non c’è dubbio, è quello più nobile e disinteressato per definizione: lo scambio dei doni. Donare-ricevere-ricambiare: un gesto circolare sul quale si formano e si consolidano le relazioni su cui si fonda una comunità. L’antropologia ci ha regalato saggi meravigliosi sul tema del dono. Ma a Natale non vale, perché i parametri fondamentali vengono messi in stand by. A Natale il dono smette di essere libero e non costrittivo, esige pariteticità e anche di essere contraccambiato. E la salute mentale vacilla.
Le prime avvisaglie da “Profondo rosso” cominciano alla comparsa in tv dei primi spot di pandori e panettoni e alla radio riattaccano i jingle che ci ossessioneranno fino all’anno nuovo. Siamo a metà novembre e qualcuno di noi sente già salire l’ansia, comincia a stilare il planning delle persone a cui si deve fare un regalo, magari suddividendole già per priorità e categoria di spesa: perché ci sono quelli a cui fai i regali con il cuore, quelli a cui sai per certo che cosa regalare e quelli che non hai la minima idea, quelli a cui devi per forza fare un regalo anche se ne faresti tranquillamente a meno, e anche quelli che ti hanno fregato lo scorso anno con un “pensierino” inaspettato, inaugurando una catena di S. Antonio che ora si perpetuerà all’infinito.
Poi c’è l’altra metà di noi, quella che tra mille cose da fare o semplicemente per natura, nonostante i buoni propositi, ad organizzarsi per tempo proprio non ce la fa e l’ultimo giorno utile, nel panico più completo, parte sudata e stressata per il triathlon centro commerciale-pasticceria artigianale-Amazon. Come se non bastasse si deve contemporaneamente badare al cellulare perché c’è chi si porta avanti con gli auguri, mentre WhatsApp continua a trillare perché inviare gli auguri a tutta la rubrica non costa nulla e ti salva la faccia (se poi tra i recapiti c’è anche il tuo peggior nemico, pazienza: fare auguri ad personam sarebbe un’inconcepibile perdita di tempo).
Fatto tutto? Non hai dimenticato nessuno? Il peggio è passato! Eh no, perché ora si avvicina il momento di aprire i regali, quell’idillio di amore, gratitudine e autentiche espressioni di stupore e sorpresa: cominciamo già a inizio serata a scrutare con inquietudine pacchi e pacchetti assiepati sotto l’albero per capire dalla forma e dalla dimensione che cosa aspettarci. Ecco, c’è già del disappunto, perché come al solito c’è il parente narcisista che ogni anno deve umiliarti con regali costosi, esponendo in bella vista mirabolanti confezioni che già da sole costano di più del cadeau che tu ti sei potuto permettere. Calma… non pensarci… Non è importante…
Giunge il fatidico momento di scartare e lo stress è alle stelle. Che cosa non daresti per essere sola, stracciare la carta così come viene e sproloquiare in libertà. E invece no: prendi con garbo il pacchetto con il tuo nome, scarti con delicatezza, senti su di te lo sguardo fisso del donatore pronto a leggere ogni tua minima variazione fisiognomica, scorgi l’ennesimo bagnoschiuma dei “Tesori d’Oriente”, il decimo panettone (e le feste non sono ancora finite…), il libro che non leggerai mai neanche sotto tortura, il maglione di una taglia in cui è evidente che non entrerai mai (e che, con tutto quello che hai da fare, sarai obbligato ad andare a cambiare in negozio quando ormai dovrai ripiegare sui rimasugli), il sacchetto di the nero rigorosamente bio.
Vorresti gridare e strangolare qualcuno e invece fai appello alle ultime energie che ti sono rimaste alla fine dell’anno per fare un sorriso, sgranare gli occhi ed esclamare: “Bellissimooo! Grazie, ma come hai fatto a pensarci?” (che dentro di te suona come “Ma come ti è venuto in mente?”), per sentirti rispondere “Ma figurati, è solo un pensierino”.
La verità è che lo scambio dei doni scatena dinamiche destinate ad incidere tutt’altro che positivamente sulle nostre relazioni, famigliari e non: “Ma come ha potuto regalarmi questo? Ma allora non mi conosce!”; “Con tutte le ore impiegate a pensare a qualcosa che le piacesse, come osa rifilarmi la prima cosuccia che capita?”; “Se continua sistematicamente a regalarmi cose che sa che non mi piacciono, ne deduco che lo faccia apposta”.
Pazienza, per fortuna confidiamo nel partner. Lui sì che ci conosce come nessun altro e che ci farà un regalo col cuore. Lui sì che ci regalerà uno di quei caldi e avvolgenti pigiamoni, rigorosamente accompagnati da un bel calzino caldo, in morbido pile con i pallini antiscivolo. Perché lui sa che il pigiamone oversize farà la tua felicità, perché per lui tu sei bellissima anche con un sacco di juta. Lui vuole solo saperti comoda, rilassata e libera. Perché da quando sei in smartworking lui ha visto la gioia che ti procura tenerti addosso il pigiama tutto il giorno. Lo ha visto che i pantaloni del pigiama non li abbandoni neanche quando sei in video call, anche se sei costretta a sostituire temporaneamente il “pezzo sopra” con un maglione per sembrare “vestita”.
E invece no! No! Mai una gioia! Perché lui ti regala… la lingerie! Preferibilmente rossa – no, dico, ROSSA! – perché a Capodanno porta fortuna. E più il marchingegno è infernale meglio è. E via di completini di pizzo che scatenano un prurito permanente, di reggiseni a balconcino che ti puntellano con ganci e ferretti, di scivolose sottovesti in seta che quando ti svegli la mattina ti strozzano al collo, di baby doll che non sapevi nemmeno esistessero più, di reggicalze che non sai nemmeno come si armeggiano. E se hai la fortuna di avere un partner attento al cool magari avrai la fortuna di ricevere un raffinatissimo body in vinile o magari l’ultima tendenza, il Catsuit. Perché, secondo lui, per te sarà un piacere infilarti a forza dentro una tuta-collant che ti inguaina dal collo alle caviglie. Perché a lui non importa, non bada nemmeno se il reggiseno non è coordinato alle mutandine. Lo fa per te, perché l’ha letto sulle riviste femminili che le donne non indossano la lingerie ricercata per piacere al partner ma per sentirsi bene con sé stesse.
Ecco, e adesso ditemi di nuovo che basta il pensiero, e che avete gradito a prescindere il bouquet dei doni natalizi perché è il gesto che conta. Bugiardi! Allora perché subito dopo Natale le piattaforme online di vendita dell’usato pullulano di questi graditissimi doni natalizi? Perché li avete riposti in un cassetto, pronti a riciclarli alla prima occasione? Il fenomeno è talmente macroscopico che siamo stati costretti a sdoganarlo e a trovargli persino un nome tecnico: il regifting. Basta con i sensi di colpa e gli imbarazzi perché il regifting non è più un tabù sociale, è sana economia circolare, è risparmio, con la certezza rassicurante che chi ci fa un regalo non apprezzato preferisce sapere che sia devoluto ad altri piuttosto che immaginarlo inutilizzato o dimenticato in cantina. E così comincia un circolo vizioso che vive di vita propria in cui i regali inadatti cominciano a passare di mano in mano alla ricerca di un giusto destinatario, che probabilmente non esiste. Finché, se la fortuna non è il tuo forte, capita proprio che sia un tuo caro, vecchio, riciclato regalo a chiudere il cerchio e a ritornare proprio da chi l’aveva pensato per te. Poco importa, nessuno avrà da ridire, è la positività del regifting.
Se poi, chiuso il capitolo scambio dei doni, pensi di averla scampata, non ci contare, perché tutto ricomincia con il cenone di Capodanno e magari tocca a te cucinare, accogliere accaldata e con il grembiule macchiato di sugo la cognata fashion col fisico da top model, la zia che fa quelle lasagne inarrivabili di cui nessuno quest’anno potrà deliziarsi perché toccava a te organizzare la cena, lo zio di destra che attacca subito a tormentare il nipote di sinistra, la cugina designer che perlustra disgustata le tue decorazioni natalizie facendoti notare che le palline dell’albero sono troppe e non sono in pendant con i fiocchi della ghirlanda, il suocero architetto che ti spiega che anche nel presepe esistono prospettive e proporzioni e non esiste che i tuoi cammelli siano troppo piccoli per i tuoi Re Magi o che le statuine piccole siano mixate a casaccio con quelle più grandi o che le pecore bruchino sotto le palme e il macellaio stia dentro il mulino. Stai per esplodere, ma tieni duro.
Finalmente riesci nell’impresa di accompagnare alla porta l’ultimo parente che occupa il tuo divano, quello che non resiste mai a un bicchierino di troppo. Chiudi la porta, tiri un sospiro di sollievo e non ci puoi credere. Anche quest’anno sei sopravvissuta. Almeno fino al prossimo Natale.