Una ricerca condotta lo scorso ottobre e riportata da RaiNews24 dell’Istituto Elma Research per Angelini Pharma in Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Polonia su 1000 persone racconta gli sviluppi del disagio psicologico da covid-19: insonnia e difficoltà a dormire, depressione, ansia, paura eccessiva, attacchi di panico, sino all’aumento dei casi di autolesionismo denunciati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma attraverso l’HuffingtonPost. Secondo questa ricerca la pandemia ha causato disturbi psichici al 65% degli italiani, un dato sopra la media europea (46%), che si unisce ai problemi del contagio, a quelli economici e sociali.
Che cosa è una psicopandemia
In altre parole stiamo parlando di una psicopandemia, ovvero la diffusione di disagi psicologici dovuti ad un’epidemia diffusa, che affianca la pandemia e l’infodemia (qui la definizione della Treccani). Una situazione che fino ad oggi è stata affrontata dalle Istituzioni con mezzi scarsi e poca attenzione, nonostante i numerosi appelli degli psicologi sui problemi vissuti da persone che magari avevano già dei disturbi e da quelle che invece prima del lockdown stavano tutto sommato bene.
Il servizio gratuito di Soleterre
In particolare in un momento di difficoltà economiche può essere d’aiuto un supporto psicologico gratuito. Come già abbiamo raccontato qualche settimana fa, esistono realtà che lo mettono a disposizione: una di queste è la Fondazione Onlus Soleterre che “oltre a fornire cure e assistenza medica, si impegna per la salvaguardia e la promozione del benessere psico-fisico per tutte e tutti, sia a livello individuale che collettivo, ad ogni età e in ogni parte del mondo”, come ci ha raccontato da dott.ssa Francesca Vigorelli, psicologa-psicoterapeuta e coordinatrice nonché referente territoriale per conto di Soleterre Onlus.
Una volta scoppiata l’emergenza Covid-19, continua Vigorelli, “Soleterre ha deciso di mettere a disposizione il proprio team di psicologi a sostegno dei reparti coinvolti nella gestione dei casi Covid-19, garantendo assistenza psicologica ai pazienti, ai loro familiari e al personale sanitario”. Ma già prima del lockdown esisteva un problema psicologico e la percezione, avvalorata dai dati, era che ci fosse già un disagio diffuso, accelerato dalla pandemia com’è accaduto per altre questioni focali del contemporaneo (giusto per citarne alcune: la disuguaglianza sociale, la crisi della democrazia liberale e quella ambientale).
Un disagio da non sottovalutare
“Confermo questa percezione – aggiunge Vigorelli – Il contesto pandemico nella maggior parte dei casi riscontrati ha esaltato ed incrementato delle fatiche e delle fragilità preesistenti a livello psicologico. Per tante persone è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha fatto percepire il bisogno di un supporto psicologico come un’urgenza non più rimandabile”. Insomma ci voleva il virus per accorgersi del proprio malessere: “da questo punto di vista il lockdown per molte persone è stata l’occasione infausta per capire che ci si doveva fermare per prendersi il tempo e l’impegno per la cura della propria salute mentale”. Perché avere problemi psicologici non è tanto diverso dall’avere guai fisici: “Questo in Italia è un concetto ancora difficile, si accetta l’idea che ci sia bisogno di una prevenzione quando si tratta di salute fisica, ma se si tratta di salute mentale si tende a rimandare, trascurare e sottovalutare fino a quando degli eventi imprevisti e fuori dal nostro controllo ci fanno definitivamente crollare e questo è proprio ciò che si è verificato con il lockdown”.
Un fenomeno che, come dicevamo sopra, ha avuto anche esiti gravi. “Aumentando il disagio sono aumentate anche quelle che a livello clinico sono delle risposte disfunzionali al disagio stesso e gli atti di autolesionismo e in extremis il suicidio ne fanno tragicamente parte. Ma la nostra utenza nella prima fase dell’emergenza si è caratterizzata per lo più per casi di tipo post-traumatico (PTSD), persone che direttamente o indirettamente avevano subito il contagio da Covid-19, e pertanto o avevano subito l’ospedalizzazione, sopravvivendo alla terribile esperienza della terapia intensiva, o sono persone che hanno perso un familiare o un affetto a causa del Covid-19”.
L’ansia da pandemia
L’ansia – di non farcela, di non stare bene, di un futuro incerto e ancora oggi grigio, nonostante i vaccini – è stata la grande protagonista di questi mesi forzatamente tra le quattro mura di casa: “un’altra fetta significativa di chi si è rivolto a noi era costituita da tutti i disturbi correlati alla sfera ansiosa, molti accusavano attacchi di panico, insonnia, stress generalizzato, rimuginìo, pensieri negativi, stato di agitazione e vigilanza costante etc. La pandemia e il lockdown hanno colpito tutti gli aspetti più significativi e vitali della nostra società e messo pertanto in discussione tutti i pilastri sui cui il senso di sicurezza delle persone si posa”.
È interessante anche notare come “mentre nella prima fase dell’emergenza l’utenza apparteneva alla fascia d’età medio-alta nelle ultime settimane stiamo riscontrando un abbassamento significativo della fascia media d’età e sempre più giovani e adolescenti ci richiedono il supporto psicologico”. Sono le categorie “dimenticate” in questi mesi, se non come attori poco interpellati di quella tragicommedia (le rotelle sotto i banchi, la didattica a distanza, i mezzi pubblici…) che ad un certo punto è diventata la questione scuola. Ma gli adolescenti, immersi in un’età della vita di cambiamento e affermazione di sé, soffrono la situazione al pari delle altre fasce d’età. “Questo è significativo del fatto che stanno subendo delle ripercussioni importanti a livello psicologico con lo stravolgimento della loro quotidianità: scuola, attività sportive, luoghi di aggregazione come cinema e bar. Sono aspetti di vita importanti per tutti ma sono fondamentali per i ragazzi che stanno ricercando e costruendo il proprio senso di identità in questo momento storico”.
Avere cura di sé
Al di là del (fondamentale) supporto psicologico, è possibile fare qualcosa da sé?“Quello che dico sempre ai miei pazienti è che ci sono delle situazioni e delle cose sulle quali noi non avremo mai un controllo perché non dipendono dal nostro volere ed in quei casi, con il tempo e con fatica si può solo metabolizzare ed infine accettare quanto successo. Da noi invece dipende il nostro agito personale e il nostro modo di reagire a ciò che ci accade e su quello ciascuno di noi ha un grande potere e margine di miglioramento, che inizia dalle piccole cose e dai piccoli passi”.
Tuttavia è possibile anche fare qualcosa di più pratico: “Ogni giorno darsi degli obiettivi da portare a termine per risanare il proprio senso di impotenza e ridare vigore alla propria autostima e immagine di sé. Inoltre consiglio sempre di dedicare una parte della giornata alla cura di sé, prendersi del tempo per qualcosa che ci arreca piacere (un libro, una camminata, un bagno caldo), anche dieci minuti al giorno possono bastare a volte”.
Rimuginare
Le persone che soffrono la situazione attuale spesso continuano a rimuginare gli stessi pensieri, “accade soprattutto quando si soffre di ansia, panico o si è sperimentato un trauma. Si tende a mettere in atto degli automatismi che portano al rimuginare e ad anticipare pensieri ed eventi negativi. Tutto questo è deleterio e non fa altro che alimentare e riproporre i nostri vissuti negativi, spostare invece l’attenzione sull’agito e sulle piccole cose positive aiuta ad interrompere questi automatismi”.
L’infodemia
Un altro problema è stata l’infodemia, soprattutto quella televisiva su persone magari in pensione. La soluzione è semplicemente guardare meno tv: “la sovrabbondanza di notizie ha generato più confusione che informazione e questo può aver incrementato le paure e l’ansia di molte persone già fragili e sensibili rispetto alle tematiche affrontate. Anche in questo caso il consiglio era semplice: sottoporsi ad un’esposizione mediatica garantita da fonti ufficiali e attendibili, mirata all’aggiornarsi solo rispetto agli sviluppi più importanti e calibrata così da non risultare invasiva e disfunzionale per un equilibrato svolgimento della propria routine quotidiana”.
Con la pandemia la tv è stata invasa da un esercito di epidemiologi e medici. È scattato un meccanismo all’insegna di un protagonismo eccessivo, che non ha fatto bene al dibatto, ma lo ha complicato e confuso – anche perché non sempre questi professionisti erano d’accordo tra loro. Forse è il momento di dare spazio anche a psicologi e filosofi, perché al di là del fatto clinico e di quello economico, è il senso individuale e collettivo che ha bisogno di essere rinforzato. “Credo fermamente che gli esperti e i professionisti della salute mentale e delle dinamiche sociali e relazionali dovrebbero avere uno spazio per poter parlare di quanto sta accadendo all’interno della nostra società che vive un momento storico unico e delicato. Ma affinché ciò possa accadere è necessario che avvenga prima un altro passaggio concettuale e culturale a livello di immaginario collettivo: ovvero che la salute mentale venga equiparata per importanza alla salute fisica”.
Ce la possiamo fare
Susan Sontag diceva che “la malattia è il lato notturno della vita”. Vale per una malattia biologica come il coronavirus e le sue conseguenze (in primis il lockdown), ma vale anche per la malattia della psiche. Nonostante ciò non bisogna allarmarsi ma allargare lo sguardo: sono circa 300 mila anni che esistiamo come homo sapiens. Abbiamo superato carestie, epidemie più gravi di questa e le conseguenze delle guerre. Uno scenario di inedia, malattia e tanto sangue. Eppure siamo ancora qui: come singoli e come comunità. La Storia ci dice che abbiamo fatto tantissimo Male e tantissimo Bene. Con l’aiuto degli altri – e forse in certi casi uno psicologo è l’Altro che ci manca – lo abbiamo superato. Perché possediamo una capacità di adattamento enorme. Quindi non disperiamo, la morte è un accadimento della vita, ma molti di noi, la maggioranza, ce la farà.