Sono figlia di due commercialisti. Mio padre si era laureato in Economia alla Bocconi negli anni Sessanta, purtroppo è morto giovane e non ha avuto la fortuna di esprimere il suo potenziale in questo campo. Mia mamma, che è ragioniera, dopo la morte di mio padre ha deciso di fare l’esame di stato per diventare commercialista. Con la testardaggine che la contraddistingue ha passato l’esame, e negli anni Ottanta ha aperto uno studio commerciale tutto suo. Sono cresciuta tra resoconti, tabelle, numeri, percentuali e dichiarazioni dei redditi. Ricordo le calcolatrici con il rullo di carta, i primi post-it, i calcolatori con gli schermi che occupavano tutta la scrivania. Ricordo mia mamma accendere i ceri a: «Sant’Excelle!». Eppure, nonostante questa nobile genealogia economica, per qualche mistero freudiano io l’economia non l’ho mai capita. Non mi ha mai interessato. L’ho sempre trovata noiosa. E non chiedetemi oggi quanto fa sette per otto perché non lo so.
Quando ho iniziato ad approfondire il lavoro di Claudia Goldin a proposito dell’assegnazione del Premio Nobel per le scienze economiche 2023, ho letto un concetto interessante di cui Goldin ha parlato durante una conferenza stampa ad Harvard. Un concetto che di colpo mi ha reso l’economia un po’ meno antipatica: «Economics is about people», «l’economia è qualcosa che riguarda le persone».
Parlando del fatto che spesso le persone si allontanano dall’economia perché la vivono come una materia fredda, di numeri, legata alla finanza, Goldin ha ricordato come in realtà l’economia sia qualcosa che ci chiama direttamente in causa, e insieme a noi le materie sociali di ineguaglianza, la forza lavoro femminile, la salute e lo sviluppo delle società. L’economia, quindi, ha a che fare con le relazioni.
Certo, questo non è un concetto nuovo per noi europei, anche se non abbiamo studiato ad Harvard. Fino a quando resisterà il sistema scolastico pubblico italiano, “tutti sanno” e sapranno che la tradizione marxista parte dalla centralità dell’economia come elemento determinante del quadro sociale e della sua distribuzione del potere. Se vi rimangono dubbi sul tema, potete leggere i contributi di Michele Dal Lago su Eppen.
Tuttavia «Economics is about people» non mi ha fatto tanto pensare al cofanetto cartonato del «Capitale» che giace intonso al terzo piano della mia libreria (mea culpa). Mi ha fatto piuttosto pensare all’etimologia della parola «economia». Anni di Sarpi, con annessa bocciatura a settembre in latino e greco, mi hanno insegnato che «economia» viene dal greco antico e precisamente dall’unione della parola oikos, casa, con la parola logos, discorso. «Nel suo significato più antico, un uso razionale del denaro e di qualsiasi mezzo limitato, che mira a ottenere il massimo vantaggio a parità di uso delle risorse; può indicare anche parsimonia, oculatezza nello spendere». Così è definita sul vocabolario Treccani.
Nella sua accezione originale, la parola «economia» si lega più all’immaginario della casa che a quello del mercato. Come a dire che l’economia si fa in casa. E se l’economia si fa in casa, allora – quantomeno storicamente – l’economia è cosa da donne.
Naturalmente, per «casa» non si intende il salotto dove Barbie beve cognac sulla sua poltrona leggendo Vogue con la messa in piega fatta, ma il luogo dove tutta una serie di attività e pratiche necessarie al mantenimento della vita vengono quotidianamente svolte. Le elenco qui per coloro che fanno fatica a capire di cosa si tratta e quindi evitano accuratamente di portare giù la spazzatura quando il sacco è pieno.
Tali attività consistono in: fare la spesa, fare da mangiare, lavare i piatti, spazzare, spolverare, passare l’aspirapolvere, passare lo straccio, pulire il bagno, pulire i vetri, cambiare le lenzuola, sistemare gli armadi, fare le lavatrici, stendere, stirare, portare i figli a scuola, lavarli, vestirli, nutrirli, prendersi cura dei famigliari, portare giù il cane, pagare le bollette, organizzare il lavoro domestico, curare le relazioni della famiglia e chi più ne ha più ne metta. Potete usare questa lista base per fare un check di chi si occupa di cosa in casa vostra (avvertenze d’uso: il check è puramente indicativo. Maneggiare con attenzione. L’autrice dell’articolo non si assume nessuna responsabilità sulle eventuali discussioni familiari a seguito del suo utilizzo).
Se infatti storicamente il genere maschile si è occupato di “guadagnare” il denaro, di procurarselo, di conquistarlo, quello femminile si è impegnato a gestire tutto quello che con o senza denaro doveva essere comunque gestito e portato a termine su base quotidiana. Massimo vantaggio in relazione all’uso di poche risorse. Come dire che la vera economista della mia famiglia non è stata mia madre ragioniera, non mio padre bocconiano, ma mia nonna che aveva la quinta elementare e che – come moltissime altre donne nate all’inizio del secolo – ha gestito una casa con otto figli con pochissime risorse economiche a disposizione. Collegato anche a questo tema è il bel film di Paola Cortellesi « C’è ancora domani » al cinema in questi giorni.
Il collegamento tra l’economia e il concetto di cura è quindi doveroso. Joan Claire Tronto , una tra le studiose di maggior rilevo sul tema dell’etica della cura (il Nobel alla cura dovrebbero inventarlo), definisce il concetto di cura come tutto ciò che facciamo per mantenere e “riparare” il nostro mondo in modo che possiamo viverci il meglio possibile. Quel mondo include i nostri corpi, noi stessi e il nostro ambiente connessi in una complessa rete di sostegno alla vita. Seguendo questa logica, i premi Nobel dovrebbero essere dati per la maggior parte alle donne. Assegnati in nome del riconoscimento di quei saperi che nei secoli hanno saputo “mantenere” la vita invece di annientarla.
Ma siccome non viviamo in un mondo ideale, dobbiamo riconoscere che il 9 ottobre 2023 è stata una data storica. La data è storica perché per la prima volta è stato assegnato il premio Nobel all’economia a una “professora”, o meglio, terza donna a conseguirlo in Economia, ma prima da sola. Con Goldin la quota di donne premiate dal prestigioso riconoscimento norvegese arriva al 6,4% (56 su 874). Ma soprattutto questa assegnazione ha messo in rilievo un tema trascurato come quello delle differenze di genere nel mercato del lavoro.
Claudia Goldin si è infatti distinta per aver studiato storicamente la partecipazione femminile al mondo del lavoro, mettendo in luce come non esista un’associazione positiva consistente tra la partecipazione lavorativa delle donne e la crescita economica e come il lavoro di cura legato alla famiglia abbia costituito un fattore determinante degli andamenti della partecipazione al mondo del lavoro.
Da economista storica Goldin ha spiegato come questa partecipazione sia stata influenzata e determinata anche dai cambiamenti culturali del Novecento. Le sue ricerche si sono concentrate sulle aspettative sul ruolo della donna in famiglia, sul divario retributivo in relazione all’impatto dei carichi di cura nella carriera, su quello della pillola contraccettiva. Goldin si è occupata dell’eliminazione delle restrizioni legali all’occupazione delle donne sposate, dell’afflusso di donne nell’istruzione superiore e del passaggio ad un’economia dei servizi.
Un’interessante ricerca di Goldin ha riguardato i cosiddetti «sex bias» (errori di giudizio basati sulle discriminazioni di sesso/genere) durante le assunzioni sul posto di lavoro. Studiando le assunzioni di nuovi orchestrali durante le audizioni, attraverso raccolte di registrazioni in archivio delle maggiori orchestre statunitensi, Goldin e Cecilia Rouse hanno verificato come audizioni “alla cieca”, con uno “schermo” per nascondere l’identità del candidato alla giuria aumentassero le probabilità di assunzione per le donne.
L’assegnazione del Nobel all’economia a Claudia Goldin segna sicuramente un passaggio, una riconosciuta attenzione ai temi di genere e una legittimazione del fatto che siano temi trasversali e rilevanti in tutte le questioni cruciali del vivere. Non è quindi più accettabile considerarli come un ambito ristretto di studi riguardanti i “problemi delle donne”, come la stragrande maggioranza dei “barbuti baroni” dell’accademia italiana in tutti i campi ha fatto e continua a fare. Questi temi sono centrali perché forniscono alternative a modelli di sapere tradizionali che hanno ignorato o sottostimato – come diceva Michela Murgia – i contributi della metà della popolazione mondiale.
Concludo con un consiglio, purtroppo di un libro divulgativo in inglese che non è stato ancora tradotto in italiano, ma che a mio parere centra il punto del rapporto tra questioni di genere ed economia. Il libro è di Katrine Marçal, giornalista svedese e si intitola: « Who Cooked Adam Smith’s Dinner? » («Chi cucinava la cena ad Adam Smith?»).
Ora, il filosofo Scozzese Adam Smith è stato riconosciuto come l’inventore dell’economia, con il trattato del 1776 «Indagine sulla natura e la causa della ricchezza delle nazioni», considerato il manifesto dell’economia classica capitalista. Molto brillantemente, Katrine Marçal si è chiesta chi materialmente si occupasse del mantenimento del caro Adam durante la scrittura del trattato. Ne è venuto fuori che, sorprendentemente, non era una mano invisibile a nutrire Adam, ma la sua adorata madre Margaret Douglas che si occupava di lui in tutto e per tutto (aggiungi “rammendare i calzini” alla lista di cui sopra). Marçal si domanda poi: ma Adam come studioso era consapevole della dipendenza della società dal lavoro non retribuito come la cura, la pulizia e la cucina? E quindi, Adam ha considerato queste attività di fondamentale importanza per l’economia includendole nel suo quadro teorico?
E la risposta è: naturalmente no. Adam ha dipinto il suo homo economicus come un “mai nato”, un essere non ha bisogno di nessuno, non ha famiglia, non è oscurato da emozioni, è sempre razionale e agisce solo secondo il proprio interesse. Ormai nel 2023 neanche Alexa si comporta più così. Marçal muove la sua critica, dicendo che lungi dall’essere attori economici indipendenti, razionali e solo egoisti, in realtà agiamo con emozione, altruismo, cura e competitività. I nostri sentimenti creano le nostre storie e le nostre storie diventano movimenti sul mercato. La morale è che l’uomo economico può difendere la ragione e la libertà del proprio operare perché qualcun altro sostiene la cura e la premurosità.