«Scuole iniziate, ma mancano docenti» è lo slogan del momento, riportato da molte testate giornalistiche. Con passione, insegno lettere (o almeno, potrei insegnare) nella Scuola Secondaria di Primo o Secondo Grado e attualmente non farei nessun altro lavoro. Da quattro anni cambio istituto, alunni, colleghi.
Il precariato nella Scuola Statale ha radici profonde: ciascun insegnante d’esperienza può raccontare la sua personalissima storia sull’immissione in ruolo: agognata e differente a seconda dell’epoca storica. Infatti, per il mondo degli insegnanti - anche solo negli ultimi cinquant’anni - sono cambiate continuamente leggi e procedure per cercare di ottenere una stabilità funzionante.
Sembra quasi che ogni governo, una volta eletto, non si senta tale se non emana un Decreto Ministeriale sul mondo della scuola, spesso in contraddizione con chi lo ha preceduto; tutti animati dall’encomiabile desiderio di «salvare la situazione del precariato», portano ogni volta il vascello di una delle istituzioni più importanti per il nostro Paese contro uno scoglio di dimensioni significative.
Le famiglie, giustamente, ogni anno si chiedono come sia possibile che il primo giorno di scuola ci siano cattedre vacanti e, contestualmente, tanti docenti ancora a casa. A volte compaiono dei supplenti, poi poche settimane dopo (inspiegabilmente?!) spariscono. Si aspetta un altro docente. Resterà? Per quanto tempo? Perché se ne va? Questo articolo vuole essere un piccolo vademecum per comprendere quanto la situazione sia complessa, a volte surreale, e quanto ogni slogan semplicistico porti con sé forte disinformazione.
GPS, il significato vero per i precari
Per tutti, «Global Positioning System». Per gli insegnanti precari, «Graduatorie Provinciali di Supplenza». Il minimo comune multiplo? «Chissà dove mi collocano quest’anno!»
Ogni aspirante insegnante, biennalmente, in un portale dedicato, sceglie una provincia in cui fare domanda, inserendo i propri titoli (laurea, master, certificazioni) e gli anni di servizio accumulati; ciascuno viene quindi contrassegnato da un punteggio, volto alla creazione di una graduatoria.
Ecco quindi spuntare corsi online di ogni genere che garantiscano certificazioni e master fittizi, al solo scopo di lucrare sul desiderio degli insegnanti precari di ottenere anche solo tre punti in più; superfluo poi specificare che l’origine di questi titoli non viene mai oggettivamente controllata. Nasce così una sorta di lotta interna, una gara a chi riesce a eludere meglio le rigidità del sistema, trionfando sugli altri. Eppure, ora ci chiedono di chiamarlo Ministero del MERITO.
Il secondo step è in estate: tra luglio e agosto, quasi all’improvviso, il magico portale citato precedentemente si apre di nuovo e i candidati docenti sono chiamati a stilare un elenco di 150 scuole in ordine di preferenza.
Inizia così una settimana di serie elucubrazioni per cercare di capire secondo quale strategia l’algoritmo può essere favorevole ai propri desideri. Si vaga con GoogleMaps in ogni sobborgo della provincia scelta per capire la percorribilità delle strade. Infine, quasi trattenendo il respiro, si inoltra. L’estate intanto prosegue, mentre tra un tuffo in mare e una passeggiata in montagna irrompe prepotentemente il pensiero: «Chissà in che parte della bergamasca mi chiameranno quest’anno! Chissà quando mi chiameranno, se mi chiameranno». Si attende, inermi, che l’Ufficio Scolastico Territoriale azioni la leva dell’algoritmo (si, io mi immagino esattamente la scena di Yzma e Kronk ne «Le follie de l’imperatore»).
La lista delle disponibilità – uscita rigorosamente dopo la chiusura del portale per le domande - scorre, abbinando a ogni candidato, partendo da quello con più punti, una scuola, a seconda delle preferenze espresse. I più fortunati ottengono una cattedra al 31 agosto o al 30 giugno; ad altri, invece, capita di essere saltati perché l’algoritmo - arrivato al punteggio di un candidato – ha in riserbo solo scuole non inserite tra le rinomate 150. Allora va oltre, ma è spietato perché non torna indietro, mai!
Quando (e se) arriva la mail con la nomina si hanno 24 ore di tempo, 48 per chi viene da fuori regione, per realizzare dove si prenderà servizio e presentarsi in segreteria per la sottoscrizione del contratto. Poi ci sono le rinunce, a cui seguono gli scorrimenti, circa una volta a settimana, mentre le scuole sono già iniziate.
A chi è stato saltato dall’algoritmo non resta che aspettare una nomina da graduatoria interna, ovvero per sostituire colleghi in maternità o malattia, con contratti che si rinnovano a volte di settimana in settimana, e con stipendi che arrivano anche con tre mesi di ritardo.
Il concorso, la GM (graduatoria di merito), il FAD (fino ad avente diritto) e altre sigle
Se c’è una certezza a cui risponde globalmente il PNRR nell’immagine collettivo è questa: fondi a pioggia. Così, dopo anni di latitanza e concorsi pubblici per insegnanti banditi ogni morte di Papa, il fatidico PNRR ha dato l’occasione al MIM di bandirne ben due, uno nel 2023 e uno – si dice – a dicembre 2024.
Tutti abbiamo fatto lo scritto a marzo 2024: era più facile di tante simulazioni e di certo non ha scremato i potenziali candidati; motivo per cui il numero di insegnanti da interrogare è rimasto cospicuo rispetto alle disponibilità previste. Per alcune classi di concorso non hanno ancora iniziato gli orali, per altre non ci sono le commissioni d’esame, per altre ancora hanno finito da tempo, ma all’orizzonte non appare la graduatoria dei vincitori. Questa, chiamata GM (graduatoria di merito), stabilirà chi – tra gli idonei, cioè tra chi ha passato sia lo scritto che l’orale – avrà diritto a occupare un posto per diventare (finalmente) di ruolo. Sarebbe stato sensato e costruttivo se queste GM fossero uscite per l’inizio della scuola, così da garantire agli alunni, fin da subito, figure di riferimento, tali perché stabili e motivate. Invece, i posti banditi per il concorso, al momento, sono stati accantonati; ogni giorno arrivano mail chiedendo la disponibilità a ricoprire un posto FAD – fino ad avente diritto: inizi, capisci dove sei, conosci i tuoi alunni, instauri una relazione di reciproca fiducia e poi, ad un tratto, uscirà la graduatoria dei vincitori e qualcuno ti toglierà il posto perché gli spetta di diritto, in barba alla continuità didattica.
Mentre si aspetta, chiedendosi se mai si rientrerà tra i posti disponibili o toccherà rifare tutto da capo (non ci sono scorrimenti aperti), riecheggia sui social l’iconica scena di «Quo Vado» con Checco Zalone, quando il protagonista si ritrova senza titoli di riserva in un concorso pubblico e viene sorpassato da tutti. Anche qui, infatti, per ogni classe di concorso è previsto il 30% di posti riservato per chi ha almeno tre anni di servizio negli ultimi cinque in scuole statali, l’8% per i beneficiari della legge 68/1999 (invalidi, orfani, profughi di guerra e altri), il 15% per chi ha svolto un anno di Servizio Civile Universale senza demerito, il 30% per i volontari congedati in ferma breve e ferma prefissata delle Forze Armate; ci si può consolare solo pensando che i posti riservati non possono superare il 50% dei posti banditi!
A parità di punteggio, poi, hanno la precedenza coloro che hanno figli e, tra uomo e donna, passano gli uomini perché considerati appartenenti al «genere meno rappresentato» nel mondo della scuola.
Nel frattempo, c’è chi ha superato il concorso del 2020, ma non è stato assunto perché, per ottenere i soldi del PNRR, bisognava assumere con un nuovo concorso. Quindi ci sono docenti che hanno superato le prove del 2020, potrebbero aver superato queste del 2023, iscriversi a quelle del 2024, senza avere ancora un posto fisso.
Tutto questo determina una carenza cronica di insegnanti al Nord, mentre rimane una proposta allettante per il Sud Italia. Un’indagine recente sottolinea che il 73% dei trasferimenti sono insegnanti del Sud che, dopo i tre anni obbligatori, lasciano il Centro-Nord per tornare nella regione d’origine, magari per ricongiungimento familiare o usufruendo di benefici speciali come la legge 104 del 1992 (disabilità o assistenza a parente disabile). Tutto questo a scapito della continuità didattica.
L’abilitazione che non abilita
La novità introdotta dai concorsi PNRR è quella di non essere abilitanti; una volta vinti, si ha un anno di tempo per conseguire l’abilitazione. Sulla carta è un’intenzione nobile: sono consapevole che un conto è essere laureata in lettere, un conto è saper spiegare la storia, la grammatica, la letteratura. Si è verificata così un’iscrizione di massa ai percorsi universitari, pagando una modica cifra oscillante tra i 2000 e i 2500 euro (in estate, quando la maggior parte dei docenti precari è disoccupata e costretta a richiedere la NASPI).
I corsi sono a numero chiuso, la sola richiesta di iscrizione a una singola classe di concorso costa dai 100 ai 200 euro, non rimborsabili; il percorso da 60 CFU (Credito formativo universitario), per esempio, prevede anche 150 ore di tirocinio, eseguibile in deroga conteggiando le ore lavorative se si è stati chiamati, oppure trovando un istituto con cui convenzionarsi se si è ancora in attesa della nomina.
Io faccio parte della seconda categoria. Sono felice, in questi giorni, di poter stare tra i banchi di scuola; seppur da tirocinante, maturo la convinzione che, nonostante tutto, è quello che voglio fare. Con il desiderio che le precarietà salariale e contrattuale non smorzino mai la passione, l’entusiasmo e la motivazione. E che dietro a ogni «Che bella vita voi insegnanti, con tre mesi di vacanza» venga riconosciuto lo sforzo - anche emotivo - di restare ancorati a questo sistema.