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Kate Middleton ci riporta, umilmente, con i piedi per terra

Articolo. Il video dello scorso 22 marzo, in cui la principessa del Galles ha rivelato di avere un tumore, è stato definito da molti giornali «scioccante». Ma cosa c’è di scioccante nell’ammettere di soffrire di un male che colpisce milioni di abitanti? Forse, il problema è il nostro rapporto con la malattia (e con la morte)

Lettura 3 min.

Se penso all’incoronazione di Carlo III del Regno Unito, avvenuta quasi un anno fa nell’abbazia di Westminster, mi viene in mente un’immagine: quella della principessa del Galles in tutta la sua grazia. Le labbra perfette, lo sguardo fiero, la fronte alta sormontata da una splendida corona di fiori: un inno all’armonia, suggellato dalle pieghe di un abito candido e da quelle di un mantello blu. Come è lontana la bellezza radiosa e fiabesca di quel giorno, se paragonata alla mestizia che attanaglia il video dello scorso 22 marzo, quello in cui una provata Kate Middleton, con dignitosa compostezza, svela di avere il cancro.

Un annuncio che ha dissipato malignità e ridicole teorie del complotto ma che, contemporaneamente, ha innescato il solito show del dolore. Certo, la famiglia Windsor sa bene di essere un brand goloso (in primis, per sé stessa) e che, da Lady Diana alle controverse vicende di Harry e Meghan, non ha fatto molto, in questi ultimi decenni, affinché non si parlasse di lei. Tuttavia, spiace constatare come questa pubblica confessione sia stata indotta, presumibilmente, dalle incessanti congetture (e pressioni) a opera di giornali e rotocalchi che, da mesi, si chiedevano dove fosse finita la consorte di William. La notizia, come era prevedibile, ha suscitato grande curiosità, turbamento e commozione, andando a oscurare il conflitto in Ucraina e quello in Palestina. Del resto, i reali inglesi sono un po’ la proiezione idealizzata dei nostri desideri e delle nostre fantasie. Forse, però, c’è pure dell’altro.

Et in Arcadia ego

C’è la malattia che, all’improvviso, entra a gamba tesa nel nostro quotidiano: se una futura regina non è immune a questo tipo di affezione, chi può esserlo? È vero: anche Carlo ha il cancro. Ma l’attuale sovrano di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è molto anziano. Kate, al contrario, è giovane, affascinante, nel pieno delle forze e madre di tre bimbi piccoli. Tutto ciò appare profondamente ingiusto (come ingiusto, a onor del vero, risulta il dramma di qualsiasi paziente oncologico). E poi c’è l’ombra impietosa della morte che, in questo caso, non entra nelle nostre case attraverso reportage di guerre lontane (scenari virtuali, distanti dal nostro vissuto, a cui siamo vergognosamente assuefatti), ma tramite un brutto male che un domani potrebbe colpire anche noi. Della morte, in tv e sui social, se ne parla poco e, molte volte, in termini squisitamente irriverenti.

Amo il black humor, ma è avvilente constatare come, in una società del benessere come la nostra, questo tipo di narrazione dissacrante fagociti interamente il discorso sulla fine. Fine che, volenti o nolenti, ci riguarda tutti. Parlare apertamente (e seriamente) del trapasso (soprattutto del proprio) è scomodo, antipatico e scandaloso, poiché la morte, con la sua democratica imprevedibilità, ci dice una cosa difficile da tollerare, ovvero che non siamo padroni di niente e che niente possiamo controllare, nemmeno il nostro corpo, il nostro tempo o la nostra salute. Per questo, se non strettamente necessario, ogni riferimento a essa viene adeguatamente e chirurgicamente edulcorato, se non totalmente rimosso.

Non è solo colpa delle prometeiche promesse di una tecnologia sempre più invasiva: forse, è una questione culturale o di forma mentis. Sicuro è che già Ugo Foscolo, nel «Dei Sepolcri», si scagliava contro l’editto di Saint-Cloud che, imponendo la sepoltura dei morti fuori dalle mura delle città, andava a sfilacciare, secondo il poeta, il legame fra quest’ultimi e i vivi. Ma la morte, per quanto ci ripugni, non la si può esorcizzare a lungo, né tanto meno imbrigliare. Ce lo suggerisce «La mascherata della Morte Rossa», celebre racconto di Edgar Allan Poe: l’eccentrico principe Prospero è convinto che isolandosi nel proprio castello sfuggirà a un terribile morbo che sta devastando la sua terra. Si rinchiude, quindi, nel maniero con una compagnia di mille amici, convinto di essere più forte della pestilenza. Nonostante ciò, nel mentre di un grottesco ballo in maschera, la morte giunge anche all’interno di quel sontuoso rifugio.

L’amore oltre la paura

Gli invitati di Prospero, impegnati a danzare, si illudono che il morire non li riguardi, come noi ci illudiamo di vivere in un eterno presente, in cui il più grande scopo è quello del piacere e della realizzazione personale (possibilmente instagrammabile). Non è così. La morte è biologicamente radicata nell’uomo e la coscienza della fine è quel che più ci distingue dalle altre creature: per Martin Heidegger, in questa consapevolezza si trova la libertà dell’esistere. Ma come potersi aprire, serenamente, alla possibilità di non esserci più? Probabilmente, è impossibile. Eppure, si potrebbe iniziare a cambiare la nostra prospettiva. Il video della principessa del Galles, infatti, non solo ha il merito di mostrare empatia verso coloro che stanno lottando contro un tumore («Non perdete la fede né la speranza, non siete soli»), ma anche di riportare followers e viewers con i piedi per terra: neppure Buckingham Palace è esente dalla più comune sofferenza umana. E se la rivelazione di Kate Middleton può contribuire a ridimensionare il nostro approccio alla vita, tanto meglio.

Fare i conti con la propria fine significa recuperare la dimensione del sacro: luogo in cui l’uomo, più che il divino, incontra sé stesso. Forse, allora, non bisognerebbe opporre resistenza al pensiero della morte, ma trasformare, attraverso l’amore, l’angoscia della finitudine in qualcosa di fecondo, in modo da destarci da quel torpore intellettivo e da quell’indifferenza del cuore che, abitualmente, ci avvinghiano. Così da rimanere a contatto con la nostra fragile umanità e prenderci cura, oltre la vertigine della paura, degli altri e del creato.

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