Cosa c’è dietro un giovane imprenditore? Abbiamo parlato con Matteo Vavassori, 30 anni, Business developement managerpresso la Interseals di Capriolo, azienda della cosiddetta “rubber valley” del Sebino, e vice presidente di Giovani di Confindustria Bergamo. Un’azienda fondata dal padre di Vavassori, che si è internazionalizzata e che quest’anno festeggia i 25 anni: “Detto in parole semplici, facciamo guarnizioni in gomma, con applicazioni industriali ma anche domestiche, dalle lavatrici ai biberon dei bambini”, sintetizza Vavassori. È la prima puntata di #giovanifuturi, la nostra rubrica dedicata agli imprenditori under 40 che vogliono innovare.
Un percorso tracciato
Se escludiamo il desiderio infantile di fare il pizzaiolo o il pompiere, Matteo Vavassori ha sempre saputo che la sua strada sarebbe stata nell’azienda di famiglia, e tutto il suo percorso formativo – dagli studi di ragioneria a Trescore a Economia aziendale all’Università di Bergamo, alle estati passate in azienda – è venuto di conseguenza. “È stata una scelta, programmata, ma anche pacifica: dalla mia famiglia c’è sempre stata apertura massima, mi hanno solo chiesto serietà. Sapere da subito quale strada intraprendere è un privilegio, ma non ti lascia il tempo di immaginare a ’cosa sarebbe successo se’. Non ho mai pensato seriamente a una alternativa. Cosa mi piace del mio lavoro? È una attività molto eterogenea, mi sono occupato della gestione dello stabilimento, ora seguo di più la parte commerciale”. Come dicono gli inglesi: “Entrepreneurs must be jack-of-all-trades” (tradotto: “gli imprenditori devono sapere fare un po’ di tutto”, ndr).
Sandali e calzini
“Ho fatto due anni di Erasmus in Germania, a Treviri e a Karlsruhe. Tutte le premesse erano contro di me, non conoscevo il tedesco e gli amici mi davano del masochista”, racconta Matteo Vavassori.
Una scelta, anche questa, ponderata e decisa in funzione delle competenze richieste dall’azienda, che lavora con molti clienti tedeschi: “Conoscere la lingua e la cultura tedesca era un doppio plus, ho cominciato a fare dei corsi di lingua e dato qualche esame”.
I luoghi comuni sui tedeschi? Sono mediamente veri. “Oltre ai sandali con i calzini bianchi, la camicia bianca a maniche corte con logo aziendale è un must have. Sono vere anche tutte le banalità che si dicono sull’efficienza, la pulizia, le città ben curate. Ma soprattutto ho apprezzato un ottimo bilanciamento tra vita e lavoro. I tedeschi sono grandi lavoratori, ma hanno una cultura aziendale diversa rispetto al Nord Italia: seguono orari ben precisi e c’è uno stacco netto con la vita privata. Si godono la serata, anche dalle 17, facendo sport, attività all’aperto. Da noi la convivialità è più legata a cene e weekend, mentre in Germania ci si incontra in momenti molto informali, passando momenti insieme nel verde”.
Come nasce una cinesata
Il lavoro lo ha portato in Cina, mercato che segue dal 2018 e dove è stato dal luglio 2019 al gennaio 2020, a Wuxi, vicino Shangai. “Sono partito con tutti gli stereotipi del caso, tanti sono veri: i cinesi sono grandi copiatori. Ho capito come nascono le cosiddette ‘cinesate’: non si domandano quale sia la finalità dell’oggetto in sé, vogliono solo che somigli il più possibile all’originale. Mi hanno spiegato che è un aspetto culturale legato alla scrittura: la lingua cinese è molto complessa e si impara a memoria, continuando a copiare lo stesso simbolo. Quindi questa attitudine si ripropone in qualunque altro aspetto. Un altro luogo comune vero è la velocità, quella con cui mettono in piedi le infrastrutture, ad esempio. Poi mi ha colpito la grande attrazione verso lo straniero: capita ti diano i bambini in braccio per fare le foto. C’è comunque una differenza abissale fra i cinesi che hanno fatto esperienze all’estero e quelli provenienti dalle zone rurali”.
Il ricambio generazionale
È un privilegio non indifferente avere contatto da subito con la dimensione aziendale, e questo Matteo Vavassori lo sa bene. “Anche la partecipazione a Confindustria è nata per vedere cosa posso portare in azienda dal confronto con altre persone. La mia esperienza mi ha fatto riflettere anche sulla questione della formazione: le aziende del nostro settore richiedono tecnici competenti, ma l’aspetto degli stage è molto complesso perché richiede la disponibilità di validi tutor in azienda. Col supporto del responsabile delle risorse umane stiamo provando a gestire il processo per coltivare talenti internamente. È un settore complesso perché basato molto sull’esperienza, e ora il ricambio generazionale riguarda tutti i reparti. Il passaggio generazionale è uno dei passaggi più critici nelle imprese italiane, che spesso non hanno abbastanza cultura manageriale e sono legate al singolo imprenditore, come unico portatore di conoscenze. Le aziende dovrebbero valutare una gestione del passaggio, inquadrando bene i ruoli”.