Torna dopo 47 anni e già si sa che non sarà più lo stesso. Non per una questione anagrafica. Oggettivamente per lui il tempo non passa. Sono cambiati invece gli sguardi della platea. Chi è? Verrebbe da rispondere con le parole di Luigi Albertelli nella mitica sigla musicata da Vince Tempera: «Ufo robot! Ufo robot!». In arte Goldrake. Il cartone animato (sì perché negli anni ’70 il termine giapponese «anime» era riservato prettamente alla sfera religiosa) partorito dalla nipponica fantasia di Go Nagai come terzo capitolo della saga bellica dei Mazinga.
Per chi non ha presente, ci si riferisce a colossi di metallo, vagamente ispirati alle armature dei samurai, muniti di micidiali armi: pugni a razzo, missili perforanti e raggi laser... che sembrano fulmini. Ovviamente tutte da spendere nella difesa della Terra e, in primis, del sacro suolo del Giappone. Immediato e succulento obiettivo di ogni bieco invasore cosmico o di creature fuoriuscite da oscuri abissi. La notizia è che un rifacimento di Goldrake (o meglio «Grendizer U», come specifica il titolo originale, non corrotto da traduzioni occidentali) verrà trasmesso da Rai 2 il 6 gennaio. Si ripete quindi un passaggio che televisivo per i bambini del 1978 fu un evento epocale.
Goldrake stupiva per la qualità tecnica, la tensione drammatica dell’azione e le trame di spessore “adulto”. Il protagonista Actarus è il superstite di un pianeta devastato dalla guerra (oggi verrebbe bollato come un profugo spaziale) che odia le armi e la violenza.
Pilotare Goldrake per lui è una sofferenza perché non crede nella vendetta, non vede nella battaglia nessuna gioia o sacro dovere, se non fosse l’unica forma di protezione di quelli che erano diventati i suoi cari: le persone che lo avevano accolto quando era approdato sulla Terra, esausto, ferito e senza speranza. Un cartone animato intriso di pacifismo, solidarietà e sacrificio. Aspetti che non vennero colti appieno durante la prima visione del cartone animato. I critici puntavano il dito sulla violenza spettacolare, sulle rappresentazioni del dolore e della morte. Temi inadatti ai bambini. Forse. E forse ai censori era sfuggito il contesto. Ossia che Goldrake veniva trasmesso nei paraggi dei telegiornali, contenitori di drammi e lutti concreti, pur edulcorati per l’ora di cena. L’Italia della fine degli anni ‘70 non era tutt’altro che un Paese sereno e armonico. Si vivevano le cupe fiammate di una lunga stagione di opposti terrorismi, costellata di attentati e stragi di cittadini, che puntualmente restavano senza colpevoli.
Meno di un mese prima della messa in onda di Goldrake, le Brigate rosse avevano rapito Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana – l’allora partito di maggioranza - uccidendo gli uomini della scorta. Un calvario durato 55 giorni e terminato con la morte dell’ostaggio. Un esito esplosivo per l’assetto politico di allora che indubbiamente fece da spartiacque, innescò una reazione delle istituzioni sostenuta dalla società civile.
Iniziava il cosiddetto “riflusso”, il distacco dalle ideologie che con varie invenzioni ci avrebbero condotti agli euforici ‘80, gli anni della borsa, della fioritura dei palinsesti televisivi, della moda made in Italy, della Milano da bere. Goldrake, eroe riluttante, intanto veniva riposto nel parcheggio dei ricordi, sopravanzato da altri colleghi animati.
L’ultima replica della serie animata in Rai venne bruscamente interrotta nel 1980 per dare notizia del terremoto dell’Irpinia. Non solo dovere di informazione, la televisione pubblica si associava al dolore delle famiglie colpite da una generale devastazione. Una sensibilità oggi non più ammissibile nell’incessante rivolgimento dell’infosfera che ci pervade.
Da allora Goldrake non si manifestò più in Rai, se non sporadicamente in chiave di omaggi impacchettati nel formato nostalgia. Va detto che per il servizio pubblico televisivo, a dispetto del grande successo, si era rivelato un soggetto scomodo. Criticato a destra e a sinistra, aveva la colpa di rappresentare una novità che non si inquadrava nell’errata equazione del cartone animato uguale «roba» per bambini. La scuola dell’animazione giapponese – oltre alla differente sensibilità culturale e morale – si articola in forme e categorie che il pubblico occidentale ancora non aveva assimilato. Dalla prima trasmissione erano già state cassate un paio di puntate giudicate troppo forti. In particolare una includeva dei ragazzini costretti a trasformarsi in letali attentatori. La crudeltà delle ragioni della guerra era un continuo contrasto con le virtù e i sentimenti dei protagonisti. Una tensione morale piuttosto elevata per un programma destinato ai ragazzi, per quanto offuscata dalle grida di battaglia dei giganti d’acciaio e dai caroselli di dischi volanti.
Ora Goldrake ritorna in Rai. E lo fa una versione rivista e reinterpretata per i gusti dell’oggi (almeno a giudicare dal design). Il punto però con buona pace i partigiani nerdisti - non è tanto la fedeltà all’estetica originale, quanto la sensibilità della platea. L’italia è cambiata. In un Paese che ama sempre meno lo straniero e dove si strepita di “difesa dei confini”. C’è ancora qualcuno che vuole accogliere Goldrake e tifare per un eroe che arriva da un altro pianeta?