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Holger e Sonila, imprenditori albanesi cresciuti con il cuore a Bergamo

Articolo. Partiti dall’Albania e arrivati nella nostra città, Holger Turra e Sonila Alushi offrono due esempi di integrazione. Ieri migranti, oggi titolari di aziende di successo: la loro storia è il filo rosso per ripercorrere quella della comunità albanese in Italia

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Lo sbarco della nave Vlora nel porto il 08 agosto 1991 (Foto SINEDITAECO)

Nel marzo del 1991, 25mila persone provenienti dall’Albania arrivarono sulle coste pugliesi. Fuggivano da un Paese piegato da 40 anni di regime totalitarista e dalla conseguente crisi economica. Tra di loro, c’era anche la famiglia di Holger Turra, oggi imprenditore di successo e titolare dell’azienda Argosped, che sbarcò nel porto di Brindisi il 5 marzo 1991. In quel momento, l’Italia, seppur colta di sorpresa, aveva risposto all’esodo con l’accoglienza. Holger ricorda quel benvenuto e i suoi primi momenti nel Belpaese mentre sorseggiamo un caffè in Piazza Pontida, a Bergamo.

Qualche mese dopo il suo arrivo in Italia, mi racconta, l’8 agosto 1991, altri 20mila albanesi arrivarono al porto di Bari, a bordo della nave mercantile «Vlora», presa d’assalto a Durazzo, città da cui lui stesso era partito. A quella seconda ondata, i migranti sbarcati – ad eccezione di alcuni sfuggiti in città alle forze dell’ordine – furono portati nello «Stadio della Vittoria» di Bari. In 15mila furono ricondotti in patria. Dopo quell’esodo, sembrava che il numero di albanesi nell’Adriatico fosse diminuito, finché, all’inizio del 1997, crollò il sistema delle cosiddette piramidi finanziarie . Fu un grosso scossone che causò non solo la rovina economica di migliaia di creditori, ma anche una forte crisi dello Stato albanese, in preda ai saccheggi e incapace di ristabilire l’ordine pubblico, come ha riferito il 77% degli intervistati nel corso di un’indagine svolta in Puglia nel 1997.

Nel 1998, all’età di diciannove anni, anche Sonila Alushi – titolare insieme al marito d un’impresa di pulizie a Bergamo – decise di lasciare Tirana e raggiungere gli zii nella nostra città per continuare a studiare lingue e letterature straniere all’Università. Fino a quel momento aveva visto e sentito l’Italia di nascosto, attraverso la televisione, «unica finestra sul mondo» possibile sotto il regime. Vista da uno schermo, l’Italia sembrava un rifugio rispetto al contesto di miseria e precarietà albanese. Ben presto, Sonila si rese conto della distanza fra sogno e realtà. «Come ogni immigrata, ho pulito Bergamo», mi racconta, sempre in piazza Pontida, davanti a uno spritz, 26 anni dopo dal suo arrivo.

Sia Holger che Sonila partono dalla situazione dell’Albania per ripercorrere i passi che li hanno resi ogni giorno un po’ più italiani e un po’ più bergamaschi. Le vicende del Paese in cui affondano le loro radici infatti sono state determinanti per entrambi e per i loro compaesani. Dopo le prime due ondate migratorie, infatti, l’Albania ne ha visto una terza, alimentata dalla guerra del Kosovo e il successivo conflitto in Macedonia . Per Holger e Sonila, in quel momento in Italia, era già in atto un percorso di integrazione, per altri era appena cominciato.

Ma quanto due storie individuali possono riflettere la vita di una comunità? Forse non abbastanza. D’altronde però è anche difficile parlare di una vera e propria comunità albanese a Bergamo e in Italia. Questo perché nello Stivale, c’è un elevato livello di stabilizzazione e integrazione. Secondo l’ultimo Rapporto annuale sulla presenza in Italia della comunità albanese – curato dalla Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali –, essa occupa la seconda posizione tra le principali comunità di cittadinanza non comunitaria per numero di regolarmente soggiornanti. Al 1° gennaio 2023, in Italia, 389.646 sono cittadini albanesi con permesso di soggiorno, di cui 84.479 in Lombardia – la prima regione per presenza di albanesi – e 10.902 nella Bergamasca.

Ci sono diversi indicatori che confermano l’integrazione dei cittadini di origine albanese nel tessuto socio-lavorativo italiano. Per esempio, l’elevata presenza di minori (23,5%) – i giovani di seconda generazione – da collegarsi a quella incisiva dei nuclei familiari, la quota – 14,2%, a fronte del 10.8% relativo al complesso della popolazione proveniente da Paesi terzi – di over 60, la quota soggiornanti di lungo periodo per motivi famigliari e di lavoro (63,6%) e la documentata fruizione di alcune misure assistenziali e di integrazioni salariali. La comunità albanese si conferma poi prima per numero di acquisizioni di cittadinanza nel corso del 2022: su un totale di 194.071 concessioni per cittadini originari di Paesi terzi, 38.129 riguardano cittadini di origine albanese, ovvero circa un quinto del totale. Un’ulteriore indicatore del livello di consolidamento delle presenze di origine albanese sul territorio è la loro specifica collocazione nel mercato del lavoro italiano.

Ma come si è arrivato a questo livello di integrazione? «La porta principale d’accesso è stata la lingua», ammette Sonila che, sempre grazie alla televisione, al suo arrivo già conosceva l’italiano. Per Holger e Sonila, poi, il lavoro è stata la vera chiave del loro percorso di integrazione. Non sono mancati però gli ostacoli. «All’inizio ho avuto difficoltà ad avviare un’attività con mio marito», ammette la donna ricordando i primi tempi, quando lei e Olger, giovanissimi, tentavano di presentare la propria impresa di pulizie in una Bergamo «non ancora preparata a quel tipo di immigrazione» e in cui «nessuno si fidava a lasciare le chiavi di casa a due albanesi» . Dalle parole di Holger e Sonila si percepisce come sia stato forte – e come, talvolta, lo sia ancora – il peso di un’immagine negativa legata al migrante albanese. «Quando avevamo cominciato a lavorare, c’era stato un caso di cronaca nera che aveva coinvolto un albanese – racconta Sonila con amarezza – In quel periodo, molti non volevano darci più il lavoro ed erano diffidenti. Abbiamo perso tre condomini dove facevamo le pulizie». Una tendenza che si è vista anche nella ricerca della casa, aggiunge Holger, ricordando il suo arrivo e la difficoltà a integrarsi, nonostante l’accoglienza di qualche donna pugliese che aveva aperto la propria casa alla sua famiglia.

A quell’esclusione, spiega il sociologo Vincenzo Romania nel suo saggio «Farsi passare per italiani. Strategie di mimetismo sociale», «gli albanesi sembrano aver reagito proponendo un’integrazione giocata sull’invisibilità della propria appartenenza, come strategia per contrastare il pregiudizio e la criminalizzazione mediatica». Romania parla di mimetismo sociale, ovvero di quelle «strategie di comportamento che permettono a chi è di origine straniera di “farsi passare” per cittadini della società ricevente e di superare quindi lo stereotipo inferiorizzante». Le storie di Holger e Sonila testimoniano un po’ questo, prima ancora del loro successo imprenditoriale.

«Per noi (albanesi, ndr) è importante assimilare la mentalità, il know how, delle persone e del Paese che ci ospitano», conferma Holger Turra che, prima di avviare la sua ditta, aveva studiato minuziosamente il territorio bergamasco, facendosi una «mappa dello sviluppo aziendale di Bergamo». «Il muratore bergamasco – continua Holger – non è solo capace di fare il muro, ma lo fa bene. Così anche io cerco di “fare con qualità”, non soltanto “fare”. In questo mi sento più bergamasco che albanese». Anche il marito di Sonila ribadisce questa tendenza ad “assimilare” la cultura lavorativa del posto in cui si è inseriti: «quando mi confronto con altri imprenditori albanesi, mi accorgo di quanto ognuno di noi abbia un approccio diverso in base a dove lavora e vive. Tendiamo ad assorbire molto».

Ma dove è quindi il confine fra integrazione e mimetismo sociale? Per Sonila e Holger, è nella capacità di mantenere vive la propria storia e le proprie radici. «Ci tenevo molto che i miei figli sapessero l’albanese, quando erano piccoli», racconta la donna impegnata anche in politica a Bergamo per diversi anni. «Non voglio negare le mie origini: la mia “albanesità” è emersa nei momenti difficili e mi ha aiutato», le parole di Holger.

Da una parte l’attaccamento a Bergamo e dall’altra al Paese d’origine, da un a parte l’integrazione e dall’altra l’assimilazione sono tutti elementi che portano a Bergamo a non avere una vera e propria comunità albanese, a favore, piuttosto, della presenza di tanti nuclei famigliari. «I miei amici chiamano il quartiere dove vivo a Bergamo “Albanopoli” perché siamo tutti albanesi e per lo più parenti», conferma ridendo Sonila. Quella albanese è una sorta di non-comunità anche per una tendenza evidenziata da Holger: «noi albanesi tendiamo ad essere molto diffidenti: è una caratteristica che abbiamo preso dal regime e che è rimasta un po’ in noi, quando chiunque poteva essere una spia».

L’idea secondo cui l’inserimento degli immigrati passi sempre attraverso il modello sociale della comunità organizzata su base locale e nazionale è quindi scardinato da esempi come quello di Holger e Sonila. Loro infatti, come altri 38.007 titolari di imprese individuali nati in Albania (pari al 9,7% degli imprenditori non comunitari in Italia) si sono posti piuttosto come imprenditori di se stessi. Un fenomeno dovuto anche alla voglia di riscatto personale: «In Albania non c’era una mentalità imprenditoriale – spiega Holger che si definisce un self made man – allora io ho voluto e voglio, tramite il mio lavoro, portare un’Albania differente a Bergamo ». «Adesso noi siamo un po’ come i boomer degli anni ’60 – commenta con un sorriso Sonila – abbiamo costruito qualcosa partendo da zero e continuiamo a farlo per le prossime generazioni, perché i nostri figli non facciano gli stranieri a casa loro, come abbiamo dovuto fare noi all’inizio».

«Per me essere integrato significa sentirmi parte di una comunità, essere riconosciuto e poter diventare un esempio per quelli che mi hanno accolto», le parole di Holger, molto affezionato e riconoscente a Bergamo e all’Italia. E lo è anche Sonila che, con la sua azienda, oggi dà lavoro a 20 persone. La storia di Holger e Sonila è un filo rosso che accompagna una storia più grande, quella dell’integrazione in Italia.

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