Inizia oggi una collaborazione con Carmen Pupo. Carmen è una persona disabile dalla nascita, ma è soprattutto una sociologa fresca di laurea, brillante e ironica. Ogni mese ci racconterà il suo punto di vista sull’essere disabile oggi, a Bergamo e in generale, fra pregiudizi sfatati, da sfatare, ostacoli e opportunità.
Sono una ragazza calabrese di ventiquattro anni e sono affetta da una disabilità motoria fin dalla nascita, ma non ho mai permesso che essa rappresentasse un limite.
Anzi direi che negli anni è diventata il mio punto di forza.
Spesso parlando di disabilità si tende a dire: “non sono la mia malattia”. E per certi versi è stato così anche per me, perché non mi sono mai considerata malata e non è stato facile accettare che dovrò fare i conti con una patologia invalidante per la quale ad oggi non esiste una cura.
Quindi in parte concordo con questa affermazione, perché in effetti, quando penso, quando scrivo, non mi sento malata. Però non posso ignorare che ciò che penso e ciò che scrivo sia anche frutto delle difficoltà che la malattia mi ha imposto e che cerco ogni giorno di aggirare. Quando provo a salire dei gradini troppo alti, quando salto, letteralmente, da un autobus troppo veloce per i miei standard, quando, dopo essere arrivata in cima ad una delle tante salite a Bergamo mi chiedo: è questo il paradiso?
L’intento, attraverso questo articolo e quelli che seguiranno, è di raccontare senza prendersi troppo sul serio quali sono le difficoltà per le persone disabili che vivono a Bergamo, le opportunità e gli ambiti nei quali si può fare di più. Tenendo sempre a mente che i limiti sono prerogativa dell’essere umano e che la malattia in quanto tale talvolta li acuisce e li aggrava. Pertanto una società più giusta se ne fa carico, senza mai privare i cittadini della possibilità di scegliere.
Clima e altri miti da sfatare
Quando lo scorso anno ho deciso che da Catanzaro mi sarei trasferita a Bergamo per proseguire gli studi, avevo in mente una città fredda: non mi riferisco solo alle temperature, ma anche a quel pregiudizio per il quale si tende a pensare che al Sud le persone siano sempre più calorose, simpatiche, solidali, mentre al Nord sia tutto il contrario.
Volendo usare un linguaggio più tecnico, il sociologo Ferdinand Tönnies identifica questa differenza nel passaggio dalla comunità – basata su legami forti dettati da una comunanza di linguaggi, pratiche e tradizioni, tipica dei rapporti familiari e di vicinato delle comunità rurali – alla società. La quale, a seguito dell’industrializzazione e dell’innovazione tecnica, impronta le relazioni sociali sugli scambi a fini commerciali o sulla competizione.
Ad alimentare questi pregiudizi ha contribuito una docente che ai tempi del liceo ci parlava spesso della sua traversata epica da Catanzaro a Bergamo, con la famosa valigia di cartone. Odiavo questo racconto: anzitutto perché ero certa che la sua valigia non fosse di cartone. E poi perché il suo era un modo per dire che i giovani oggi non fanno più scelte coraggiose, ma si affidano a chi gli copre le spalle scegliendo un futuro comodo invece che affrontare la paura dell’ignoto.
Avrei voluto dirle che non è sempre solo questione di restare o partire, che anche restare richiede coraggio, il coraggio di confrontarsi con una città e una regione che molto spesso ci chiedono di accontentarci e ci promettono tempi migliori che sembrano non arrivare mai, tra commissariamenti, concorsi truccati e infrastrutture ferme a vent’anni fa.
Negli anni ho continuato a nutrirmi di quei pregiudizi. Ignorando la mia formazione accademica, perché in un periodo nel quale non potevo ancora testare le mie abilità nel salto nel buio, era per certi versi rassicurante immaginare un contesto sì efficiente ma anche freddo e ostile nel quale i panni non si stendono sul balcone, ma in casa.
Ad un certo punto, però, mi sono stancata: di accontentarmi e di rinunciare a ciò che mi interessava davvero. Per studiare invece cose che non mi stimolavano e che stavano facendo scemare la mia curiosità, la mia voglia di apprendere per non restare indietro, per essere sempre all’altezza, di me stessa e della persona che voglio diventare. Quindi ho preso la mia valigia, che non era di cartone (in realtà più di una) e sono partita.
Inizialmente ero orientata su Milano per ragioni affettive e familiari ma se volevo saltare per la prima volta in vita mia dovevo farlo con qualcosa che mi appassionasse. Così in quella fase della mia esistenza in cui sentivo che la scrittura e la rete rappresentassero un buon trampolino di lancio, ho scelto un corso di laurea che mi sembrava innovativo e attuale, ovvero quello di Comunicazione Informazione e Editoria a Bergamo.
Bergamo era inoltre una città più piccola rispetto a Milano e quindi potenzialmente anche più alla mia portata – con una disabilità motoria, gli spostamenti, le distanze e le percorrenze erano un fattore che dovevo assolutamente tenere in considerazione.
Prima di rischiare bisogna anzitutto essere consapevoli dei propri limiti. Inoltre, dopo più di dieci anni passati a fare la pendolare su strade sterrate e piene di tornanti che continuano a crollare puntualmente con i primi temporali autunnali, non ero pronta a cominciare nuovamente questo calvario.
Lo ammetto, ho attraversato con il rosso
La verità è che i calabresi che si trasferiscono a Bergamo non devono abituarsi al freddo, al cattivo tempo o al diverso atteggiamento delle persone. Il vero dramma sono i semafori pedonali. Ricordo ancora il giorno in cui sono arrivata per il colloquio conoscitivo con i docenti: ero in stazione e l’autobus su cui dovevo salire per arrivare in facoltà era dall’altro lato della strada. Senza pensarci troppo, ho attraversato col rosso, mentre degli sconosciuti mi chiedevano cosa stessi facendo. La prima cosa che mi sono detta è stata: non ce la farò mai a vivere qui.
Abito in una residenza universitaria in centro e ho dovuto subito fare i conti con persone molto diverse da me, per storia, provenienza e cultura. Ciò è stato un bene perché ho preso coscienza ancor di più di quanto tutto sia relativo e di quanto sia facile riportare quel concetto di comunità anche in un luogo che si popola di anno in anno di persone differenti. Allo stesso modo è stato stimolante conoscere a lezione dei miei coetanei con i quali potermi esprimere liberamente. E soprattutto ho trovato dei miei pari che non mi hanno commiserato, anzi hanno saputo cogliere e assecondare l’autoironia che è sempre stata una chiave fondamentale della mia esistenza.
Incredibili procedure online funzionanti
Mi sono resa conto dell’efficienza del sistema universitario ancor prima di trasferirmi. Dovevo perfezionare la mia posizione accademica nella precedente università e temevo che mi sarei dovuta recare a Bergamo per consegnare la documentazione cartacea, prima di riuscire a farlo. Immaginate la sorpresa e la commozione quando ho compreso che per “procedure online” si intende davvero che tutto avviene munendosi unicamente di un pc e di una connessione di rete.
L’università offre inoltre agli studenti con disabilità la possibilità di concordare con i docenti dei programmi di studio personalizzati in base alle loro esigenze, nonché l’affiancamento e il sostegno da parte di altri studenti durante le lezioni o gli esami o nell’orientamento all’interno dell’università e ciò ha una duplice valenza: da un lato gli studenti disabili trovano validi strumenti per vivere al meglio l’esperienza universitaria, dall’altro sensibilizza gli studenti a prendere coscienza delle difficoltà legate alla disabilità, in senso lato.
Ovviamente l’intento non è quello di tessere un encomio della città di Bergamo. Ci sono ambiti nei quali si può e senz’altro si deve migliorare, a partire dal sistema dei trasporti che dovrebbe essere incrementato con un numero di mezzi più moderno e adeguato alle richieste degli utenti. Così facendo, si eviterebbero rischi non solo per le persone con ridotta capacità motoria ma pure per la comunità intera nel momento in cui si vengono a creare situazioni nelle quali ci sono autobus con un numero di passeggeri molto superiore a quello consentito.
Ci sono giorni nei quali, quando guardo le montagne o sento il vento fischiare la notte, mi sembra di essere ancora nella mia città natale e non nascondo che sia consolante, soprattutto quando penso a quanto sia lontana casa mia. Me ne sono andata perché credevo che partendo avrei risolto molti dei miei problemi. Invece qui ne ho trovati altri, altre sfide che affronto senza dimenticare da dove vengo e quanto sia stato difficile arrivare dove sono. Quindi penso che non contino più di tanto le ataviche differenze tra regioni ma piuttosto la prospettiva con la quale si sceglie di guardare le cose.
La differenza sostanziale risiede nella maggiore incisività con la quale l’università interviene per andare incontro agli studenti disabili. Molto spesso non si tratta solo di parlarne utilizzando le parole più giuste e appropriate, ma anche di attivarsi concretamente, di crederci. E in questo senso, sì, Bergamo ci ha creduto di più.