La discriminazione della diversità aumenta con il peggiorare delle condizioni socio-economiche. Più aumenta il disagio e maggiore è la ricerca di capri espiatori su cui sfogare il proprio rancore verso una realtà che non va come vorremmo. Le ferite lasciate dalla pandemia di covid-19 sono il terreno ideale per tutti gli estremismi che non considerano l’essere differenti come una risorsa ma come una minaccia: già da ora e poi nei prossimi mesi sarà una questione da affrontare, perché ogni differenza di identità (culturale, religiosa, di genere, etc) sia un valore fondante di una società democratica e all’insegna della reciprocità.
Fatta questa premessa, la notizia che anche quest’anno ci sarà il Bergamo Pride nonostante tutto ha un’importanza specifica. L’evento dedicato alle molteplici espressioni della comunità LGBTQI+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali e un più per allargare l’inclusione) sarà nel prossimo weekend: l’appuntamento centrale si intitola “I Am what I Am”, un talent show online sotto l’ala protettiva di Gloria Gaynor, domenica 14 giugno a Edoné. L’occasione è ghiotta per farci raccontare da Cecilia Riva, presidente di Bergamo Pride, e Alberto Magistro, un volontario del movimento, cosa è Bergamo Pride, soprattutto al di là dell’annuale parata che, scommettiamo, l’anno prossimo tornerà frizzante e vitale a colorare il centro cittadino. Prima però due parole sul Pride 2020.
“Abbiamo cercato di dirottare i nostri sforzi e la nostra presenza – racconta Alberto – in spazi e modalità che l’emergenza ci impone, in particolare l’online, quindi i nostri social Instagram e Facebook e in particolar modo Instagram su cui ti possiamo raccontare qualcosa. Il 14 ci sarà questa collaborazione che abbiamo già iniziato da tempo con Edoné e la realizzeremo nel pratico con un evento online che avrà la sua cabina di regia lì”. “I Am What I Am” potrà dunque essere seguito in streaming o live a Edoné, basta prenotarsi (qui le le info).
“Il mandato di questo talent – continua Alberto – è invitare le persone a raccontare loro stesse attraverso l’arte che amano. Uno dei pilastri di Bergamo Pride è la valorizzazione delle differenze delle persone. A partire dalle differenze dell’identità di genere, tutte le differenze per noi sono importanti ed è importante che le persone possano raccontarlo liberamente. Bergamo Pride si è sempre battuta per creare degli spazi ‘safe’, in cui le persone possono vivere la propria identità con tutta la libertà che meritano. Questo è il modo per farlo attraverso i social e quindi sull’online”.
I concorrenti parteciperanno da casa attraverso i loro profili, ci saranno inoltre tre giudici in collegamento: Laura Fagioli (musicista e organizzatrice e di eventi musicali), Davide Attuati (direttore artistico, ballerino e coreografo) e Carmen Pellegrinelli (attrice e sceneggiatrice). Insomma, non esattamente una “carnevalata”, come spesso insiste a dire la maldicenza, ovviamente battendo la propria lingua frustrata sul tamburo. “I Am what I Am” sarà tutt’altro, un evento di festa dove potrebbero anche esserci delle sorprese artistiche interessanti: “quando viene detto che il Pride è una carnevalata l’unica cosa che penso è che il carnevale mi piace moltissimo. È una delle cose che mi diverte e che non posso vedere con negatività. Definire il Pride con disprezzo è un modo per strumentalizzare un contenitore che ha molto al suo interno, noi parliamo di parate, ma ci sono anche gruppi che lavorano tutto l’anno su diversi fronti. Quindi la parata è la celebrazione finale di un percorso che i comitati fanno nella comunità”.
Gli fa eco Cecilia: “il Pride è la festa finale di un percorso che è fatto a partire da un documento politico, che cambia ogni anno in funzione del tema e delle richieste più urgenti della comunità. Il fatto di esserci è il contrario di mascherarsi, è proprio il togliersi la maschera e rivendicare i diritti di persone spesso non sono tutelate. Al Pride partecipano anche persone che non hanno la necessità di questi diritti”. Una narrazione che si discosta parecchio dall’idea di Bergamo come città bacchettona e conservatrice: “facendo un parallelismo un po’ forte ma molto attuale, quello che sta succedendo e che è successo domenica scorsa con il Black Lives Matter è un altro esempio di manifestazione in cui le persone si muovono per un diritto che è negato ad altri”.
Come per tanti altri movimenti e associazioni del nostro territorio, anche il Bergamo Pride ha una storia che si incrocia con quella della pandemia. “Già ad ottobre avevamo fatto una conferenza stampa per annunciare la collaborazione con Edoné, tre giorni di approfondimento sulle questioni LGTBQI+. Il tema di quest’anno era ‘Porte aperte’ per richiamare le porte della nostra città, dopo che l’anno scorso avevamo intitolato l’evento ‘Orgoglio oltre le mura’, dove le mura rappresentavano gli ostacoli che possiamo incontrare quando decidiamo di esprimere la nostra identità. Bergamo è una città di porte, di aperture e di possibilità. Durante ‘I Am what I Am’ verranno anche spiegate le rivendicazioni di quest’anno, un modo per mantenere vivo lo spirito del Pride”.
Il Pride però non è solo manifestazione dell’orgoglio LGBTQI+, ma ribadisce anche altri valori “come quello dell’antifascismo e dell’antirazzismo – spiega Cecilia – che è necessario interconnettere con quelli di base, insomma lavoriamo sull’intersezionalità”. Non bisogna pensare, come dicevamo prima, che il Pride sia solamente un evento che si svolge fra maggio e giugno e poi basta: “i locali e le discoteche – racconta Alberto – sono i luoghi in cui le persone vivono e sviluppano la loro socialità e identità. Per questo abbiamo fatto eventi specifici al Clash, ad Elav Circus, all’Ink Club, iniziando anche un discorso di ‘safe-space’ con i proprietari. A loro chiediamo di prendersi l’impegno di garantire all’interno delle loro strutture dei comportamenti corretti verso le persone che partecipano ai nostri eventi. Inoltre, a proposito di intersezionalità, abbiamo ospitato in incontri pubblici delle persone che avevano da raccontare la loro esperienza, coinvolgendo delle realtà come il gruppo ASA di Milano che lavora sulla tematica della sieropositività, o la Rete Lenford, un’organizzazione molto importante per i movimenti LGBTI, o ancora le Famiglie arcobaleno”.
Raccontare la propria storia, continua Alberto, significa “superare le differenze, perché si genera empatia per le storie altrui”. Ma non è tutto: “negli scorsi mesi – aggiunge Cecilia – ci sono stati anche degli eventi, diciamo così, più istituzionali, come la proiezione del film ‘Stonewall” per il quarantesimo dei moti di Stonewall che hanno dato origine al movimento LGBTQI+. C’è stato a novembre per la Giornata mondiale delle vittime della trans-omo-fobia un evento molto sentito ed empatico in cui molte persone, compresi alcuni attori, hanno portato poesie e pensieri su questo tema”.
Il carattere solidale di Bergamo si rispecchia anche in Bergamo Pride. Alberto: “ogni anno organizziamo delle raccolte solidali. Il nostro Pride è molto attento a ciò che succede sul territorio, anche in situazioni lontane dalla nostra. Nel 2018, ad esempio, abbiamo creato una raccolta di coperte per i senza tetto utilizzando i social. È stata un’occasione di incontro con persone che magari non ci conoscevano. Quest’anno abbiamo aiutato l’associazione Melarancia, che cerca di recuperare le persone cadute nella tratta della prostituzione, con una raccolta di assorbenti e prodotti per l’igiene intima femminile”.
Ma a Bergamo come vivono le persone LGBTQI+? “La realtà del nostro territorio è multiforme – sottolinea Cecilia – Vivere in città non è come vivere in un paesino di montagna o nella pianura più profonda. Fortunatamente noi non abbiamo fatti di cronaca esorbitanti, però abbiamo racconti di persone che hanno vissuto la pandemia in case non sicure, di persone che hanno problemi a livello lavorativo o che si trovano scritte sui muri o macchine”.
Il territorio per fortuna offre degli aiuti: “ci sono alcuni comuni sensibili alla tutela contro l’omofobia, associazioni che ci sostengono a livello giuridico, anche se senza una legge nazionale sull’omofobia si può fare poco. Il Comune di Bergamo, ad esempio, aderisce alla rete ‘Ready’, la rete dei comuni che hanno sottoscritto un protocollo di sensibilizzazione e di promozione dei diritti della comunità LGBTQI+”.
“C’è però una tendenza un po’ fuorviante – continua Alberto – ovvero dare un’indicizzazione di omofobia sul territorio in base a fatti di cronaca più o meno noti. Ma l’omofobia non è una dimensione solo fisica, è fatta di situazioni che impediscono alle persone di vivere la propria felicità. In questo senso di atti omofobici e di aggressioni negli ultimi anni per fortuna non ne sono state registrati molti nella bergamasca. È anche vero però che parlando con alcuni gruppi, docenti di scuole superiori e assistenti sociali ci sono situazioni in cui i ragazzi giovani registrano delle discriminazioni a scuola, o situazioni difficili in famiglia, con difficoltà per il coming out”.
Alzando però lo sguardo si notano dei cambiamenti: “l’omofobia e la transfobia nella bergamasca sono un problema, è innegabile. Però Bergamo non è la Bergamo di vent’anni fa, è cambiata. Ci sono realtà e associazioni, come Agedo, Lenford, Orlando che sono segni di mutazione e di crescita del nostro territorio. Se pensiamo a Bergamo pensiamo a una città in cui fino a pochi anni fa era impossibile l’esistenza di un comitato come il nostro. Tornavamo dai pride di Genova, Roma Milano e ci domandavamo se fosse possibile farlo anche a Bergamo. Da tre anni questo è una realtà ed è un segno molto importante per il nostro territorio”.
“Todo cambia” cantava Mercedes Sosa in piena dittatura cilena, ed è forse il modo migliore per sigillare il cammino arcobaleno di Pride Bergamo. Tutto cambia, e chi non lo accetta o si oppone rischia alla fine di rimanere fuori dalla Storia.
(grazie a Giulia Lanzi per la collaborazione)