Maddalena Bianchetti, addetta alla comunicazione in contesti culturali e sociali, collabora ed ha collaborato con Bergamo Film Meeting, Hg80 e politiche giovanili del Comune di Bergamo. Dopo la laurea in Scienze dei Beni Culturali, ha conseguito un master in comunicazione digitale mobile e social presso l’universitàdi Parma, approfondendo il tema del movimento Body Positive nei social media.
Chiunque viene continuamente sottoposto ad una comunicazione che sembra non tenere conto dell’immagine corporea – cioè della percezione che abbiamo di noi all’interno della società, basata sulla nostra esperienza personale, fatta di inevitabili confronti con i modelli ideali imposti dalle culture prevalenti. I cosiddetti canoni estetici, così introdotti da Maddalena nella sua tesi: “sono modelli di bellezza che definiscono ciò che per una cultura o una società viene percepito come bello nell’arco di un periodo storico. L’economia e la situazione sociale influenzano il modo in cui viene percepito ciò che convenzionalmente è bello o brutto. Data questa definizione si può affermare che gli standard di bellezza siano, per loro natura, mutevoli e relativi”.
Sentirsi bene con se stesse pare essere diventato un obbligo al quale abbiamo il dovere di assolvere, e non un diritto inalienabile di ogni essere umano, ma in quel concetto tanto sbandierato del “piacersi nonostante i difetti” c’è un messaggio che passa in sordina, un sottotesto tossico racchiuso nel termine nonostante, che fa presumere ci sia un modello di perfezione al quale aderire e sia nostra responsabilità scegliere se accettarci come siamo, o prenderci cura di noi per mezzo della forza di volontà, fatta di cure, diete bilanciate e meditazione. Qui si sviluppa il movimento del Body Positive, spiega Bianchetti: “un movimento che ha lo scopo di diffondere l’idea che tutti i tipi di corpo siano meritevoli di rispetto e abbiano valore in quanto tali, indipendentemente da ciò che sentenziano le norme sociali sui beauty standards. Secondo questo movimento nessuna persona dovrebbe sentirsi inadeguata a causa del proprio corpo e del suo aspetto estetico, del colore della pelle, dei ‘difetti’ o delle disabilità”.
Il movimento sociale si prefigge di dare visibilità a corpi non convenzionalmente considerati accettabili, come i corpi di persone sovrappeso o disabili, spesso rappresentati dai media attraverso stereotipi e retoriche basate sul pietismo, promuovendone l’accettazione a prescindere da taglia, etnia, genere o abilità fisica. Maddalena ne chiarisce anche le origini fondamentali: “Nel 1973 su iniziativa di Judy Freespirit e Sara Fishman, fondatrici del gruppo femminista Fat Underground, viene pubblicato il Fat Liberation Manifesto: sette affermazioni che contengono dichiarazioni e considerazioni circa le discriminazioni subite da persone sovrappeso, la cultura della dieta e la richiesta di maggiori diritti”. Nasce da qui “il fat acceptance movement, che è un tentativo di alzar un dibattito pubblico, attraverso manifestazioni e dichiarazioni provocatorie, al fine di sfidare le idee dominanti di genere, la normatività legata all’esteriorità e la cultura della dieta”.
Nessuna persona può dirsi esente dal giudizio, ma è doveroso trattare l’argomento con buona dose di cognizione. Ad esempio, essere persone bianche, cisgender (a proprio agio con il proprio genere biologico), non sovrappeso, dall’aspetto socialmente accettabile, può collocarci in una posizione privilegiata, è dunque di primaria importanza riconoscersi tali nei confronti di chi vive condizioni di minoranza. Sentirci alleati ad una causa che non ci appartiene non è un lasciapassare per parlarne come se stessimo vivendola in prima persona. Questo non esclude affatto che ogni essere umano possa avere ragioni per non sentirsi a proprio agio con il proprio corpo: “La componente della Body Positivity che sta venendo sottovalutata è quella radicale – spiega Maddalena – Sono rimasti solo un blando ed edulcorato invito ad amarsi, ad accettarsi, al self love, alla body confidence, spostando tutta la responsabilità sul singolo e creando un nuovo impossibile ideale da raggiungere: se una persona vive male con il suo corpo, se non si piace, se la discriminano, se la prendono in giro, se la trattano da subumano, allora è colpa sua perché non si ama abbastanza”. Il cosiddetto amor proprio diventa quindi un traguardo obbligatorio capace di farci percepire una sensazione di fallimento nel momento in cui non siamo in grado di provarlo.
I social media hanno un ruolo rilevante, essendo utilizzati frequentemente nella nostra vita quotidiana, ogni persona è inevitabilmente influenzata emotivamente e mentalmente dagli standard dell’immagine corporea stabiliti. Spiega Maddalena: “Con l’avvento dei social network, si crea un’ulteriore sfaccettatura nella rappresentazione corporea. Gli spazi online diventano maturi per l’inganno: le persone iniziano a nascondere intenzionalmente il proprio corpo per apparire più attraenti, magre e socialmente accettabili”. Addentrandosi così nell’analisi di selfie e fotografie personali esposte ai social: “è solo l’apice del processo di vetrinizzazione di sé. Questo concetto consiste in un modello comunicativo che trae le sue fondamenta all’interno della spettacolarizzazione dell’io: sui social network si rende pubblica la propria immagine e, allo stesso tempo, si tenta di fornire la versione migliore di se stessi”. I criteri di valutazione creati e modificati dalla società hanno spesso effetti a catena, dai quali nasce anche quella che viene definita body shaming; l’atto di umiliare un individuo attraverso commenti critici sul suo corpo.
Quali sono le strade allora per riuscire ad andare verso lo smantellamento dei modelli di bellezza imposti? Nei social media, secondo Bianchetti le strade sono quelle della contro-cultura, ad esempio: “Postare selfie che differiscano dai canoni di bellezza per produrre un contesto di controcultura che insegni ad individuare bellezza in ambienti non-normativi”. Nello specifico: “Tutte le altre emozioni, soprattutto quelle negative, sono accessorie a uno scatto che porta alla rivelazione della discriminazione e a capire che la vera chiave di volta per il movimento body positivity è l’informazione e la divulgazione mediale, perché liberare i corpi grassi significa liberare tutti i corpi annientando qualsiasi stereotipo”.
Dunque la strada forse non è imporre alle altre persone uno slogan posticcio sull’amore, ma imparare ad andare davvero oltre gli stereotipi, verso sé e verso gli altri. Accettare che ognuno possa fare del proprio corpo ciò che desidera, senza credere che il proprio personale metro di giudizio sia universale. Non considerare i corpi in base all’opinabile concetto della bellezza. Non basterà a smantellare il giudizio, ma non sentirsi colpevoli di non essere qualcosa è già un moto di liberazione.
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