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I quattro minuti di Roger Rota di fronte all’installazione “Ogni vita è un racconto”

Articolo. La performance – disponibile in video nell’articolo – si è svolta ieri nella piazzetta don Andrea Spada vicina alla sede di L’Eco di Bergamo

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(Yuri Colleoni)

In quattro minuti si possono dire tante cose. Soprattutto se si ha l’abilità di maneggiare il suono, che quando è puro e ispirato rimane più forte delle parole. Ieri Roger Rota, uno dei jazzisti bergamaschi più importanti del nostro presente – nome di rilievo anche del panorama jazz nazionale – ci ha regalato quattro minuti di musica che sono sembrati una benedizione. Con il suo sax soprano, uno strumento dolce e malinconico capace di germinare melodie incantevoli, Rota ha dato una sua interpretazione personale di un “Regina Coeli” gregoriano. Un canto liturgico portato in una dimensione collettiva, aperta a tutti, com’è aperta a tutti l’installazione “Ogni vita è un racconto”, sotto alla quale si è svolto questo gesto sonoro, ovvero nella piazzetta don Andrea Spada, lo spazio che sta fra le due palazzine del gruppo editoriale Sesaab (qui trovate tutti i dettagli).

Non è di tutti i musicisti la capacità di sospendere il tempo e portare chi ascolta in una dimensione altra – dal vivo noi poche persone di L’Eco e Eppen, perché la performance non è stata un concerto e quindi non c’era pubblico; in televisione durante il tg di Bergamo TV e se volete nel video qui sotto che ritrae l’intera esecuzione. Non è da tutti farlo soprattutto in soli quattro minuti, quindi senza il tempo “di carburare”, come accade in un live, ma con la necessità di essere subito dentro il brano. Perché ciò accada serve un qualcosa che riguarda la sapienza e la profondità. Un legame con il proprio strumento verso le possibilità della musica, forse la dimensione artistica più verticale che conosciamo.

Prima di quello che è successo ieri non conoscevo di persona Roger Rota. L’avevo visto tante volte suonare, posseggo qualche suo disco (fra cui l’ultimo, “Octo”, che vi consiglio), ma quando si è trattato di scegliere un musicista che onorasse l’installazione “Ogni vita è un racconto” e i due mesi di isolamento che abbiamo vissuto (8 marzo, 8 maggio) ho pensato a lui. E lui ha risposto con tutta la disponibilità, l’intelligenza e il rigore possibili: ho un bel po’ di esperienze di contatto con i musicisti e comprendo quasi subito se la persona che ho davanti ha voglia di accogliere il possibile oppure mette dei paletti. Roger ha voluto subito accogliere il possibile, rischiare un sax solo in un contesto inedito per lui e per tutti, accettare la mia proposta con una semplicità disarmante, che sa di gratitudine (e di gratitudine ne ho anche io parecchia da esprimere: grazie Roger). Di solito questa caratteristica appartiene ai maestri – definizione che magari a Rota non piace, come spesso accade a questo tipo di persone – cioè a coloro che non si mettono su un qualche tipo di cattedra ad ammaestrare, ma insegnano semplicemente essendoci. Portano la loro esperienza di una vita coincidente con la musica e la loro devozione al suono, che è mistero e significato: questo significa essere maestri.

Ieri è stata la prima volta che sono uscito di casa non per fare la spesa. Qualche chilometro di automobile dal paese dove abito alla sede di L’Eco di Bergamo: poca gente in giro, strade tranquille. Uscire di casa dopo più di due mesi di vita domestica per raggiungere l’installazione “Ogni vita è un racconto” e la performance di Roger è stata una fortuna autentica. Dinanzi a questo schermo che lascia scorrere i nomi e le foto di chi è morto nelle ultime settimane, le persone passano, si fermano e guardano. Chi dice una preghiera fra sé e sé, chi lascia un pensiero, chi rimane attonito di fronte alla quantità di vite che se ne sono andate: “Ogni vita è un racconto” è un memoriale per tutti, non esclude. Ciascuno dà il significato che desidera a questo schermo sul balcone di una delle palazzine Sesaab con ai piedi dei fiori.

Chi l’avrebbe detto trent’anni fa, ad esempio, che per ricordare delle persone defunte avremmo usato uno schermo e un sito internet. I tempi cambiano e bisogna saperli leggere, tenendo stretto ciò che di buono conducono a noi. Di fronte allo schermo di questo memoriale digitale ci ritroviamo tutti. Siamo noi quelli che sono ancora qui a vivere, ma siamo noi anche quei nomi e quelle date di morte che passano. C’è un racconto del silenzio e della sofferenza che dobbiamo esprimere e onorare. Lasciandolo magari attraversare dal suono di un sax. Perché un giorno tutto questo sia fiore. Fiore mio, fiore nostro, fiore del mondo.

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